La guerra ispano-americana
La relazione tra Porto Rico e Stati Uniti si instaura a partire dalla fine dell’Ottocento, a seguito della guerra ispano-americana (1).
Già dal 1895 Cuba combatteva il governo coloniale spagnolo per ottenere la propria indipendenza; l’opinione pubblica statunitense era interessata all’evoluzione di tale scontro e l’esplosione della nave americana Maine nel porto dell’Avana, avvenuta il 15 febbraio del 1898, ne segna la discesa in campo diretta, il 25 aprile dello stesso anno .
La breve guerra si conclude con la netta vittoria degli Stati Uniti, talmente rapida e schiacciante da essere ricordata nella storia statunitense come splendid little war (2).
La fine del conflitto porta con sé numerose conseguenze geopolitiche, definite nel Trattato di Parigi; infatti la Spagna è costretta a cedere agli Stati Uniti i territori di Porto Rico, l’Isola di Guam e le Filippine; inoltre Cuba vede finalmente riconosciuta la propria indipendenza.
Da questo momento inizia l’ingerenza statunitense nel territorio di Porto Rico, che diventa progressivamente più pervasiva. Nel 1917 viene imposta la cittadinanza statunitense ai portoricani; in questo modo infatti gli Stati Uniti possono disporre di migliaia di soldati da inviare al fronte per la Prima Guerra Mondiale ormai in corso.
Inoltre, la cittadinanza porta con sé l’imposizione della lingua inglese come lingua ufficiale, a cui si arriverà ad affiancare lo spagnolo solo nel 1947.
A questo punto l’influenza statunitense non può essere considerata una questione meramente formale, ma va a toccare alcuni dei tratti più intimi e fondativi di un popolo, quali la cittadinanza e la lingua.
Lo status di Stato Libero Associato
Ciò che invece sembra essere legato più alla formalità che non alla sostanzialità dei rapporti è la decisione, presa nel 1952, di attribuire a Porto Rico lo status giuridico di Estado Libre Asociado, o Commonwealth, se si predilige il termine inglese (4). Questa infatti è una delle questioni maggiormente discusse all’interno del Paese, in cui i partiti ancora oggi si differenziano principalmente in base alla propria posizione rispetto a questo tema.
Il fatto di essere uno Stato Libero Associato si traduce infatti in diverse conseguenze pratiche per i portoricani residenti sull’isola, soprattutto sul piano della cittadinanza e dei diritti comunemente associati ad essa.
Il problema principale e “umiliante”(5) è che i portoricani residenti sull’isola non hanno diritto di voto né per il Congresso, né per il Presidente degli Usa, ma sono soggetti ai provvedimenti e alle leggi da essi adottati, anche in settori cruciali come la politica estera e la difesa.
Si rileva quindi un forte deficit nel diritto alla rappresentanza politica, a dir poco paradossale se si ricorda l’Indipendenza americana e il suo motto “no taxation without representation”.
Ci si aspetterebbe quindi una rivendicazione di indipendenza effettiva da parte dei portoricani, forse un moto di orgoglio, in difesa della propria dignità come popolo e in nome del diritto all’autodeterminazione.
Ma ciò non accade. Al contrario, i portoricani chiedono di poter stringere un legame ancor più saldo con l’ex potere coloniale, esprimendo il desiderio di diventare parte degli Stati Uniti. Perché?
É necessario ricordare i vantaggi, principalmente economici, che mantengono Porto Rico saldamente appigliata a questa strana relazione. Innanzitutto la libertà di immigrazione in Usa di cui godono i portoricani, che oltre all’accesso a una società più benestante, permette anche l’acquisizione del diritto di voto (che il medesimo cittadino non ha se risiede in Porto Rico). Inoltre Porto Rico può vantare il pil procapite più elevato dell’America Latina, anche se rimane comunque inferiore a quello di tutti i 50 Stati federali (6).
Porto Rico sembra essere un Paese a metà strada tra Usa e America Latina. La cultura è certamente segnata dall’appartenenza caraibica: il cibo, la musica, le tradizioni, la lingua costituiscono un’identità irrinunciabile, che ha saputo resistere a più di cento anni di ingerenza statunitense.
Bisogna però tenere conto anche della situazione reale del Paese, che è economicamente legato, per non dire dipendente, dalla rete commerciale statunitense ed è anche beneficiario di parte della spesa sociale degli Usa.
Lo scenario politico
Il panorama politico portoricano riflette la situazione del Paese ed è segnato infatti dalla contrapposizione di tre partiti maggioritari, i quali si confrontano principalmente sullo status dell’isola; essi incarnano cioè le tre posizioni possibili rispetto al futuro assetto statale e al rapporto con gli Stati Uniti.
In particolare, il Partito Popolare Democratico (PPD) vuole mantenere lo status giuridico attuale di Estado Libre Asociado; il Nuovo Partito Progressista (PNP) è promotore dell’incorporazione agli Stati Uniti, volendo fare del Porto Rico il cinquantunesimo Stato federale. Infine l’istanza indipendentista viene fatta propria dal Partito Indipendentista Portoricano (PIP), nettamente minoritario.
Diversi referendum sono stati effettuati a proposito della definizione dell’assetto statale nel corso degli anni: nel 1967, 1993 e 1998; in tutti i casi ha prevalso la scelta del mantenimento dello status quo(7), almeno fino allo scorso novembre.
In tale occasione è emerso un rafforzamento della posizione tipica del PDP; oltre il 61% dei votanti ha infatti espresso il desiderio di rendere Porto Rico il cinquantunesimo Stato degli Stati Uniti.
Gli ostacoli per diventare parte degli Usa non sono però affatto terminati. Innanzitutto il referendum effettuato non è vincolante per Washington; spetta infatti al Congresso approvarne o meno il risultato(8).
Come prevedibile, il Partito Repubblicano si oppone fermamente a una tale evoluzione, mentre in seno al Partito Democratico vengono lasciati aperti degli spiragli di dialogo. Una tale decisione avrebbe comunque una portata estremamente rilevante e probabilmente troppo innovativa: diverrebbe parte degli Stati Uniti uno Stato geograficamente sudamericano, in cui la lingua ufficiale, accanto all’inglese, è lo spagnolo, e in cui la cultura e la società sono spiccatamente segnate dall’appartenenza caraibica.
Il futuro di Porto Rico è ora in attesa delle decisioni del Congresso.
L’identità culturale potrà quindi essere un serio ostacolo alla realizzazione di quanto espresso nel referendum da poco tenutosi in Porto Rico.
Al contrario, un altro Stato del Mar dei Caraibi ha deciso di ribadire la propria specificità culturale e ritiene centrale la riaffermazione della propria indipendenza: si tratta della Giamaica, che nel 2012 ha festeggiato il cinquantenario della propria indipendenza dalla Gran Bretagna.
Giamaica e Gran Bretagna
La Giamaica ha deciso di intraprendere una strada completamente opposta a quella del Porto Rico.
Il Primo Ministro Portia Simpson Miller, dopo la sua vittoria alle elezioni del 29 dicembre scorso, ha infatti recentemente preso posizione rispetto al rapporto che lega il suo Paese alla Gran Bretagna.
Lo Stato caraibico infatti ha raggiunto l’indipendenza il 6 agosto 1962, ma attualmente fa parte del Commonwealth britannico; ciò comporta essenzialmente la presenza di due figure esterne: la Regina d’Inghilterra come Capo di Stato e un Governatore proveniente dalla Gran Bretagna. Entrambi hanno funzioni puramente simboliche e non sono in condizione di ingerire negli affari interni dello Stato giamaicano, né sembrano averne l’intenzione.
Oggi le finalità e la retorica del Commonwealth infatti non sono più quelle del colonialismo dell’Ottocento; al contrario sembrano ispirarsi ai principi di cooperazione e leale collaborazione tra Stati liberi e indipendenti.
Questa prospettiva è confermata da alcune dichiarazioni della stessa Regina Elisabetta II, la quale nel suo messaggio natalizio nel 2011 ha riaffermato la volontà di proseguire tale forma di partenariato “guardando sempre al futuro, con un senso di cameratismo, calore a reciproco rispetto, mantenendo al contempo la propria individualità”(9).
La Giamaica vuole essere una Repubblica
Il segno del cambiamento viene però annunciato da Porcia Simpson Miller, la quale il 29 dicembre 2012 ha portato il suo partito, il Partito Nazionale del Popolo (PNP), a una netta vittoria sul Partito Laburista. In qualità di Primo Ministro, la Miller ha espresso la volontà di rendere la Giamaica una Repubblica e segnare così la fine di qualsiasi subordinazione a una potenza estera.
La Miller infatti ha dichiarato: “[…]è il momento di una riflessione sulle lezioni del passato; celebrando il nostro successo come nazione indipendente, abbiamo bisogno di completare il percorso di indipendenza. A questo proposito, inizieremo il processo del nostro distacco dalla monarchia per diventare una Repubblica con un nostro Presidente come Capo di Stato”.
La premier giamaicana non manca di confermare i propri sentimenti di stima e rispetto per la Regina d’Inghilterra, ma è chiara nelle proprie intenzioni, le quali sono largamente condivisibili.
Il colonialismo è, o dovrebbe essere, una questione obsoleta, relegata nella storia dell’Ottocento e di inizio Novecento. La Giamaica è uno Stato indipendente da cinquant’anni, situato nel Mar dei Caraibi, la cui popolazione è prevalentemente di origine africana; pensare che il suo Capo di Stato sia la Regina d’Inghilterra appare alquanto anacronistico e anche poco rispettoso dell’indipendenza acquisita e consolidata da cinquant’anni.
Ora la parola spetta al popolo giamaicano, che sarà chiamato ad esprimersi in un referendum per stabilire se avviare una riforma costituzionale in tal senso o mantenere la situazione attuale.
I percorsi dei due Stati sono quindi diametralmente opposti. Mentre il Porto Rico sogna di legarsi in maniera definitiva agli Usa, come cinquantunesimo Stato federale, a pochi chilometri, la Giamaica sembra volersi emancipare da una relazione dal sentore coloniale, di cui si è persa ogni utilità.
*Rachele Pagani, laureanda in Diritti dell’uomo ed etica della cooperazione internazionale, presso l’Università degli Studi di Bergamo
1)http://www.treccani.it/enciclopedia/guerra-ispano-americana
2)Tale denominazione fu utilizzata dal Segretario di Stato John Hay in una lettera indirizzata a Roosevelt; http://www.loc.gov/rr/hispanic/1898/hay.html
4)Puerto Rico:colonia del encanto, Leonardo Lucarelli; http://www.solidarietainternazionale.it/index.php?option=com_content&view=article&id=444:puerto-rico-colonia-del-encanto&catid=62:n-02-feb-2008&Itemid=170
5)e 6) Il futuro di Porto Rico, Maurizio Stefanini; http://temi.repubblica.it/limes/il-futuro-di-porto-rico/24760
7)Puerto Rico:colonia del encanto, Leonardo Lucarelli
8)Porto Rico sceglie di diventare il 51esimo Stato Usa. La maggioranza degli elettori sogna l’America, ma sarà il Congresso ad avere l’ultima parola, Anna Mazzone; http://mondo.panorama.it/Porto-Rico-sceglie-di-diventare-il-51esimo-Stato-Usa
9) http://www.thecommonwealth.org/Internal/191086/150757/head_of_the_commonwealth/
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