Fonte: “ESReport”, 5 ottobre 2009
Il nuovo governo di centrodestra tedesco non modificherà di una virgola la politica verso la Russia. Non ci saranno stravolgimenti, ripercussioni, cambiamenti di rotta. Berlino e Mosca continueranno ad avere buoni, ottimi rapporti. Anzi, l’asse si salderà sempre di più. Basta sapere come vanno le cose oggi e dare un’occhiata a qual è stata la strategia al Kanzleramt e al Cremlino negli ultimi vent’anni.
Di più. Si può andare addirittura a ripescare l’inizio della Ostpolitik di Willy Brandt e Walter Scheel per capire come anche Angela Merkel e Guido Westerwelle calcheranno le orme dei loro predecessori, di qualsiasi colore. Chi ventila o addirittura auspica un dietrofront che da Mosca riporti acriticamente e automaticamente verso Washington rimarrà deluso. I tedeschi non sono fessi. Sono pragmatici. E i russi pure. Ma rimaniamo in Germania.
Durante gli ultimi quattro anni alla Cancelleria c’è stata la Merkel e all’Auswärtiges Amt c’è stato Frank Walter Steinmeier, vicinissimo a Gerhard Schröder. Steinmeier ha continuato sulla linea dell’ex leader della Spd: è stato lui a tenere i rapporti con Mosca. L’Ostpolitik è stata cosa socialdemocratica negli ultimi undici anni: sotto Schröder non l’ha fatta certo il ministro degli Esteri in scarpe da tennis, quello Joschka Fischer che fa ora il lobbysta per il Nabucco e la Bmw, destino strano per un verde.
Ma l’amicizia con Mosca prima dell’amico rosso di Putin l’ha curata il buon vecchio cristianodemocratico Helmut Kohl, cancelliere nero per sedici anni (1982-1998) e grande amico prima di Mikhail Gorbaciov poi di Boris Eltsin. Non solo architetto della riunificazione tedesca e dell’ancoraggio della Germania unificata all’Unione Europea, ma anche e soprattutto colui che ha voluto far riappacificare Berlino e Mosca nell’ottica di una nuova partnership continentale. Kohl, Cdu, ha governato con i liberali: il suo ministro degli Esteri Klaus Kinkel è stato il successore di Hans Dietrich Genscher, il padrino di Guido Westerwelle. Tutti gialli all’Auswärtiges Amt.
E così torniamo ancora indietro, quando insieme alla Spd ancora ben viva, quella di Brandt e poi di Helmut Schmidt, il liberale Genscher (praticamente dal 1974 al 1992 sempre agli Esteri in coabitazione prima con cancellieri rossi e poi con quello nero) ha tessuto le reti della Ostpolitik inventata proprio da chi era venuto prima di lui come ministro degli Esteri in una coalizione socialliberale o rossogialla che dir si voglia: Scheel, per nove giorni l’unico cancelliere facente funzioni liberale che la Germania ha mai avuto, poi diventato Bundespresident.
La Germania di oggi, quella del duo Merkel-Westerwelle, piacerà forse un po’ meno a Mosca per la forma, ma sulla sostanza non c’è tanto di nuovo da inventarsi. Con quasi cinquemila imprese tedesche di ogni ordine di grandezza presenti in Russia, gli interessi (reciproci) vanno oltre il colore delle coalizioni. Certo, non è più il tempo delle saune e vodke tra Kohl e Eltsin o delle slittate in famiglia tra Putin e Schröder. Il fattore spettacolo ne risentirà, non il business.
E la Ostpolitik la faranno da oggi ancor più Eon, Basf e compagnia che non il simpatico Guido, i cui elettori vengono proprio da quei settori dell’industria e della finanza che vedono nella Russia un “partner irrinunciabile”.
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