Similmente a ciò che avvenne in Italia, la partecipazione alla II Guerra Mondiale della Romania al fianco dell’Asse si concluse a seguito di un repentino cambio di alleanza dovuto a una crisi interna: il 23 agosto 1944 l’arresto del Maresciallo Ion Antonescu portò all’annuncio dell’armistizio con le potenze alleate, disastroso per le forze del Patto Tripartito, che perdevano da un istante all’altro due linee strategiche fondamentali, approvvigionamenti, una moltitudine di  truppe “alleate”, e consegnavano 700 km di direttrice Est-Ovest libera all’Armata Rossa. Hitler stesso, in una conversazione con Ante Pavelić, capo degli Ustascia, avrebbe avuto modo di paragonare gli effetti del 23 agosto al D-day e al crollo del corpo d’Armata centrale in Bielorussia. Lo Stato Maggiore romeno dunque rivolse oltre mezzo milione di effettivi non più verso la Russia ma ad Ovest, contribuendo alla “liberazione” di Ungheria e Cecoslovacchia. Personale civile e militare sovietico occupò tutti i punti chiave della Romania. L’armistizio fu firmato a Mosca il 12 settembre 1944. Gli accordi di pace dei mesi successivi consegnarono – segretamente – il 90% del Paese all’URSS. Come e quanto questa proporzione si sarebbe espletata durante gli anni seguenti sarebbe stato chiaro a partire dal 6 marzo 1945, giorno dell’insediamento forzato del primo governo di orientamento comunista in Romania alla presenza di Andreij Vyšinskij, diplomatico di spicco nonché futuro Ministro degli Esteri sovietico.

La portata di tali dinamiche non deve però trarre in inganno: il socialismo in Romania non aveva attecchito e il PCR non era che una microscopica entità, del tutto aliena alla gran parte della popolazione, che nel ‘37, al culmine della sua espansione, contava poco più di 1.600 iscritti. Le ragioni erano molteplici: la potenziale base elettorale dei comunisti stigmatizzava le frequenti violenze rivendicate dai militanti comunisti a partire dal 1918; dalla fine degli anni ’20 in poi i contadini iniziarono a rivolgere la loro attenzione (e le loro energie, e i loro suffragi) verso la Legione dell’Arcangelo Michele di Corneliu Zelea Codreanu, movimento del tutto atipico equidistante dai comunisti e dai partiti “storici”, fortemente legato ai fascismi, che sarebbe arrivato fino ai vertici dello Stato.

Ma soprattutto, la dirigenza del Partito era divisa in numerose fazioni che si combattevano a vicenda e non davano certo vita ad un genuino e efficace laboratorio di idee politiche, le quali spesso, al contrario, risultavano drasticamente impopolari. Nei primissimi anni ‘40, all’interno del Partito Comunista Romeno si erano create tre fazioni:

  1. il “Comitato Centrale”, diretto dall’ungherese Ștefan Foriș – a cui era legato l’intellettuale Lucrețiu Pătrășcanu – e probabilmente “controllato” da Mosca tramite la controversa figura di Emil Bodnăraș, ex ufficiale dell’esercito per metà ucraino e per metà di origine tedesca, fuggito dall’URSS nel ’31 per poi ritornarvi come “agente segreto”, complice nel futuro rovesciamento di Foriș;
  2. il “nucleo delle prigioni”, guidato da Gheorghe Gheorghiu-Dej, condannato a 12 anni di reclusione per gli scontri operai del ‘33 di Grivița, che proprio nel corso della detenzione a Doftana, Caransebeș e Târgu Jiu costruì e modellò il suo dogma staliniano e creò il suo gruppo di fedelissimi, tra i quali sarebbe spiccato il nome di Gheorghe Pintilie (Pantiușa);
  3. il bureau dei bessarabeni liberati ed emigrati a Mosca a seguito della cessione della Bessarabia all’URSS, guidato da Ana Pauker, donna simbolo delle lotte del 1933, condannata nel celebre processo di Craiova del giugno 1936 a 10 anni di reclusione (che trascorse tra Mislea e Dumbrăveni, dove anch’ella sviluppò la sua leadership e creò il suo nucleo di seguaci, tra i quali Vasile Luca e Leonte Răutu), la cui autorità derivava principalmente dai contatti privilegiati che ebbe a partire dal ’40 col quartier generale del Comintern.

La ferocia con la quale si svilupparono col tempo le lotte interne appare sproporzionata se rapportata alle poche migliaia di iscritti che contava il Partito fino alla fine della guerra, nonostante l’attività di propaganda. Il 14 dicembre 1944, dopo aver saputo che a Iaşi c’erano 56 membri di Partito e a Galați poco più di 100, Ana Pauker, affermava rivolgendosi ai delegati regionali:

“Compagni, mettetevi una mano sul petto e dite la verità. Se, per carità di Dio, da te a Constanța, da te a Galați e da te a Iaşi se ne andasse via l’ultimo soldato rosso, cosa ne sarebbe di quell’organizzazione di Partito e cosa ne sarebbe di tutti i prefetti e di tutti i poliziotti? Per nostra fortuna, l’Armata Rossa starà qui un bel po’ di tempo.”

Ad ogni modo, come detto, la sorte arrise ai comunisti romeni, che non solo si trovarono dalla parte di chi vinse la guerra, ma anche di quella che tra le potenze vincitrici si aggiudicò il controllo della Romania.

Nel gennaio 1945 Stalin convocò a Mosca Gheorghiu-Dej, Ana Pauker e Gheorghe Apostol, altro esponente di rilievo, per dar loro precise indicazioni su come il Partito dovesse operare nel futuro prossimo della Romania: varare la riforma agraria, rinunciando momentaneamente alla nazionalizzazione, attirare all’interno di una coalizione i liberali, ma soprattutto promettere la riannessione della Transilvania del Nord in cambio dell’elezione al governo. La visita fu per Stalin l’occasione per dare l’”investitura” definitiva a Gheorghiu-Dej, ex operaio, romeno autentico (dopo vent’anni di segretari di etnia non romena!), a scapito dell’”ebrea borghese” Ana Pauker, il cui vero nome era Hannah Rabinsohn. In realtà, era una decisione di facciata. Gheorghiu-Dej non avrebbe avuto per i primi anni alcun potere decisionale. Le decisioni venivano prese dalla troika composta dalla stessa Pauker, Vasile Luca, e soprattutto da Emil Bodnăraș, il quale si avvaleva di un suo gruppo di ex agenti segreti sovietici guidato da Pintilie Bodnarenko (Pantiușa), Sergeij Nikolov, Ivan Didenko, Misa Povstanskij.

Il primo provvedimento di stampo socialista adottato dal nuovo governo fu proprio la riforma agraria, varata il 22 marzo 1945, mirante alla ridistribuzione delle terre. Venivano confiscate le proprietà di diverse categorie di cittadini (tedeschi, latifondisti con possedimenti che superassero i 50 ettari, criminali di guerra etc.) e ridistribuite tra i contadini. La riforma, che subì sistematici boicottaggi, fu la prima prova di fedeltà all’alleato sovietico, e sarebbe stata “integrata” negli anni a venire con provvedimenti relativi alla collettivizzazione delle terre sul modello dei kolchoz russi. 

Nel frattempo, le purghe che avevano e avrebbero visto coinvolta la classe dirigente, si proiettavano nella popolazione e, come nel caso del Partito, finirono per configurarsi come vere e proprie pulizie etniche. Avvantaggiandosi della situazione bellica, a partire dal settembre 1944 le nuove autorità avevano potuto avviare la decimazione delle minoranze “nemiche” di origine tedesca e ungherese che popolavano in particolare Transilvania e Banato. Decine di migliaia di individui furono deportati nei gulag che iniziavano a spuntare come funghi in tutto il territorio romeno, allo scopo della stessa deliberata romenizzazione che doveva coinvolgere anche la classe politica.

Tra il 18 e il 21 ottobre 1945 si tenne anche a Bucarest, dopo 21 anni di illegalità del Partito Comunista, la prima Conferenza “libera” nazionale, con i seguenti, dichiarati, intenti: rafforzamento della pace, distruzione dei “rimasugli fascisti”, ricostruzione della nazione e consolidamento della democrazia. La Conferenza, che prevedeva l’elezione del Comitato Centrale, serviva anche a riorganizzare un Partito in forte crescita a livello di consensi e di potere acquisito, ma frammentario al suo interno, minato da continue lotte personali. Gheorghiu-Dej fu eletto Segretario Generale del C.C. su diretta indicazione di Stalin, mentre la Pauker, ancora potente e stimata, e Teohari Georgescu furono nominati segretari; Lucrețiu Pătrășcanu pagò l’astio dei compagni, presumibilmente dovuto al suo status di intellettuale, non ricevendo nessuna carica. Era il preludio della sua rovinosa caduta, che l’avrebbe portato all’arresto (1948) e alla morte in detenzione (1954). Le lotte intestine sarebbero proseguite, aspre e senza esclusione di colpi, negli anni successivi.

In base al vecchio accordo delle percentuali, intanto, le potenze alleate occidentali non potevano né dovevano intromettersi, se non formalmente, nel consolidamento dell’ingerenza sovietica in Romania. Per le opposizioni la vita si fece sempre più dura. In quei mesi fu portata avanti, per dare ancora una parvenza di pluralismo, la campagna elettorale per le prime elezioni politiche del dopoguerra, in un clima di intimidazioni e boicottaggio sistematico. Le “votazioni in cui il sistema più fraudolento, violento e senza scrupoli mai messo in scena nei Balcani fu portato a compimento” si tennero il 19 novembre 1946. Su 6.823.928 voti espressi, 4.766.630 erano andati alla coalizione capeggiata dal Partito Comunista.

Il 1947-1948 fu per la Romania il biennio dell’assestamento politico, caratterizzato da una graduale quanto decisa eliminazione sia delle opposizioni, tramite arresti ed epurazioni a qualsiasi livello, che delle istituzioni figlie dell’epoca precomunista: il 30 dicembre 1947 il Re fu costretto ad abdicare e venne proclamata la Repubblica Popolare Romena; nuove falsate consultazioni (93,2% dei voti) diedero al Paese un nuovo governo comunista, al quale erano abbinati un nuovo Parlamento monocamerale, e una nuova Costituzione di stampo sovietico. Anche il partito cambiò nome, divenendo Partito dei Lavoratori Romeno e subì ulteriori drastiche epurazioni. 

Nel frattempo, mutava il contesto internazionale. Nel giugno 1948 l’eretica Jugoslavia veniva espulsa dal Cominform. Se per Bucarest la pronta condanna all’”imperialismo titoista” fu un’occasione d’oro per dimostrare la propria fedeltà al Cremlino, per la regione del Banato, confinante con la Serbia, la situazione si rese oltremodo scomoda e nel corso degli anni successivi le autorità di frontiera e le unità di Gendarmeria delle numerose località a maggioranza serba della zona ebbero parecchio lavoro da svolgere; la situazione peggiorò gradualmente a seguito della persistente paranoia del governo romeno, che ovunque vedeva elementi pericolosi e sovversivi. Il giro di vite culminò nel giugno 1951 nella deportazione di oltre 10.000 famiglie nell’aspra regione del Bărăgan, “la Siberia romena”, misura che sarebbe durata fino alla fine del 1955.

A partire dal 1952 Gheorghiu-Dej era riuscito, col nulla osta di Stalin, a liberarsi del Ministro delle Finanze “paukeriano” Vasile Luca, accusato di “deviazionismo di destra”, e in seguito di Teohari Georgescu (condannato all’ergastolo nonostante la penuria di accuse nei suoi confronti), nonché della stessa Pauker. Accusata di filosionismo e di aver lavorato contro le fattorie collettive e quindi arrestata nel 1953, la Pauker poté comunque contare su un trattamento “di favore” grazie ai suoi rapporti privilegiati col Cremlino; sarebbe morta, da cittadina “libera”, nel 1960. Lontano dalle grazie del nuovo Segretario del PCUS Nikita Sergeevič Chruščëv, Gheorghiu-Dej, temendo una scia di epurazioni nei confronti degli uomini di Stalin, riuscì a eliminare politicamente (e fisicamente, come nel caso di Pătrășcanu)  ogni possibile “concorrente” alla carica di Segretario Generale del Partito. La stessa sorte di Pătrășcanu sarebbe spettata a Miron Constantinescu e a Iosif Chișinevschi, altri due membri di spicco del PMR.  Gheorghiu-Dej avrebbe quindi tenuto il potere fino alla sua morte, avvenuta nel 1964.

Il paese avrebbe conosciuto durante quegli anni anche il nascere e crescere di una sparuta ma attiva resistenza anticomunista, sviluppatasi in particolare tra i monti a Sud Est della regione e nella capitale, e definitivamente stroncata dalla Securitate nei primi anni ’50.

Il processo di “conversione” forzata del Paese proseguì senza intoppi. Durò di fatto otto anni, dal 6 marzo 1945, data della presa del potere dei comunisti sulla scia dei T-34 sovietici, al 5 marzo 1953, giorno della morte di Stalin, quando si può convenzionalmente affermare che la Romania fosse del tutto “sovietizzata”.

Il fatidico 16 dicembre 1989 di Timişoara era ancora lontanissimo…


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Nato a Cagliari il 16/12/1989. Laureato in Studi Europei presso l’Università degli Studi di Roma3. Ha frequentato per sei mesi l’Università de Vest di Timisoara e ha compiuto ricerca presso l’Archivio storico nazionale della stessa città.