Cuba è una piccola isola che è sempre stata dipendente dall’esterno per quanto riguarda l’approvigionamento di materie prime, in primo luogo per quanto riguarda il petrolio, la cui ricerca nelle acque territoriali è iniziata solo da poco.
Castro, appena preso il potere, si è trovato nella scomoda posizione di dover cercare subito dei nuovi fornitori, visto che iniziava l’isolamento internazionale promosso dagli Stati Uniti, fino ad allora padroni incontrastati delle risorse dell’isola caraibica.
Per questo fin dal 1959 ha cercato di controllare il Venezuela, principale produttore sudamericano, e intervenne militarmente in Angola, altro grande produttore di petrolio, aggredito dal Sudafrica dell’Apartheid.
Dal 1960 fino alla fine degli anni ’80, l’Unione Sovietica fu il principale fornitore di greggio dei cubani: sfruttando l’isolamento de l’Avana promosso dagli Stati Uniti e dalle nazioni “occidentali”, iniziò a fornire la vitale risorsa ai cubani a prezzi irrisori, guadagnando così l’allineamento di Castro sulle posizioni internazionali di Mosca.
Con la fine dell’Impero Sovietico la nuova Russia affrontò condizioni economiche che non gli permettevano più la precedente generosa politica verso gli alleati del “terzo mondo”, in primo luogo verso Cuba: la Russia post-sovietica era un gigante con i piedi di argilla che necessitava di divise fresche per poter sopravvivere e non poteva più permettersi di scambiare barili di greggio in cambio di canna da zucchero, politica adottata fino a quel momento verso l’isolato alleato caraibico.
Ovviamente la fine dei sussidi russi fu un colpo terrificante per il popolo cubano, trovatosi da un giorno all’altro senza energia e con un embargo che invece di sciogliersi per la fine della minaccia comunista, si faceva ancora più stretto: si iniziò a promuovere l’uso della bicicletta come antidoto alla crisi e a spingere i cubani a consumare meno energia possibile.
Attualmente le nuove alleanze strategiche con l’Iran e, soprattutto, con il Venezuela, stanno aiutando Cuba a rifornirsi di vitali materie prime e inoltre, dalla fine degli anni ’90, Cuba ha stipulato anche diversi contratti con imprese petrolifere occidentali per l’esplorazione petrolifera attorno alle sue coste.
Il nuovo asse del petrolio
Finita l’era della guerra fredda, dove Cuba era una pedina fondamentale per i sovietici per la sua vicinanza alle coste statunitensi, oggi l’isola mette soprattutto a disposizione i suoi saperi e le sue tecnologie per creare un nuovo asse “antimperialista” internazionale e ricevere in cambio petrolio.
Cuba ha scambiato con l’Iran petrolio in cambio di informazioni di inteligence, fornite dalla base di Lourdes. La stessa base è stata usata anche per interferire nei segnali televisivi inviati dagli Stati Uniti verso l’Iran, mentre, dal 1998 al 2001, L’Avana ha costruito in Iran il più grande centro di ingegneria genetica e biotecnologia della regione, sempre in cambio di petrolio.
Cuba è utile al Venezuela soprattutto per raffinare il greggio prodotto da Caracas, che attraverso il prestito di questo a tassi di interesse convenienti e a lungo termine verso Paesi dell’area desiderosi di petrolio a buon mercato, sta costruendo l’Alianza Bolivariana para Amèrica Latina (ALBA), un nuovo polo regionale costruito dai Paesi sudamericani, fuori dai dettami liberisti e monetaristi imposti dal Nord-America, tramite l’integrazione delle loro politiche economiche, sociali e di difesa.
Cuba possiede quattro raffinerie di petrolio, a Cabaiguán, Cienfuegos, La Habana e Santiago de Cuba.
La capacità nominale delle 4 raffinerie è di 11 milioni di tonnellate di greggio l’anno, sebbene per rotture e mancanza di pezzi la capacità effettiva è di 7 milioni. La raffineria più moderna è quella di Cienfuegos (a cui è collegato anche l’oleodotto di 187 km che parte da Matanzas, dove è stato costruito di recente un grande porto per petroliere) , ristrutturata grazie alla collaborazione con la venezuelana PDVSA, che produce più di 50.000 barili al giorno di petrolio venezuelano, più un 20% di petrolio cubano e le stime di produzione sono in crescita.
Inoltre bisogna dire che sia il petrolio cubano che quello venezuelano sono molto densi e con un alta percentuale di zolfo, quindi i dati sulla produzione cubana sono ancora più significativi dal punto di vista dell’avanzamento tecnologico.
Cuba ha un’esperienza più che trentennale nella raffinazione di greggio per la produzione di combustibili, risalente all’epoca sovietica, che fa di L’Avana un alleato strategico fondamentale per la politica di Chavez di creazione di un nuovo polo di potere in America Latina che agisca seguendo gli interessi dei popoli sudamericani e non le esigenze delle multinazionali statunitensi e straniere in generale.
Anche i contratti stabiliti da Cuba con le imprese petrolifere occidentali per l’esplorazione presso le sue coste, sono fatti nell’interesse nazionale, cercando di sfruttare a proprio vantaggio le capacità tecnologiche europee.
Raul Castro ha dichiarato che gli investimenti stranieri nel campo petrolifero si manterranno e potranno anche crescere in futuro, ”sempre che apportino capitali, tecnologie o mercato che siano utili per lo sviluppo del Paese”, e che “si lavorerà con imprenditori seri e su basi giuridiche che preservino il ruolo dello Stato nelle scelte strategiche e il predominio della proprietà socialista”.
Esempio di questa strategia è l’impresa mista cubano-canadese Energas (che lavora il gas accompagnante il petrolio), il cui direttivo ha affermato la soddisfazione per la partecipazione che ha avuto la compagnia nello sviluppo del Paese, dichiarando che si prevedono investimenti nei prossimi anni per 1250 milioni di dollari “per la continuazione e l’ampliamento degli investimenti riguardo al nichel, al petrolio, al gas e alla produzione di elettricità”.
Attualmente la spagnola Repsol, la brasiliana Petrobas e la norvegese Statoil Hidro sono impegnate in attività di esplorazione nelle acque cubane del golfo del Messico.
La leadership cubana ha dichiarato pubblicamente che anche le imprese statunitensi sono le benvenute nelle attività di esplorazione, anche perchè la capacità tecnologica statunitense sarebbe molto utile per raffinare il pesante petrolio cubano, ma attualmente l’embargo imposto dagli USA rende impraticabile una collaborazione tra Stato cubano e imprese commerciali statunitensi.
L’embargo e le sue ragioni
Prima del 1959 a Cuba gli statunitensi controllavano il petrolio, le miniere, le centrali elettriche, la telefonia e un terzo della produzione di zucchero. Nel 1958 gli USA erano il primo partner commerciale cubano: compravano il 74% delle esportazioni e fornivano il 65% delle importazioni dell’isola, ma dopo la presa del potere da parte dei ‘barbudos’ di Castro, che imposero fin dall’inizio nazionalizzazioni ed espropriazioni, Cuba uscì dall’influenza statunitense per entrare in quella sovietica e dal 1962 iniziò da parte statunitense un duro embargo commerciale che continua ancora oggi.
L’embargo, iniziato nei tempi della guerra fredda, appare oggi del tutto fuori luogo, oltre che per la caduta dell’URSS, anche per il fatto che gli USA fanno tranquillamente affari con Paesi comunisti come il Vietnam o la Cina, mentre si intestardiscono a punire Cuba andando così contro i propri stessi interessi strategici nella regione, visto che hanno consegnato un prezioso alleato come Cuba al Venezuela bolivariano, che sta creando, grazie alla geopolitica del petrolio, un nuovo blocco politico e militare nell’America Indiolatina contrario agli interessi di Washington.
Dopo la caduta dell’URSS probabilmente si pensava che il regime di Castro non avrebbe potuto reggere per molto, quindi l’embargo non fu tolto per accelerare la transizione verso la democrazia, ma ormai non ha più senso sperare nella caduta di un regime grazie a un embargo che finora lo ha solo rafforzato e addirittura consegnato come alleato a Iran e Venezuela, entrambi competitori degli interessi statunitensi nelle rispettive regioni.
Le ragioni per la prosecuzione di un controproducente embargo vanno cercate altrove, in quel buco nero della democrazia americana dove agiscono le lobbies, gruppi di interesse che grazie ai loro finanziamenti sono addirittura in grado di influenzare la politica estera americana facendola andare in parte contro i propri stessi interessi strategici, come dimostrato da Mearsheimer e Walt con il libro sull’influenza della lobby ebraica nella politica estera statunitense in Medio Oriente.
La lobby cubana installata a Miami rappresenta il secondo gruppo etnico che più finanzia i candidati al Congresso e alla Presidenza degli Stati Uniti, secondo solo alla potente lobby ebraica già citato.
Ora vedremo come la lobby “anti-castrista” è riuscita ad avere un ruolo determinante per quanto riguarda la politica statunitense verso Cuba dopo la fine della guerra fredda.
Nonostante i cubani esuli a Miami siano per la stragrande maggioranza ferventi repubblicani, la loro azione di pressione politica è come quella di tutte le lobby: si curano di difendere i propri interessi (in questo caso la difesa e il rafforzamento delle sanzioni contro Castro) finanziando i candidati al di là del loro colore politico, difatti il 60% dei loro finanziamenti totali sono stati verso democratici, anche se a livello presidenziale il 70% è stato donato a candidati repubblicani.
La prova dell’efficacia dell’azione del lobbying cubano la si nota chiaramente nel fatto che l’anno in cui contribuirono di più con i loro finanziamenti fu il 1995-1996, ovvero quando fu approvata la legge Helms-Burton (Cuban Liberty and Democratic Solidarity Act), che rafforzava le sanzioni contro Cuba, ossia quando diedero il 71% dei loro contributi ai democratici per spingerli ad approvare la legge.
La vicinanza della lobby di Miami ai democratici è testimoniata anche dal fatto che uno dei suoi principali rappresentanti e secondo finanziatore in assoluto, Paul Cejas (Direttore Generale di Care Florida Health System, la principale impresa ispanica degli Stati Uniti), fu addirittura nominato ambasciatore degli Stati Uniti in Belgio nel 1998, sotto la presidenza Clinton; inoltre Robert Torricelli, democratico, è il politico non di origine cubana che ha ricevuto i maggiori finanziamenti dalla lobby ed è autore della legge del 1992 (Cuban Democracy Act) che inasprì le sanzioni economiche contro Cuba, subito dopo che lo spauracchio comunista nel mondo era finito.
Addirittura nel 1992, la pressione di democratici appartenenti alla lobby cubana su Bill Clinton impedì la nomina di Mario Baeza, importante avvocato cubano-americano, a Segretario di Stato per gli Affari Interamericani, perchè costui si era espresso contro l’utilità del blocco economico contro Cuba al fine di rovesciare Castro. In più era di origine afro-cubana ed ostile alla Fondazione Nazionale Cubano Americana, principale gruppo di pressione cubano di Miami; le denunce di altri membri cubano-americani contro le pressioni della FNCA sulla nomina di Baeza non ebbero effetto.
Per quanto riguarda la famiglia Bush, il legame con la FNCA appare ancora più evidente: George H. Bush quando era agente della CIA aveva il compito di reclutare esiliati cubani per operazioni di sabotaggio e terrorismo nell’isola, il figlio George W. Bush deve all’aiuto della stessa lobby di Miami il mancato riconteggio dei voti in Florida in seguito alla sua prima elezione, mentre il fratello Jeb fu eletto Governatore della Florida grazie all’appoggio dell’estrema destra cubana, che si sdebitava così per i servizi del padre.
Da sottolineare anche il fatto che Bush padre e figlio sono i due Presidenti che hanno ricevuto i maggiori finanziamenti da parte della lobby nella storia americana, rispettivamente 165,225 e 114,550 dollari.
George H. Bush concesse addirittura il perdono presidenziale, sulla pressione della congressista legata alla FNCA Ileana Ros Lethinen, al terrorista Orlando Bosh, qualificato dallo stesso FBI come “terrorista n.1 della Florida”, mentre il figlio Jeb nominò l’avvocato di Bosh, Raul Cantero, Capo della Corte Suprema della Florida, primo ispanico a essere nominato a tale incarico, nonché primo americano in assoluto a essere nominato membro della Corte Suprema (lui addirittura Capo) senza mai aver esercito l’attività di giudice in precedenza.
Il nuovo Presidente Obama sembra mostrare quanto meno la volontà di alleggerire il peso dell’embargo, difatti il 13 aprile 2009 ha ordinato la revoca delle restrizioni ai viaggi e alle rimesse per i cubano-americani con parenti nell’isola. La direttiva allarga tra l’altro la gamma di oggetti che potranno essere spediti a Cuba conservando il divieto di inviare doni ai dirigenti del Partito Comunista Cubano e agli alti funzionari del governo.
Il segretario del PCC, Fidel Castro, ha commentato le aperture chiedendo la fine dell’embargo e affermando che “Cuba ha resistito e resisterà ancora. Non tenderà la mano per chiedere l’elemosina. Andrà avanti con la testa alta”.
Nel frattempo l’embargo contro Cuba è stato progressivamente condannato da tutta la comunità internazionale: nell’ottobre 2009 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato con 187 voti favorevoli, 3 contrari (Usa, Israele, Palau), e l’astensione di Isole Marshall e Micronesia, una mozione per chiedere agli Stati Uniti la cessazione dell’embargo. In precedenza l’ONU si era già espresso svariate volte contro l’embargo, con una maggioranza sempre più ampia: dai 59 voti contro l’embargo del 1992, si è passati a 179 nel 2004, 182 nel 2005, 184 nel 2007 e 185 nel 2008.
Conclusioni
Dalla politica dell’esportazione della canna da zucchero, Cuba si sta riconvertendo nel nuovo secolo in produttrice ed esportatrice di idrocarburi e grazie all’asse con Caracas può giocare ancora un ruolo di primo piano nella geopolitica del continente e nella costruzione di un’integrazione sudamericana che parta dai principi dell’autodeterminazione politica ed economica e dalla cooperazione sud-sud.
Per utilizzare al meglio le sue risorse, Cuba sta stipulando accordi con le principali imprese petrolifere del mondo, affinchè possano portargli quei vantaggi tecnologici necessari per sfruttare al meglio le sue risorse naturali.
Grazie agli investimenti della cubano-canadese Energas, ad esempio, viene sfruttato il 95% del gas che fuoriesce dall’estrazione del petrolio, mentre grazie all’aumento della capacità tecnica e tecnologica la futura estrazione di petrolio e la sua capacità di raffinazione appaiono in una prospettiva di crescita.
In tutto questo gli Stati Uniti sembrano decisamente indietro: oltre a non sfruttare importanti risorse energetiche che stanno a poche centinaia di miglia delle sue coste (a maggior ragione con i costi umani e materiali che stanno sopportando in Iraq e Afghanistan, pur di controllarne le risorse), stanno creando le condizioni per rafforzare l’Alleanza Bolivariana para America Latina (ALBA), di cui Cuba è una componente di importanza essenziale.
Spostando sempre maggiori risorse militari in America Latina (vedi le sette basi militari in Colombia), gli Usa sono costretti ad allargare il proprio sforzo, precedentemente concentrato in Eurasia dove si sta giocando (da sempre) il dominio sulle risorse con le nuove potenze emergenti, Cina e Russia in primo luogo; rischia in questo modo di abdicare in parte al suo ruolo di potenza marittima per doversi concentrare sempre di più nel suo continente, dove nell’ultimo secolo non ha avuto rivali.
Tuttavia bisogna sottolineare come Obama appaia meno legato alla lobby di Miami rispetto ai suoi predecessori: ricordiamo infatti che è molto legato al pensiero di Brzezinski riassunto nel testo “La Grande Scacchiera”, secondo cui gli Stati Uniti nel nuovo secolo devono concentrarsi nella competizione per le risorse del centro Asia contro le nuove potenze emergenti che rischiano di minacciarne la leadership globale, dunque può darsi che le recenti aperture non siano solo di facciata, anche se ovviamente il potere della FNCA sul Congresso è ancora alto per far pensare a svolte radicali.
Comunque il futuro ruolo geopolitico di Cuba è sicuramente legato al futuro dell’esperienza bolivariana indiolatina: se, per esempio, Chavez non riuscirà a confermare il consenso popolare, a causa della crisi economica che attanaglia anche il Venezuela e delle destabilizzazioni esterne, Cuba rischia di perdere un alleato chiave nella regione, che ha sostituito in parte l’URSS nel ruolo avuto nel secolo scorso per quanto riguarda l’assistenza energetica al Paese caraibico.
* Sergio Barone è dottore in Relazioni Internazionali (Università di Bologna)
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