In occasione dell’uscita del numero XXIII (2-2011) di “Eurasia”, dedicato a Geopolitica e costituzioni, il nostro redattore Antonio Grego ha incontrato il prof. Paolo Maddalena, giurista e magistrato, vice-presidente emerito della Corte Costituzionale. Con lui si è discusso della condizione della Costituzione italiana alla luce delle incalzanti sfide geopolitiche e della Costituzione europea.
L’intervista è stata raccolta a margine del seminario scientifico internazionale “Aspetti giuridici del BRICS”, svoltosi a San Pietroburgo (Russia) l’8-9 settembre scorsi.
A.G. – La Costituzione della Repubblica italiana è un testo in vigore dal 1948 che è il risultato del compromesso tra le forze politiche uscite vincitrici dalla guerra civile e, dal punto di vista internazionale, è stata partorita dalla contrapposizione ideologica tra “mondo libero” e regimi totalitari e dalla Guerra fredda che allora si profilava all’orizzonte tra il blocco occidentale e l’Urss. Dal suo punto di vista, la Costituzione italiana è oggi ancora attuale o necessita di una revisione e aggiornamento?
P.M. – La Costituzione italiana ha sessanta anni, ma se li porta bene, è stata ben pensata e non ha bisogno di modifiche, tranne modifiche tecniche alla seconda parte. La prima parte è tutta dedicata ai diritti dell’uomo, alla tutela dei diritti fondamentali, mentre la seconda parte è dedicata all’organizzazione dello Stato. La prima parte non si deve toccare e rappresenta un modello per tutte le costituzioni. La Costituzione italiana concepisce un modello di Stato sociale di diritto e questo è il frutto della fusione delle varie anime che hanno partecipato alla sua realizzazione. Nella seconda parte appunto si concepisce lo stato sociale di diritto, la prima parte invece riguarda i diritti fondamentali con questa precisazione: lo Stato, l’ordinamento giuridico, non crea i diritti fondamentali, come il diritto positivo, ma li presuppone e quindi li riconosce e li garantisce. I diritti propri dell’uomo sono riconosciuti e garantiti, questa è la sua grandiosità ed è su questo principio, ovvero il riconoscimento di diritti preesistenti all’ordinamento giuridico, che si trovarono d’accordo su un ordine del giorno presentato da Dossetti nel settembre del 1946 tutte le forze politiche: democristiani, liberali e comunisti, che erano le tre forze che si confrontavano all’epoca. La Costituzione è il frutto non di un contemperamento di interessi, ma è la fusione ideologica di queste tre forze che hanno creato un tutt’uno inscindibile che si può riassumere nei principi di libertà, eguaglianza, solidarietà propri della Rivoluzione Francese. Questi principi non vanno, però, intesi in senso individuale come veniva interpretato dalla rivoluzione borghese ma in senso sociale. Se si considerano in senso sociale questi sono i principi di riferimento della Costituzione, nella quale avviene la convergenza su questi tre principi dei liberali sulla libertà, dei socialisti e comunisti sull’eguaglianza, dei democristiani sulla solidarietà e fratellanza. Quindi nella Costituzione c’è la fusione di questi tre concetti, che già erano uniti perché sono concetti legati fra di loro: non ci può essere libertà senza eguaglianza e senza solidarietà.
A.G. – La presente situazione internazionale e la crescente integrazione continentale pongono delle nuove sfide alla Costituzione per quanto riguarda il rispetto da parte dell’Italia dei trattati internazionali: da questo punto di vista servono degli adeguamenti alla Costituzione?
P.M. – È già stata adeguata: il titolo quinto della Costituzione è stato adeguato nel senso che è obbligo dello Stato italiano riconoscere e garantire l’esecuzione dei trattati internazionali, quindi ci troviamo nei confronti degli Stati esteri in una duplice posizione. Nei confronti dell’Unione Europea abbiamo limitato la nostra sovranità, per cui il diritto dell’UE si immette direttamente nell’ordinamento giuridico italiano e va immediatamente applicato, sia attraverso i regolamenti sia attraverso le direttive se sono complete. Per quanto riguarda i trattati internazionali, come per esempio quelli della Convenzione CEE sui diritti dell’uomo, quelli sono considerati norme interposte nell’obbligo sancito dall’articolo 117 di adeguarsi ai trattati internazionali. La Costituzione impone di adeguarci ai trattati internazionali, i quali assumono il rango di norme interposte; così è, ad esempio, il caso della Convenzione dei diritti dell’uomo, e la Corte Costituzionale ha il compito di esaminare la costituzionalità delle norme interposte. Quindi la Costituzione è già pronta per le sfide del futuro. Anzi, pensando al tema del seminario, ho avvertito proprio questo: che lo spirito della Costituzione coincide perfettamente con lo spirito del BRICS e del multipolarismo.
A.G. – La Costituzione Europea secondo lei su quali basi si dovrebbe fondare?
P.M. – Adesso noi abbiamo una costituzione dove l’organo legislativo è formato dagli Stati che fanno parte della Commissione, una vera costituzione dovrebbe trasferire il potere normativo che adesso è distribuito tra parlamento e Commissione, nel parlamento, nei rappresentanti del popolo europeo: allora si potrebbe parlare effettivamente di una costituzione europea. Adesso è una costituzione dettata dagli Stati nell’ambito delle loro sovranità, quindi è più un trattato che una costituzione. Sarà una costituzione europea quando i popoli si riuniranno in un parlamento europeo con potere legislativo; volendo si può anche pensare una struttura federale dove gli Stati conservino alcune prerogative. Il problema è questo: nel caso del BRICS abbiamo la cooperazione soltanto, nell’ambito dell’UE abbiamo la cooperazione e l’integrazione; integrazione significa diventare parte. Su alcuni argomenti già siamo parte perché abbiamo ceduto la nostra sovranità; quando noi definiremo quali sono le competenze proprie del parlamento federale e le competenze proprie dei singoli Stati, allora avremo creato l’unità europea.
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