Mai come in questo periodo storico l’attenzione internazionale è dedicata a quanto accade nel Vicino Oriente. L’Iran in particolare è teatro di una serie di mutamenti dal risvolto geopolitico importantissimo, per cui cattura facilmente l’attenzione dei media occidentali.

Giocata sulla rilevanza delle differenze, la comunicazione mediata da quotidiani ed agenzie di stampa tende a creare una percezione di alterità minacciosa, soprattutto su tematiche care alla cultura occidentale, come il dualismo Stato-Religione o la condizione della donna, per citarne alcune.

E’ proprio in relazione a quest’ultimo tema che regna molta confusione presso i destinatari dell’informazione, nonostante esso presenti interessanti spunti di riflessione, soprattutto per quanto riguarda la partecipazione politica.

 

 

L’evoluzione storica della partecipazione femminile

 

Risalgono ai primi anni del ‘900, quando l’Iran era ancora conosciuto come Persia, i primi movimenti a favore dei diritti delle donne persiane. Pochi anni dopo l’adozione della Costituzione del 1906, infatti, nascono movimenti di donne che rivendicano l’importanza dell’educazione femminile, considerata un investimento per la nazione, poiché donne istruite avrebbero allevato uomini migliori per il loro paese.

Le prime scuole femminili furono create da missionari stranieri e da personalità provenienti dall’ambiente intellettuale persiano, ma ebbero vita breve. L’istruzione femminile, gestita da privati, rimase completamente priva di una regolamentazione specifica fino al 1908; fu solo in quell’anno che il governo persiano stanziò i primi fondi per la creazione di alcune scuole elementari femminili e per una sorta di istituto magistrale. Furono anni di intenso dibattito e le riviste di settore ebbero modo di toccare temi socialmente rilevanti: i figli, il matrimonio, i diritti delle donne.

Se da una parte l’attivismo femminile produsse innovazioni nel campo educativo, negli stessi anni (politicamente instabili fino alla definitiva salita al potere dello Scià, nel 1925) proliferarono diverse organizzazioni e società clandestine per le libertà e i diritti femminili, che nello loro file annoveravano donne provenienti per lo più dalla classe media istruita; alcune erano imparentate con personalità importanti, artefici del processo costituzionale di pochi anni prima. Questa prima ondata di associazionismo femminile non ebbe vita facile: la segretezza talvolta fu violata e le associazioni stesse, nonché attiviste di rilievo come Mohtaram Eskandari, furono legalmente perseguite.

Con il consolidamento dell’autorità dello Scià Reza Pahlavi, prese il via un’ondata di riforme (deislamizzazione del sistema giudiziario e dell’istruzione, divieto dell’abbigliamento femminile tradizionale ecc.) che rientrava in un generale programma di occidentalizzazione della vita persiana.

La questione femminile si inserì in questo quadro di novità, soprattutto nell’ambito educativo. Tra il 1928 e il il 1935 le donne ebbero accesso all’Università di Teheran e furono incoraggiate a seguire corsi di studi in Occidente; tutto questo in un quadro di riforme che culminò nel 1944, quando l’istruzione divenne obbligatoria.

L’Iran divenne così un centro nevralgico degli attivismi femminili dell’area, tanto che nel 1932 Teheran ospitò il secondo Congresso delle donne orientali.

Nei successivi anni ’50 videro la luce numerose organizzazioni femminili, tra le quali vanno annoverate Rah-e Now (fondata del 1955) e la Lega Femminile di sostegno alla Dichiarazione dei Diritti Umani (nel 1956). Quindici tra le più importanti organizzazioni andarono a formare nello stesso anno una federazione chiamata Consiglio Superiore delle Organizzazioni Femminili in Iran, i cui sforzi erano indirizzati verso l’ottenimento del suffragio femminile.

Nonostante l’opposizione di buona parte degli ambienti religiosi, nel 1963 fu riconosciuto alle donne il diritto di voto; ciò rientrava nell’ampio programma di riforme promosso dallo Scià Reza Pahlavi, programma conosciuto come “Rivoluzione Bianca”. Sei donne furono elette al Majlis (Parlamento).

Nel corso degli anni ’60 la partecipazione politica femminile a ruoli attivi ed istituzionali divenne consistente. Donne elette nei consigli comunali di piccole e grandi città, donne nel corpo diplomatico, donne attive nel sistema giudiziario, dove, a partire dal 1969, cinque donne ricoprirono il ruolo di giudice; donne nei servizi governativi, nel campo dell’educazione, della sanità e dello sviluppo.

Per le più alte cariche governative si dovrà attendere il 1968, anno in cui Farrokhru Parsa, una delle sei donne già elette al Majlis, divenne Ministro dell’Educazione.

Ottenuti risultati in ambito istituzionale, con il diritto di voto e l’ingresso in importanti cariche politiche ed amministrative, i movimenti femminili si impegnarono sul piano sociale. Una nuova coalizione di gruppi femminili, facente capo all’Organizzazione delle Donne dell’Iran, si fece portavoce della lotta per il miglioramento della condizione femminile nei diversi ambiti sociali. Il lavoro e la promozione dell’educazione delle donne divenne il punto centrale dell’attivismo delle volontarie dell’organizzazione, le quali però stavolta si impegnavano nella difesa della cultura tradizionale ed islamica della nazione.

Nel 1975 fu emanata la Legge per la Tutela della Famiglia. Fissando nuove regole per il matrimonio, per la richiesta di divorzio, per la tutela della prole, per la poliginia, il testo di legge apportava sostanziali modifiche alla condizione femminile.

I dati del 1978 riportano che all’epoca 22 donne furono elette al Majlis, 2 in Senato. Tre sottosegretari, un ministro, un governatore e un sindaco erano di sesso femminile, senza contare l’elevato numero di donne impegnate a livello locale e investite di cariche politiche di minor rilievo.

 

 

Dopo la Rivoluzione Islamica

 

La Rivoluzione Islamica del 1979, alla quale le donne iraniane danno un apporto decisivo, provoca la caduta del regime dello Scià ed instaura la Repubblica Islamica. L’ordinamento politico iraniano si conforma ai principi della cultura religiosa del Paese, che ha trovato il suo massimo interprete nell’ayatollah Khomeyni. Diritti e doveri dei cittadini, uomini e donne, vengono perciò stabiliti da una legge che ha le sue fonti principali nella Rivelazione coranica e nella condotta esemplare del Profeta Muhammad.

La legislazione precedente viene riveduta in base ai principi islamici; per quanto riguarda in particolare la vita delle donne, la legge sulla famiglia emanata dallo Scià viene abolita qualche mese dopo la Rivoluzione. Già nel 1967 l’ayatollah Khomeyni aveva espresso il suo dissenso in relazione ad essa: “La legge sulla famiglia che è stata recentemente discussa al Parlamento su ordine di agenti stranieri, per distruggere i valori islamici e il nucleo della famiglia musulmana, è contraria ai comandamenti dell’Islam” (Adelkhah Fariba, La révolution sous le voile. Femmes islamiques d’Iran, Khartala, Paris 1981, p. 63).

In genere, i mutamenti della condizione femminile dopo la Rivoluzione da una parte producono un ripiegamento familiare della donna, ma nello stesso tempo evidenziano una sua più marcata presenza nella vita pubblica. Nella Costituzione della Repubblica Islamica emerge una concezione dell’unità familiare in cui “la donna viene riscattata dalla condizione di oggetto o di strumento di lavoro a servizio del consumismo edello sfruttamento. Mentre riacquista l’importante e grande dovere di madre, ossia la crescita di individui musulmani, è presente accanto agli uomini nelle diverse attività della vita. Di conseguenza le è affidata una responsabilità maggiore e le è riconosciuto un valore superiore” (Introduzione alla Costituzione della Repubblica Islamica, Centro Culturale Islamico Europeo, Roma 1982, pp. 7-8).

Due princìpi della Costituzione, nel capitolo consacrato ai diritti della nazione, si riferiscono direttamente alle donne. L’art. 21, in particolare, afferma: “Il governo ha il compito di garantire in tutti i campi i diritti della donna, nel rispetto delle leggi islamiche, e di mettere in atto quanto segue:

– creazione di condizioni che favoriscano lo sviluppo della personalità della donna e l’attuazione dei suoi diritti nella sfera materiale e spirituale;

– assistenza alle madri, in particolare nel periodo della gestazione e della crescita dei figli e protezione dei bambini privi di tutela familiare;

– istituzione di tribunali competenti al fine di difendere la stabilità della famiglia;

– costituzione di un’assicurazione specifica a favoredelle vedove e delle donne anziane prive di sostegni;

– assegnazione della tutela dei figli, in vista del loro bene, alle madri che ne siano degne, qualora sia assente un tutore legale”.

Mentre il diritto di voto e di eleggibilità non viene modificato, alle donne sono interdette la carriera giudiziaria e quella militare. Tuttavia nel 1986 viene autorizzato l’addestramento militare femminile e l’addestramento per l’autodifesa civica delle donne.

Tra le norme stabilite dal regime dello Scià, viene abrogata quella risalente al 7 gennaio 1937 (“Giornata della donna”), che, nell’ottica di una occidentalizzazione dei costumi, vietava alle donne di portare il velo nei luoghi pubblici. L’ordinamento rivoluzionario, nel contesto di una restaurazione del costume tradizionale islamico, inizialmente prescrive alle donne di coprire i capelli col velo (in persiano: hejab) negli uffici pubblici, poi estende la prescrizione a tutti i luoghi pubblici. La concezione sottostante a tale norma è stata illustrata dalle militanti islamiche con parole d’ordine di questo tipo: “La donna velata è una perla nella sua conchiglia”; “Il velo è la barricata delle donne”; “Colei che è bella per il suo pensiero, non mette in mostra la bellezza del suo corpo”; “La mancanza del velo è per la donna il massimo dell’asservimento intellettuale”.

L’associazionismo femminile riceve un notevole impulso. Nel 1979 nasce la “Società delle donne della Rivoluzione Islamica”. Nel 1984 viene istituito l’Ufficio per lo studio delle questioni femminili, che dirige l’Università femminile “Al-Zahra” di Teheran. Nel 1987 viene creato il Consiglio culturale e sociale della donna, che agisce sul piano giuridico per tutelare le donne nel lavoro, nella famiglia e nella società. Tutte le fondazioni di assistenza sociale create dopo la Rivoluzione hanno una sezione femminile diretta da donne.

Per quanto riguarda l’istruzione, nasce tutta una serie di scuole femminili. Oggi la maggioranza delle lauree universitarie è stata conseguita da donne. Ma un dato ancor più clamoroso è che la scuola teologica di Qom (il vivaio dell’élite religiosa iraniana e non solo iraniana) consente alle donne di raggiungere la qualifica di marja-e taqlid, che nella gerarchia religiosa sciita è una delle più elevate.

Per venire ai giorni nostri, durante il secondo mandato del Presidente Ahmadinejad l’Assemblea Nazionale di Teheran annovera otto donne. Nel governo, il Ministero della Sanità è stato affidato a una donna, Marzieh Vahid Dastjerdi, ginecologa, già impegnata nello stesso Ministero.

In genere i mezzi d’informazione occidentali, mobilitati da lungo tempo in una vera e propria campagna di demonizzazione della realtà iraniana, passano sotto silenzio il fenomeno della partecipazione femminile alla vita sociale, politica e religiosa della Repubblica Islamica, preferendo presentare al pubblico occidentale icone femminili che, quando non sono quelle di un’assassina come la famigerata Sakineh, rappresentano pur sempre un fenomeno di alienazione culturale caratteristico di ambienti socialmente e topograficamente limitati. Le figure femminili divulgate dalla propaganda occidentale come figure esemplari di una idealizzata dissidenza femminile appartengono infatti a quel ceto alto borghese che è sopravvissuto alla Rivoluzione del 1979 e che si trova concentrato, ad esempio, nei quartieri alti di Teheran Nord.

Nei movimenti femminili iraniani troviamo dunque due orientamenti distinti e contrastanti. Da una parte abbiamo la rivendicazione del diritto-dovere della donna di partecipare in maniera organica alla vita sociale, in linea con la tradizione islamica; dall’altro, la rivendicazione egualitaria di una parità assoluta tra individuo maschile e individuo femminile. Mentre la prima tendenza trova espressione nelle istituzioni rivoluzionarie, la seconda corrisponde invece a quella cultura d’importazione che si era già espressa in Iran all’epoca dello Scià. Al ruolo attivo e costruttivo della tendenza islamica fa dunque riscontro l’azione di fronda e di protesta svolta dalla tendenza “laica” e occidentalista, che talvolta si è manifestata in azioni di aperta contestazione.

In sostanza, la realtà delle donne iraniane è ben diversa da come viene dipinta dai mezzi di informazione di massa occidentali, che spesso obbediscono a logiche di propaganda del tutto estranee ad una disinteressata ricerca della verità. Alla luce della ricostruzione storica dei movimenti per i diritti femminili, alcune considerazioni possono essere fatte: le donne iraniane esistono e partecipano da protagoniste alla vita sociale e politica del loro Paese.

 

 

    * Claudia Manili è Dottoressa Magistrale in Relazioni Internazionali presso l’Università degli Studi di Milano.

 

 


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