Naim Qassem, nuovo Segretario Generale di Hezbollah, è autore di un importante testo del 2002 dal titolo “Hezbollah, la storia dall’interno” (pubblicato sia in francese che in inglese tra il 2004 ed il 2005) sull’evoluzione e l’ideologia del Partito di Dio. La lettura di questo libro consente di tracciare le linee politico-militari del suo mandato.

 

Naim Qassem è un semplice shaikh, un sapiente musulmano (capo politico e religioso), ma non è un sayyid (discendente diretto del Profeta), come lo era Hassan Nasrallah. Lo si riconosce dal turbante bianco, mentre Nasrallah lo portava nero. A quest’ultimo il turbante venne posto sul capo dal grande chierico sciita Muhammad Baqir al-Sadr, a Najaf nel 1977, un paio di anni prima che lo stesso al-Sadr venisse giustiziato in carcere dal regime di Saddam (ostile alla sua visione “politica” dello sciismo, assai simile a quella di Ruhollah Khomeini). In quell’occasione, al-Sadr, di fronte a Nasrallah, affermò: “Tu sei un grande uomo. Io sento su di te il profumo dei capi. A Dio piacendo, tu farai parte dei compagni del Mahdi”[1].

Di fatto, non è improprio riconoscere una certa influenza di Muhammad Baqir al-Sadr sul pensiero politico sia di Ruhollah Khomeini sia di Hezbollah. Il giurisperito iracheno, infatti, sviluppò una concezione dello Stato islamico in cui Dio è sempre la fonte di ogni autorità e di ogni forma di sovranità sulla terra e dove l’Islam è luce ispiratrice della legislazione. Tale ordinamento, posto in essere attraverso un sistema costituzionale, non può prescindere dalla supervisione di una Guida Suprema (che Baqir al-Sadr indica come marjiyya). Questa, dal suo punto di vista, è l’unica autorità legale in assenza del dodicesimo Imam. Paradossalmente, fu proprio Baqir al-Sadr a favorire la penetrazione in Libano di idee in cui veniva presentata la dottrina del governo del giureconsulto. Dunque, fu lui a preparare in qualche modo il terreno per l’affermazione del khomeinismo tramite Hezbollah[2].

Tornando a Qassem, è importante sottolineare il fatto che questi è vicesegretario di Hezbollah sin dal 1991. Ovvero, sin dai tempi del predecessore di Nasrallah, Abbas al-Musawi. La segreteria di al-Musawi, per quanto breve (Musawi venne assassinato da Israele nel 1992)[3] è stata fondamentale, perché ha dato il via alla “libanizzazione” di Hezbollah. In altri termini, con al-Musawi Hezbollah ha iniziato ad assumere un carattere politico prettamente “nazionale e conservatore”, superando gli approcci esclusivamente khomeinisti (o sadristi) volti all’esportazione della “rivoluzione islamica”. Una linea seguita anche da Nasrallah, che nei suoi discorsi ha spesso fatto riferimento al carattere nazionale della lotta di Hezbollah ed all’unità della Patria contro i tentativi di Israele di sfruttare le divisioni settarie per generare una nuova guerra civile. Si racconta che lo stesso Nasrallah abbia sempre indossato una collana raffigurante la Vergine Maria, madre di Gesù Cristo, a costante ricordo dello speciale ruolo che essi ricoprono nell’Islam. È scritto infatti nel Corano: “Questi è Gesù, figlio di Maria, parola di verità che alcuni mettono in dubbio” (XIX, 34). Oppure: “E abbiamo dato a Gesù, figlio di Maria, prove evidenti e lo abbiamo fortificato con lo spirito di santità” (II, 253). E ancora: “Per la loro miscredenza e per aver pronunciato contro Maria una calunnia orrenda […] per l’iniquità di coloro che sono giudei abbiamo proibito loro delle cose buone che prima erano loro lecite” (IV, 156-160). Il Corano, tra le altre cose, attribuisce a Gesù l’epiteto “Ruhollah” (spirito di Dio), lo stesso nome di Khomeini, che in vita non smise mai di esortare i cristiani a seguire l’esempio del Cristo[4] e in particolare la sua esortazione a vendere il mantello per comprare una spada. (Nel monastero serbo Visoki Dečani, nel Kosovo occupato dalla narcoentità atlantista, è presente una rara icona del Cristo con la spada che si rifà proprio al Vangelo di Luca)[5].

Ora, la visione politica di Qassem, paradossalmente, risulta più radicalmente nazionalista rispetto a quella di Nasrallah, il quale (è bene ricordarlo) poco prima di essere assassinato dall’IDF aveva acconsentito ad una tregua con Israele (negoziata anche dagli Stati Uniti – ad ulteriore dimostrazione che la diplomazia USA si fonda sempre sull’inganno). Qassem è sicuramente un convinto sostenitore del velayat-e faqih (il governo del giureconsulto), ma ne rinvia l’applicazione alla realtà libanese al momento in cui il Paese intero opterà per tale forma di governo.

Il velayat-e faqih viene tendenzialmente considerato come una innovazione khomeinista alla dottrina islamica sciita. In realtà, questo approccio trae la propria forza da premesse assolutamente in linea con la giurisprudenza sciita classica. Ad esempio, riporta l’eminente teologo sciita Ibn al-Mu’allim (meglio noto come Shaykh al-Mufid, vissuto tra X e XI secolo): “Finché non esiste un Sultano giusto [da intendersi come l’Imam del Tempo] a gestire ciò che è stato menzionato in queste sezioni della giurisprudenza, spetta al vero e giusto mujtahid, che sia anche intelligente e virtuoso, governare ciò di cui era responsabile il Sultano giusto”[6]. Ancora, il giurista e teologo persiano Shaykh Tusi (996-1067), fondatore del seminario religioso di Najaf, ha scritto: “Il giurista ha dei diritti sui fondamenti più importanti della società, il che significa che ha il diritto di emettere verdetti, di chiamare alla guerra, di giudicare e di applicare le pene. Sulla stessa linea si ritrovano il giurista Ibn Idris al-Hilli (XII secolo) e Allamah al-Hilli (1250-1325), altro importante giurista e teologo, e Shaykh Murtada Ansari. Al-Shahid al-Awwal (1333-1384), altro eminente giurista, scrisse che, quando il capo religioso è presente, bisogna ottenerne il permesso, perché egli ha la tutela su tutti gli incarichi religiosi”[7]. Di non minor conto sono i pareri del giurista di epoca safavide Muhaqqiq al-Thani e del grande pensatore e mistico Mulla Sadra (1572-1641). Il primo affermò: “Giuristi e studiosi sciiti imamiti sono d’accordo sul fatto che un giurisperito giusto, che soddisfi le condizioni per emettere verdetti ed è accettato come mujtahid nella legge religiosa, è il rappresentante degli Imam durante l’occultamento riguardo a tutto ciò che può essere rappresentato”[8]. Mulla Sadra (che ha influenzato in modo evidente il pensiero di Khomeini su più livelli) ha dichiarato: “È necessario che in ogni momento ci sia un guardiano (wali) incaricato di preservare (qaim) il Corano di cui conosce i segreti (asrar) ed i misteri (rumuz), così da poterlo insegnare ai fedeli e guidare coloro che ricevono la guida, e perfezionare le anime dei suoi seguaci e sostenitori timorati di Dio, e illuminare i loro cuori con la luce della conoscenza”[9].

In altre parole, Mulla Sadra rivendica l’assoluta autorità dei giurisperiti religiosi sul sapere dei dotti. Essi hanno autorità perché esistono tre metodi principali per il raggiungimento della conoscenza: la Rivelazione (che appartiene ai Profeti); la conoscenza divinamente ispirata (che appartiene agli Imam); la conoscenza speculativa (che appartiene ai dotti religiosi). Essendo Muhammad il “sigillo della Profezia” e trovandosi l’ultimo Imam in stato di occultamento, l’autorità non può che spettare ai sapienti. Essi hanno il diritto/dovere di creare sulla terra uno “Stato giusto” che operi secondo principi di verità e giustizia (perché la Legge scende dal cielo alla terra e risale dalla terra al cielo) ed in cui ogni uomo operi secondo la sua naturale (pre)disposizione.

Su queste fondamenta (in cui si percepisce una notevole influenza del platonismo)[10] e sulla base del dettato coranico “Obbedite a Dio, al Profeta ed a coloro che hanno autorità”, Ruhollah Khomeini elaborò la sua interpretazione del velayat-e faqih secondo la quale sono i mujtahid anziani (esperti nel fiqh, il diritto islamico) ad avere il diritto/dovere di governare lo Stato. E su queste basi, ogni altra autorità è considerata illegittima, tanto la monarchia quanto la democrazia demagogica di stampo occidentale. Questo perché le ordinanze divine contenute nella Shari’a richiedono necessariamente un governo ed un’autorità “divini” per la loro attuazione. Senza uno Stato o un governante con un’autorità “divina”, la supremazia della Shari’a non esiste più e non può in alcun modo essere mantenuta. Ne consegue che diviene impossibile tutelare gli affari ed i beni dei musulmani. In assenza dell’Imam del Tempo, dunque, tale autorità poteva appartenere solo al faqih[11].  

Nonostante il chiaro impegno di Hezbollah a seguire il principio del velayat-e faqih, Qassem – sottolineando ancora una volta il carattere prettamente nazionale-libanese di Hezbollah (anche per scongiurare le accuse di chi vede il Movimento come mero agente di Teheran) – afferma nel suo libro: “Questo impegno a seguire un preciso orientamento giuridico-teologico non limita lo scopo del lavoro interno, soprattutto al livello della costruzione di relazioni con i vari attori della politica libanese. Inoltre, non limita la sfera della cooperazione internazionale e regionale con i gruppi che mostrano gli stessi obiettivi di lungo periodo del Partito di Dio”[12].

In altri termini, sul piano teorico Hezbollah si oppone alla politica settaria attuata da Israele e Stati Uniti nella regione per applicare gli stilemi della geopolitica del caos (non a caso, i progetti neocon dei primi anni 2000 valutavano favorevolmente gli scontri etnico-settari, le pulizie etniche, o i conflitti regionali limitati o controllati tra attori confessionali)[13].

A questo proposito, Qassem afferma ancora: “Seguire l’Islam richiede una comprensione dettagliata della realtà e l’adozione di un sistema di interpretazione sempre conforme al contesto […] Dato il numero elevato di scuole giuridiche presenti all’interno dell’Islam e la complessa realtà regionale, in nessun caso il governo islamico può essere imposto da un gruppo sugli altri […] esso deve essere fondato su una scelta libera e popolare”[14].

Particolarmente interessanti, inoltre, sono le considerazioni di Qassem per ciò che concerne il gihad ed il martirio. Secondo lo Shaikh, infatti, lo “sforzo” militare si distingue tra offensivo e difensivo. Il gihad offensivo può essere attuato soltanto sotto la guida del Mahdi (l’Imam nascosto); e ciò presuppone in primo luogo che venga superata la fase dell’occultamento in seguito ad una costante preparazione all’evento messianico (un heideggeriano “Ereignis, per interpretarlo in termini filosofici europei, che ben si discosta dal messianismo giudaico, sebbene alcuni studi abbiano cercato di porli sullo stesso piano, attribuendo tra l’altro ad Hezbollah un “fanatismo apocalittico” che mai gli è appartenuto)[15]. Il gihad difensivo, invece, consiste in ogni forma di resistenza ad un’oppressione sia interna sia esterna. Esso, secondo Qassem, può essere deciso ed avviato solo da un giurista-teologo riconosciuto dalla comunità che ne definisca regole e limiti[16]. Per questo le azioni della Resistenza devono essere sempre proporzionate, misurate e fondate su una strategia conservativa (attacco diretto solo quando si è certi del risultato) che non metta mai a rischio l’esistenza della stessa (strategia che sta imponendo notevoli perdite all’IDF dal momento dell’inizio della cosiddetta “operazione di terra limitata” nel sud del Libano).

Al concetto di gihad si collega anche quello di martirio. In questo caso, va premesso che “il termine arabo shahada, con cui si indica la professione di fede in un unico Dio e nella missione profetica di Muhammad, primo dei cinque pilastri della religione islamica, significa anche martirio; la parola shahid (al plurale shuhada) che traduciamo come “martire”, indica l’“attestante”, ovvero chi testimonia in modo esemplare la propria fede anche col sacrificio della vita sulla via di Allah, diventando meritevole di stima e costituendo per gli altri una fonte di imitazione”[17]. L’esempio classico, in questo senso, è sicuramente il martirio di Husayn (nipote del Profeta Muhammad) a Kerbala (nel 680 d. C.) per mano del califfo omayyade Yazid. Husayn è il vessillo della lotta contro l’ingiustizia, mentre Kerbala rappresenta il campo di battaglia per antonomasia nello scontro fra oppressi e oppressori.

Il pensatore iraniano Ali Shariati ha avuto una notevole influenza sull’interpretazione che Qassem ha attribuito al concetto di “martirio sulla via di Dio” e sul ruolo delle operazioni di martirio nella prima dottrina militare di Hezbollah. (È bene porre in evidenza il fatto che simili azioni vengono considerate solo come extrema ratio, risultano notevolmente ridotte ed incentrate esclusivamente su obiettivi militari, e si ricorre ad esse solo dopo un’attenta valutazione di costi e benefici).

Shariati, in particolare, distinse il significato che la parola “martire” ha in Occidente, dove indica chi sceglie di morire per difendere il proprio credo ricorrendo al sacrificio di se stesso, e nell’Islam, dove essa indica in primo luogo la “testimonianza” e la “dimostrazione”. Dunque, come affermava il generale Qassem Soleimani, si può essere martiri anche quando si è ancora in vita: o meglio, “diventa martire solo chi lo è anche in vita”[18]. Il martirio finale, di conseguenza, diventa una scelta consapevole quando il solo gihad non è più sufficiente. In altri termini, il martire non incontra la morte per mano del nemico, ma la supera in nome di un ideale sacro in cui non c’è dolore, ma solo sublimazione nell’assoluto. (In ambito sunnita, questa è stata anche l’interpretazione attribuita alla morte esemplare di Yahya Sinwar a Gaza; un destino che lui stesso aveva scelto nel suo romanzo autobiografico La spina ed il garofano, di cui si è parlato nel numero 4/2024 di “Eurasia”).

L’ayatollah Mohammed Husayn Fadlallah, uno dei punti di riferimento ideologici di Hezbollah, ha spesso criticato il ricorso alle operazioni di martirio come mera tattica militare. Ciò, a suo parere, è illegittimo se non è in grado di sconvolgere il nemico. Il credente, dunque, “non poteva sacrificarsi se quest’azione non compensava o eccedeva la perdita della sua anima”[19]. Le operazioni di automartirio, di conseguenza, non dovevano essere considerate incidenti fatali, ma obblighi legali, regolati da norme precise, in quanto i credenti non possono mai trasgredire le regole di Allah. Sempre Fadlallah “in un suo parere giuridico affermò che il martirio era un atto volontario del combattente dal punto di vista delle premesse, ma involontario per quanto concerneva gli effetti che poteva produrre per il gihad […] Se la natura del confronto con il nemico necessitava che il mujahid s’impegnasse in azioni capaci di condurlo all’estremo sacrificio totale di se stesso e che la vittoria dipendesse da tali operazioni, allora il martirio diventava un atto obbligatorio”[20].

Su questo piano, per dare una giustificazione teologica alle operazioni di martirio, Naim Qassem afferma: “Di fronte all’aggressore cosa possono fare gli aggrediti (o gli oppressi) quando si trovano in posizione sfavorevole, materialmente e militarmente? Che fanno i proprietari della terra occupata in Palestina e nella regione per affrontare il nemico israeliano, che ha a disposizione i mezzi militari più moderni e più potenti e gode del sostegno internazionale alla sua occupazione e alla sua aggressione? […] Se la forza del nemico consiste nella sua capacità di seminare la morte, occorre non aver paura di quest’ultima così da annullare il vantaggio di un avversario sostenuto in tutto e per tutto dall’imperialismo”[21].

Certo, il progresso tecnologico ha in parte limitato l’efficacia di simili operazioni. Nonostante ciò, il significato profondo dell’esperienza non cambia e Hezbollah si è dimostrato capace di infliggere perdite gravi ad Israele anche sul piano convenzionale e nella semplice guerra di attrito.

Sempre Qassem, pur rispettando in egual misura tutti i martiri, ritenuti sempre graditi ad Allah, li distingue a seconda che abbiano adempiuto con maggiore o minore consapevolezza ai loro obblighi sulla via di Dio e nel solco della Resistenza per la difesa della propria terra. Al vertice vi sono quanti hanno scelto la via del sacrificio di se stessi; ad un livello inferiore stanno coloro che hanno incontrato la morte in battaglia; mentre ad un livello più basso si collocano coloro (civili compresi) che sono caduti accidentalmente sotto i colpi del nemico. Va da sé che ogni cittadino libanese (a prescindere dalla confessione religiosa), se ucciso durante le operazioni dell’IDF, viene considerato egualmente come martire.

In conclusione, come anticipato in precedenza, la visione politica di Qassem può essere considerata leggermente più radicale rispetto a quella di Nasrallah, sebbene lo stesso Qassem abbia sostenuto di voler seguire il percorso del suo predecessore e di non voler escludere la possibilità di tregue e negoziati con il nemico.

Nel suo discorso di insediamento, egli ha tracciato un rapido profilo “geopolitico” di quella che sarà la dottrina di Hezbollah sotto la sua supervisione. A suo modo di vedere, infatti, il sostegno a Gaza era necessario per confrontarsi con la minaccia e l’aggressione sionista sull’intera regione; un’aggressione nella quale sono direttamente coinvolti sia gli Stati Uniti che l’Europa, ed una minaccia che non riguarda solo il Libano o la Palestina (come dimostrato dalle dichiarazioni dei membri del gabinetto Netanyahu). In questo scontro Hezbollah non sta combattendo per l’Iran (che pure è l’unico attore a sostenere il Fronte della Resistenza); Hezbollah sta combattendo per difendere in primo luogo il Libano. Per tale motivo Qassem afferma che sarebbe gradito il sostegno anche da parte degli Stati arabi, visto che lo scontro sarà lungo e doloroso. Tuttavia Hezbollah, nonostante gli attacchi di un esercito tecnologicamente superiore, è preparato ad un conflitto prolungato[22]. Ed il tempo, al contrario di quanto accade per Israele ed i suoi vertici politici (che hanno costantemente bisogno di risultati immediati), è sempre a vantaggio della Resistenza.


NOTE

[1]A. Daher, Le Hezbollah. Mobilisation et pouvoir, PUF, Parigi 2014, p. 227.

[2]Si veda M. Di Donato, Hezbollah: storia del Partito di Dio, Mimesis, Milano-Udine 2015, p. 37.

[3]La strategia degli assassinii mirati di Israele non è una novità e non ha mai fermato la Resistenza; basti pensare che Hamas, dopo l’assassinio del suo fondatore, lo Shaikh Ahmad Yasin (ucciso da un bombardamento israeliano nel 2004), è divenuto la prima forza politica nelle uniche le elezioni regolari tenute in Palestina.

[4]Si veda C. Mutti, Le lettere dell’Imam Khomeini a Wojtyla ed a Gorbaciov, 6 giugno 2016, www.eurasia-rivista.com.

[5]È scritto: “Ma ora, chi ha una borsa la prenda, così pure una sacca e chi non ha spada, venda il mantello e ne compri una. Perché io vi dico che in me deve essere adempiuto ciò che è scritto” (Luca 22:36-38).

[6]Contenuto in G. Aiello, La Repubblica Islamica dell’Iran alla luce della Tradizione, Irfan Edizioni, Roma 2022, p. 153.

[7]Ibidem.

[8]Ibidem.

[9]Ibidem, p. 155.

[10]Scrive Platone nel Gorgia: “Usiamo dunque questo discorso che ci si dischiude adesso come guida, che esso ci indica che questo è il modo migliore di vivere: sia vivere che morire esercitando la giustizia così come ogni altra virtù”.

[11]Si veda R. Khomeini, Il governo islamico. O l’autorità spirituale del giureconsulto, Il Cerchio, Rimini 2007, p. 41.

[12]N. Qassem, Hezbollah. The story within, Al-Saqi Books, Londra 2005, p. 57

[13]Si veda C. Ciani, Un nuovo Medio Oriente? Dall’accordo segreto Sykes-Picot al progetto per un “Nuovo Secolo Americano”, Mimesis, Milano-Udine 2019, p. 93.

[14]Hezbollah. The story within, ivi cit., p. 58.

[15]Si veda G. M. Arrigo, I fanatici dell’apocalisse. La guerra escatologica di Hezbollah, contenuto in “Limes. Rivista italiana di geopolitica” 9/2024.

[16]Ibidem, p. 170-172.

[17]S. Fabei – F. Polese, I guerrieri di Dio. Hezbollah: dalle origini al conflitto in Siria, Mursia, Milano 2017, p. 228.

[18]Si veda su www.islamshia.org il discorso integrale tenuto dal generale martire Hajj Qassem Soleimani in occasione della sessione di chiusura del Congresso nazionale dedicato agli ottomila martiri offerti dal Gilan durante la “Guerra Imposta” all’Iran Islamico e Rivoluzionario dall’Iraq.

[19]I guerrieri di Dio, ivi cit., p. 230.

[20]Ibidem.

[21]Hezbollah. The story within, ivi cit., p. 69.

[22]Si veda, Sheikh Naim Qassem elected Hezbollah Secretary General, 29 ottobre 2024, www.almanar.com.


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Daniele Perra a partire dal 2017 collabora attivamente con “Eurasia. Rivista di studi geopolitici” e con il relativo sito informatico. Le sue analisi sono incentrate principalmente sul rapporto che intercorre tra geopolitica, filosofia e storia delle religioni. Laureato in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali, ha conseguito nel 2015 il Diploma di Master in Middle Eastern Studies presso ASERI – Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Nel 2018 il suo saggio Sulla necessità dell’impero come entità geopolitica unitaria per l’Eurasia è stato inserito nel vol. VI dei “Quaderni della Sapienza” pubblicati da Irfan Edizioni. Collabora assiduamente con numerosi siti informatici italiani ed esteri ed ha rilasciato diverse interviste all’emittente iraniana Radio Irib. È autore del libro Essere e Rivoluzione. Ontologia heideggeriana e politica di liberazione, Prefazione di C. Mutti (NovaEuropa 2019).