Ahmed Bensaada, Global Research, 11 ottobre 2012
 
 
Le scienze sperimentali studiano le proprietà di un materiale spesso sottoponendone un campione a un certo segnale. L’analisi della risposta del campione al segnale determina le caratteristiche del materiale, spesso nascoste. Per quanto sorprendente possa sembrare, è lo stesso nelle discipline umanistiche. A questo proposito, le risposte politiche e sociali suscitate dalla pizza islamofoba intitolata “L’innocenza dei musulmani” sono istruttive in più di un modo. Infatti, anche se di qualità molto scarsa, il “segnale d’interferenza” ha contribuito a portare alla luce alcune interessanti informazioni sui paesi democratizzatori e i paesi arabi “democratizzati”, in grazia della recente primavera.
In primo luogo, a mo’ di prologo, si noti che è inaccettabile che una persona, a prescindere delle sue azioni o appartenenze ideologiche, sia gettata alla folla, torturata in luogo pubblico o linciata da folle isteriche. Inoltre, si noti che non vi è niente di più degradante che gioire per la morte di un essere umano, deliziarsi delle sordide scene di tortura o godere svilendo, insultando o deridendo un cadavere. Solo la giustizia deve essere invocata ed applicata in conformità con le leggi e i trattati internazionali.
 
 
 
Tortura, omicidio e comportamentismo
 
L’aria triste esibita sinceramente dalla Clinton dopo l’esecuzione del suo ambasciatore in Libia,è in netto contrasto con la sua impudente (e sincera) risatina di gioia alla notizia del terrificante linciaggio di Gheddafi. Lasciandosi anche andare ad una efferata tirata indecente “Siamo venuti, abbiamo visto, è morto” riferendosi più al film “Ghostbusters” [1], che a Giulio Cesare [2]. Inoltre, a differenza di quelle del diplomatico statunitense, le immagini della “Guida” libica, massacrata ed esposta come un trofeo di caccia al fianco di suo figlio, sono rimbalzate sui titoli dei giornali, del web e della televisione di tutto il mondo. Due vili eventi simili, ma due trattamenti mediatici contrastanti. D’altra parte, vale la pena ricordare che l’esposizione dei cadaveri di due membri della famiglia Gheddafi non solo è in totale contrasto con le regole basilari della giustizia, ma anche con i principi fondamentali della religione islamica e il rispetto della dignità umana. In termini di giustizia, coloro che hanno torturato e brutalmente assassinato Gheddafi possono essere identificati, perché appaiono apertamente nei video pubblicati su Youtube, e alcuni di loro si sono addirittura vantati delle loro azioni. Tuttavia, nessuno di loro è stato disturbato da una qualsiasi giurisdizione e ciò non ha offeso nessuno, né in Libia, né in occidente o altrove.
Un’altra visione dell’esecuzione di Gheddafi è stata rivelato dall’ex primo ministro libico Mahmud Jibril. Quest’ultimo ha spiegato a Dream TV (Egitto) come l’autore dell’omicidio “sia stato un agente straniero che era nelle brigate rivoluzionarie”. Secondo il quotidiano italiano “Corriere della Sera”, si tratterebbe probabilmente di un agente francese [3], che coinvolge la Francia direttamente nell’assassinio di Gheddafi, oltre agli aiuti militari di quel paese agli stessi insorti che hanno torturato l’ex Guida della Libia.
Nel caso del diplomatico statunitense, la condanna internazionale è stata unanime, cosa abbastanza naturale e di buon senso, in contrasto con l’atteggiamento adottato dalla “comunità internazionale” verso Gheddafi e la sua fine orribile. Inoltre, l’ira degli Stati Uniti è stata sentita dalle autorità libiche, accorse a trovare i colpevoli [4] e a rendere omaggio pubblico all’ambasciatore degli Stati Uniti, alla fine di una cerimonia. [5] Ma al di là di questo macabro confronto sul diverso trattamento di queste due persone brutalmente assassinate, ciò che richiama l’attenzione, in questo caso, è più profondo. In primo luogo, la reazione della piazza verso il video anti-Islam è estremamente virulento, nella maggior parte dei paesi arabi “primaverizzati” rispetto a quelli che non lo sono. In secondo luogo, i classici virulenti slogan anti-americani sono ricomparsi nei paesi arabi “democratizzati”, laddove erano già completamente scomparsi all’inizio della “primavera” araba.
 
 
 
Libia

Questa improvvisa inversione di tendenza nei paesi, “molto grati” verso coloro che li hanno “democratizzati”, ha sorpreso molti, in particolare la segretaria di Stato Hillary Clinton che, come sappiamo, era ampiamente coinvolta in questo compito [6]. “Molti americani si chiedono oggi, e mi sono chiesta, come questo possa accadere. Come questo sia accaduto in un paese che abbiamo aiutato a liberare, in una città che abbiamo aiutato a sfuggire alla distruzione?” Ha detto, parlando della Libia. [7] Ciò l’ha portata a chiedere, specificatamente alle “nazioni della primavera araba”, di proteggere le ambasciate degli Stati Uniti e a por fine alle violenze. [8] Si è lontani dalle dichiarazioni incandescenti del senatore McCain, che visitando Bengasi nell’aprile 2011, aveva espresso la sua opinione sui ribelli libici: “Ho incontrato questi combattenti coraggiosi, non sono di al-Qaida. Al contrario: sono patrioti libici che vogliono liberare la loro nazione. Dobbiamo aiutarli a farlo”. [9] Ancor più lontana la posizione di Bernard-Henri Lévy (BHL), avvocato supremo “della causa della Libia”, che a Natalie Nougayrède ha detto: “Non importa, a mio avviso, il passato “gheddafista” di alcuni membri del CNT, i riferimenti alla “sharia” o la presenza tra i ribelli di ex sostenitori di al-Qaida”. Nonostante le preoccupazioni, nulla ha dissuaso il filosofo, il grande distruttore dell'”islamo-fascismo” ad erigere in blocco gli insorti a combattenti per la libertà”. [10]
In realtà, e anche se lo dicono McCain e BHL, era noto che gli ex membri di al-Qaida non solo erano attivi nella ribellione libica, ma ne erano al comando. [11] Alcuni di loro erano membri influenti del Gruppo combattente islamico (ICG) libico, quando nel 2007, lo stesso Ayman al-Zawahiri (n° 2 di al-Qaida) aveva chiamato i libici a rivoltarsi contro, cito, “Gheddafi, gli Stati Uniti e gli infedeli”. [12] Forse c’è una risposta alla domanda di Clinton. 
 
 
 

Tunisia
 
Anche in Tunisia, la reazione della strada è stata violenta. Nessun diplomatico straniero è stato ucciso, ma dei manifestanti tunisini hanno perso la vita e degli interessi statunitensi sono stati saccheggiati a Tunisi. Come in Libia, l’ira del governo degli Stati Uniti si è sentita e la risposta delle autorità tunisine non si è fatta attendere. Moncef Marzouki, presidente tunisino, ha denunciato l’attacco contro l’ambasciata degli Stati Uniti a Tunisi, vedendovi un atto “inaccettabile” nei confronti di un “paese amico”. In un colloquio con la segretaria di Stato degli USA, ha affermato che “Non confonderemo oggi quest’uomo (il regista del film, ndr) e l’amministrazione e il popolo americani (…)”[13]. Il Primo Ministro tunisino, Hamadi Jebali, a sua volta ha promesso di arrestare tutti i salafiti coinvolti nelle vicende dell’ambasciata statunitense. “Abbiamo le prove, abbiamo la legittimità e il rispetto, che useremo per imporre l’ordine”, si affrettava a sottolineare [14]. In una dichiarazione ad al-Hayat di Londra, il presidente del partito al-Nahda, Rashid Ghannouchi, nel frattempo aveva detto che gli attacchi contro le ambasciate degli Stati Uniti nei paesi arabi avevano lo scopo di rompere il dialogo tra gli Stati Uniti e gli islamisti. [15]
E’ interessante notare la forza e l’unanimità delle posizioni assunte dalle più alte personalità politiche della “nuova” Tunisia contro i salafiti, in netto contrasto con la clemenza relativa, con cui sono state trattate queste persone nei molti casi di violenze che hanno segnato la vita socio-politica della Tunisia dalla caduta di Ben Ali. Questo è ciò che è stato detto nell’editoriale di Ghorbal Abdellatif: “Da un lato [Ghannouchi] ha incoraggiato i suoi “figli” (con la sua compiacenza, le sue parole e il suo silenzio) ad aggredire donne non velate, artisti, giornalisti, docenti universitari, intellettuali, teologi, o altri, esortando i predicatori di odio, che non hanno nulla da invidiare ai loro omologhi occidentali islamofobi, e impedendo con tutti i suoi mezzi di adottare sanzioni nei confronti dei suoi seguaci salafiti. Quando il pompiere è un piromane, è normale e prevedibile che la nazione bruci”. [16]
 
 
 
Egitto

In Egitto, la violenza ha ricordato i giorni peggiori di piazza Tahrir. La zona intorno l’ambasciata statunitense a Cairo ha visto scontri tra manifestanti e le forze di sicurezza che avevano bloccato l’accesso all’edificio con blocchi di cemento. Come in altri paesi, i salafiti sono stati ritenuti responsabili delle violenze. Da parte sua, la televisione ha mostrato i volti di persone arrestate con l’accusa di essere teppisti al soldo di non si sa quale potere occulto. Il presidente egiziano Mohamed Morsi, degli influenti Fratelli Musulmani, ha inizialmente sostenuto le proteste pacifiche contro il video anti-islamico, prima di cambiare idea quando le proteste si sono scatenate per le strade di Cairo. Ha poi condannato con forza gli attacchi brutali contro l’ambasciata statunitense a Cairo. [17]
In una conversazione telefonica con il presidente statunitense, Mohamed Morsi  ha detto, “ho dovuto prendere provvedimenti legali contro tutti coloro che vogliono danneggiare le relazioni tra i popoli, specialmente tra il popolo egiziano e gli Stati Uniti”[18]. Come si può vedere, questa dichiarazione del presidente Morsi assomiglia stranamente quella di Rashid Ghannouchi. Da parte loro, i Fratelli musulmani avevano inizialmente indetto manifestazioni pacifiche in tutto l’Egitto, il 14 settembre 2012, dopo la preghiera del venerdì, per denunciare il video anti-Islam. Il giorno prima, Khairat al-Chater, numero due ed eminenza grigia della confraternita è stato accusato dal portavoce dell’ambasciata degli Stati Uniti a Cairo, di doppio gioco; in uno scambio di sottigliezze su tweeter, il diplomatico ha sottolineato che l’islamista sosteneva la riappacificazione nei suoi micromessagi in inglese, ma chiamava a manifestare in quelli scritti in arabo. [19] Un duro colpo per Khairat al-Chater, che avrebbe dovuto essere il primo “reale” presidente civile d’Egitto.
L’appello a protestare pacificamente è stato poi cancellato dalla fratellanza. Un secondo colpo per coloro che si definiscono “difensori” dell’Islam e del suo profeta, è giunto quando scoprirono, una volta al potere, che i principi religiosi e la ragione di Stato non vanno sempre mescolati.
Al fine di compiacere il governo degli Stati Uniti e rimanere in sintonia con i ritmi post-islamisti della primavera, Khairat al-Chater ha scritto un articolo sul New York Times per offrire le condoglianze della fratellanza, e della sua gente, al popolo statunitense per la perdita del suo ambasciatore in Libia. Aveva inoltre indicato che “la violazione della sede dell’ambasciata degli Stati Uniti da parte dei manifestanti egiziani è illegale secondo il diritto internazionale” e che “il fallimento della polizia (egiziana) nel proteggerla deve essere indagato”, o “Nonostante il nostro risentimento per la continua comparsa di produzioni cinematografiche anti-musulmane, che ha portato alle violenze attuali, non vogliamo che il governo degli Stati Uniti o i suoi cittadini siano ritenuti responsabili degli atti di pochi che violano le leggi che proteggono la libertà di espressione”. [20]
Devo dire che il presidente egiziano e la Fratellanza musulmana da cui proviene, puntano molto su questo caso. E’ davvero il loro primo grande test verso le attività di polizia e protezione degli interessi statunitensi nel paese. In cambio del supporto e sostegno fornito dal governo degli Stati Uniti per l’ascesa al potere della Fratellanza islamica in questo paese [21], gli Stati Uniti si aspettano (almeno) la sicurezza del loro personale e delle loro rappresentanze diplomatiche. Questo è anche il caso di tutti i paesi arabi colpiti dalla famosa “Primavera”, e le cui premature e inattese manifestazioni anti-americane hanno sconcertato il Dipartimento di Stato e la sua segretaria. Nel caso dell’Egitto, la tempistica di questi eventi ha causato ulteriori preoccupazioni.
Infatti, in un articolo pubblicato dal Washington Post, A. Gearan e M. Birnbaum ricordano che “le violente manifestazioni innescate dal video anti-Islam e la risposta inizialmente goffa dell’Egitto, ha temporaneamente interrotto i negoziati [tra gli Stati Uniti e l’Egitto] sul rilevante debito egiziano di miliardi di dollari e sull’accelerazione di altre forme di sostegno, da diversi milioni di dollari” [22]. D’altra parte, la capitale egiziana ha ospitato, l’8-11 settembre 2012, una delegazione molto grande composta da non meno di 118 uomini d’affari statunitensi, in rappresentanza di 50 grandi aziende statunitensi, tra cui IBM, Pepsi, Coca-Cola, Chrysler, Google, Microsoft, Visa, ecc. [23]. La delegazione degli Stati Uniti, la più grande ad aver visitato un paese del Medio Oriente, era stata ricevuta dal presidente Morsi il 9 settembre. Tuttavia, le manifestazioni anti-americane in Egitto hanno avuto inizio l’11 settembre, giorno della cerimonia di chiusura della missione commerciale, cosa che non avrà fornito un’immagine attraente del paese ospitante presso questi affaristi, cui il mercato egiziano sembrava interessare.
 
 
 
La “chiarezza” di un famoso telepredicatore

Il quadro della situazione sarebbe certamente incompleto senza i consigli di Youssef al-Qaradawi, il predicatore stella di al-Jazeera e presidente dell’Unione Mondiale degli Ulema musulmani. Membro influente dei Fratelli musulmani, al-Qaradawi ha dedicato il suo sermone del venerdì, 14 settembre 2012, in una moschea di Doha, alla rabbia dei musulmani di tutto il Mondo. Ha “consigliato” i fedeli che vogliono protestare contro l’offensivo film prodotto negli Stati Uniti, ad “abbandonate le violenze e a non assediare l’ambasciata degli Stati Uniti”. [24] Questa posizione molto “civile” e così benevola verso gli interessi statunitensi, contrasta nettamente con gli appelli all’omicidio di  Gheddafi e le esortazioni alla jihad contro il regime di Bashar al-Assad. Ricordiamo che ad al-Qaradawi, di origine egiziana e in possesso di un passaporto diplomatico del Qatar, è stato vietato di entrare in Francia da Sarkozy in persona, nel marzo 2012 [25], che il suo visto per la Gran Bretagna è stato rifiutato nel 2008 [26], ed è considerato persona non grata negli Stati Uniti. [27]
Infine, possiamo dire che il video incendiario “l’Innocenza dei musulmani”, ha rivelato apertamente che il rispetto per la dignità umana è un concetto molto relativo, al contrario di ciò che viene spesso presentato nelle cerimonie pompose dell’occidente o altrove. D’altra parte, ha dimostrato che i governi islamici attualmente al potere nei paesi colpiti dalla “primavera” araba, si comportano come vassalli del “grande amico” Stati Uniti, pur di rimanere nelle sue buone grazie e non aggravare la sua ira. Ciò suggerisce che la “primavera” araba non ha in realtà cambiato per nulla la fedeltà dei leader di questi paesi verso gli Stati Uniti. Tuttavia, vi è un aspetto importante del problema posto dal video anti-Islam che gli occidentali (e gli statunitensi in particolare) non sembrano capire: non sono solo i salafiti che si sentono insultati da questa pizza. La stragrande maggioranza dei musulmani di tutto il mondo lo è, anche se questa maggioranza non ha dimostrato, né gridato, né distrutto. 

 
 
Ahmed Bensaada, http://www.ahmedbensaada.com/
 
 
1 – “We came. We saw. We kicked its ass.”(Siamo venuti. Abbiamo visto. L’abbiamo preso a calci). Frase del film Ghostbusters: Dedefensa, “Siamo venuti, abbiamo visto, è morto” (ma “il troppo è troppo”…) 21 ottobre 2011, http://dedefensa.org / article-_we_came_we_saw_he_died_mais_assez_c_est_assez__21_10_2011.html
2 – “Veni, Vidi, Vici” (Sono venuto, ho visto, ho vinto). Famosa frase pronunciata da Giulio Cesare.
3 – Lorenzo Cremonesi, “Un agente francese dietro la morte di Gheddafi”, Corriere della Sera, 29 settembre 2012
4 – AFP, “Libia: 50 arresti dopo la morte dell’Ambasciatore degli Stati Uniti,” Jeune Afrique, 16 settembre 2012
5 – RFI, “la Libia rende omaggio all’ambasciatore americano ucciso a Bengasi,” 21 settembre 2012,
http://www.rfi.fr/afrique/20120921-libye-rend-hommage-ambassadeur-americain-tue-benghazi
6 – Ahmed Bensaada “Arabesco americano: il ruolo degli Stati Uniti nelle rivolte di strada araba”, Edizioni Michel Brûlé, Montreal (2011); Éditons Synergy, Algeri (2012)
7 – IIP Digital, “Dichiarazione della Clinton sulla morte di americani in Libia”, 16 settembre 2012, 
http://translations.state.gov/st/french/texttrans/2012/09/20120912135851.html
8 – Joe Sterling e Greg Botelho, “Clinton chiede ai paesi della primavera araba di proteggere le ambasciate, e fermare le violenze”, CNN, 14 settembre 2012
9 – John McCain, “Dichiarazione del senatore McCain a Bengasi, in Libia”, Senato degli Stati Uniti, 22 aprile 2011
10 – Natalie Nougayrède “BHL alfiere libico” LeMonde.fr, 8 novembre 2011
11 – Jean-Pierre Perrin, “Abdelhakim Belhaj, il ritorno di al-Qaida”, Libération, 26 agosto 2011,
http://www.liberation.fr/monde/01012356209-abdelhakim-belhaj-le-retour-d-al-Qaeda
12 – Ibidem.
13 – AFP, “Video anti-Islam: Il mondo arabo ha vissuto un venerdì sanguinoso” LeParisien.fr 14 settembre 2012
14 – Digital Tunisia “Tunisia: Jebali promette di fermare i salafiti coinvolti nelle vicende dell’ambasciata degli Stati Uniti (
http://www.tunisienumerique.com/tunisie-jebali-promet-darreter-un-a-un-les-salafistes-impliques-dans-les-evenements-de-lamabassade-us/147147)”, 28 settembre 2012
15 – Bissan al-Sheikh, “Ghannouchi ad Al-Hayat: l’attacco all’ambasciata è una cospirazione per fermare il dialogo degli islamici con gli americani”, al-Hayat, 30 settembre 2012, 
http://alhayat.com/Details/439628
16 – Abdellatif Ghorbal, “I figli di Ghannouchi non sono tunisini”, Leaders, 19 settembre 2012,
http://www.leaders.com.tn/article/les-enfants-de-ghannouchi-ne-sont-pas– tunisino? id = 9325
17 – Catherine Le Brech, “L’atteggiamento di Mohamed Morsi sul movimento dopo le violenze”, FranceTV.fr 14 settembre 2012, 
http://www.francetv.fr/geopolis/lattitude-mouvante-de-mohamed-morsi-apres -la-violenza-8516
18 – Le Nouvel Observateur, “Mohamed Morsi condanna l’attacco contro la missione degli Stati Uniti a Cairo”, 13 settembre 2012
19 – Benjamin Barthe, “Battibecco su Twitter tra l’ambasciata americana e la Fratellanza musulmana egiziana”, LeMonde.fr, 13 settembre 2012
20 – Khairat al-Chater, “‘Le nostre condoglianze’, dicono i Fratelli musulmani”, The New York Times, 13 settembre 2012
21 – Ahmed Bensaada, “L’Egitto: elezioni presidenziali sotto un’alta influenza”, Le Quotidien d’Oran, 28 giugno 2012
22 – Anne Gearan e Michael Birnbaum, “Gli aiuti degli Stati Uniti in Egitto in fase di stallo,” The Washington Post, 17 settembre 2012
23 – Camera di commercio statunitense, “Missione del Business USA in Egitto. Elenco delle società degli Stati Uniti partecipanti”, 
http://www.amcham.org.eg/us_delegation/list.asp
24 – AFP, “Al-Qaradawi: Sono in errore coloro che uccidono gli ambasciatori e rispondono con la violenza agli insulti contro l’Islam,” Elaph, 14 settembre 2012, 
http://www.elaph.com/Web/ news/2012/9/761750.html
25 – Malbrunot , “Sarkozy contro l’arrivo di Youssef Al-Qaradawi”, LeFigaro.fr 26 marzo 2012
26 – BBC News, “Religioso musulmano non ammesso nel Regno Unito”, 7 feb 2008
http://news.bbc.co.uk/2/hi/uk_news/7232398.stm
27 – Middle East Online, “Qaradawi ‘persona non grata’ in Francia”, 26 marzo 2012, 
http://www.middle-east-online.com/english/?id=51397

Copyright © 2012 Global Research


Traduzione di Alessandro Lattanzio
http://sitoaurora.altervista.org/home.htm
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