Nei giorni scorsi un altro episodio si è aggiunto all’inquietante vicenda “Ergenekon” e al latente scontro istituzionale – mondo politico “filoislamico” contro forze armate laico-massoniche – tuttora in atto, a quel che sembra, in Turchia: è stato rinvenuto infatti un dettagliato documento contenente un “piano di lotta contro i reazionari”, individuati nel partito di governo AKP e nell’organizzazione legata a Fethullah Gűlen, l’intellettuale islamico fautore del dialogo con le altre religioni in chiave di alternativa al materialismo moderno.
Estensore del documento, datato aprile 2009 e costituente pertanto una risposta clandestina e implicita al processo Ergenekon, è il colonnello della Marina Dursun Čiçek (çiçek in turco significa “fiore”), arrestato dalle forze dell’ordine per partecipazione a organizzazione terroristica e immediatamente rilasciato dal tribunale in attesa del processo.
Sulla vicenda si è innestata un’ulteriore polemica, poiché il procuratore militare aveva significativamente ritenuto non doversi procedere contro Čiçek e il Parlamento, in risposta, aveva sancito la possibilità dei tribunali ordinari di giudicare, in determinati casi, i militari.
Un riflesso di questa novità legislativa si ritrova – ma in termini generici e senza precisare l’effettivo contesto dell’iniziativa – nell’intervista fatta al premier Erdoğan da Antonio Ferrari per il Corriere della Sera del 7 luglio (1).
Il generale Basburg, capo di Stato Maggiore delle Forze armate, ha definito il documento rinvenuto “un pezzo di carta” senza importanza: sapremo più avanti se è effettivamente così, ma la circostanza che in Turchia le Forze armate abbiano rovesciato dal 1960 a oggi quattro legittimi governi, nonchè l’incredibile vastità e complessità dell’”affare Ergenekon”, non inducono a sottovalutare a cuor leggero questo ulteriore segnale.
Nel frattempo Unione Europea e Fondo Monetario Internazionale suscitano, per ragioni diverse, perplessità e reazioni nel mondo politico turco: la prima per le resistenze e le lungaggini nella procedura di ammissione, così che oggi – sostiene Erdoğan nella citata intervista – solo il 52 % dei turchi risulta favorevole all’ingresso nella Comunità, contro il 75 % del 2005.
Il secondo per le divergenze sorte nelle trattative in corso da inizio anno e ancora lontane da una soluzione. Anzi, il Primo Ministro ha recentemente ribadito che “il prestito FMI non è strettamente necessario” e che “la Turchia non è tributaria del Fondo”; che, soprattutto, il governo non si può impegnare a smantellare lo Stato sociale per consentire le pesanti riforme strutturali richieste come condizione per la concessione dei finanziamenti.
Il PIL turco è effettivamente in preoccupante discesa ( – 13,8 % rispetto a un anno fa, dati ufficiali della Turkstat), avendo anch’esso risentito della crisi finanziaria internazionale, ma le ricette del FMI sono destinate – qualcuno ad Ankara se ne è evidentemente accorto – a favorire gli interessi di speculatori e banchieri più che del popolo turco.
1. Antonio Ferrari, Da 50 anni attendiamo di entrare nell’ Ue Ora chiedo ai leader una risposta chiara, Corriere della sera, 7 luglio 2009, p. 9.
2. TurkStat – Turkish Statistical Institute
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