Il maggiore teorico classico della guerra Carl Philipp Gottlieb von Clausewitz riteneva che la guerra moderna fosse un “atto politico“, e questa considerazione metteva in gioco quanto egli stesso stimava come l’unico elemento razionale della guerra. Secondo la sua idea, gli altri due elementi della guerra sono: a) l’odio, l’inimicizia e la violenza primitiva e b) il gioco d’azzardo e le probabilità. “Il primo di questi tre elementi – scriveva – riguarda principalmente il popolo; il secondo, il comandante in capo e il suo esercito e il terzo, unicamente il governo. Le passioni che vanno scatenate nel corso di una guerra devono esistere già prima nei popoli da essa coinvolti; la portata che avranno il talento e il valore in gioco nel dominare le probabilità del caso dipenderà dalla tempra del comandante in capo e dell’esercito; gli obiettivi politici, certamente, saranno di competenza esclusiva del governo.”
Questa descrizione di “guerra moderna”, tuttora in vigore, è un classico per chiunque si dedichi allo studio della Geostrategia e della Geopolitica o sia un esperto dello stato maggiore di qualsiasi esercito del mondo.
Alla luce dei risultati che, di giorno in giorno, vengono diffusi riguardo alla “Guerra di Obama o Guerra d’Afghanistan”, siamo indotti a chiederci se la nuova amministrazione democratica diretta dal Presidente Barak Obama stia prendendo in considerazione tutte queste idee. Ogni presidente degli USA, da Franklin Delano Roosevelt a oggi, ha avuto la “sua guerra” e, eccezion fatta per la II Guerra Mondiale (da cui gli USA uscirono vittoriosi sul fascismo europeo e sull’imperialismo giapponese), i risultati degli altri interventi bellici possono vantare ben pochi successi: Corea, Cina, Cuba, Laos, Vietnam, Cambogia, Libano, Irak, Afghanistan (si è trattato di sconfitte o di un pareggio, che in fondo equivale a una sconfitta) o appoggiando golpe militari o movimenti terroristici in: Iran, Pakistan, Nicaragua, Republica Dominicana, Cile, Grecia e in qualsiasi altro posto del mondo, gli Stati Uniti possono vantare un sucesso vero e proprio solo per quanto riguarda l’invasione di Granada e del Panamà.
Pochi giorni fa abbiamo saputo dell’licenziamento del generale David McChrystal, in seguito ad alcune dichiarazioni con le quali metteva in dubbio le capacità e gli obiettivi militari degli USA, rappresentati dal suo comandante in capo, ai fini di una vittoria in Afghanistan che, ricordiamo, compirà 10 anni; Una guerra iniziata, dopo l’11 settembre, per rimpiazzare i Talebani, gruppo che, si è nuovamente organizzato, le cui forze pascolano per l’intero paese e ha dato concretezza ad atti che avremmo potuto considerare comici se non fosse stato per la tragedia che si sta sviluppando laggiù, dove le forze della NATO pagano “un pedaggio” per non essere attaccate. Recentemente una ricerca del Senato degli Stati Uniti ha rivelato che le imprese che forniscono “servizi logistici” per mezzo di truppe mercenarie, come nel caso della società Xe Services (ex Blackwater), pagano un “pedaggio” ai talebani per non essere attaccati (ciò significa che lo stesso governo statunitense “sovvenziona” indirettamente i Talebani), oltre a questo sígnala lo smisurato incremento della produzione di eroina, denunciato dalle agenzie per la lotta alle droghe, dal momento che l’Afghanistan si è trasformato nel paese che fornisce il 92% della produzione mondiale di questo stupefacente ricavato dal papavero e che questa produzione ha preso piede in concomitanza con l’occupazione degli USA e della NATO.
Oggi nuove informazioni “riservate”, diffuse dal sito Wikileaks e pubblicate sui giornali The Guardian (Regno Unito) e The New York Times (USA), e la rivista Der Spiegel (Germania) rivelano che le truppe hanno ucciso centinaia di civili a causa di incidenti mai resi noti e che gli attacchi dei talebani hanno minato le forze della NATO e hanno incentivato la ribellione nei paesi vicini, come il Pakistan o l’Iran. Anche “The Guardian” ha riportato che questi archivi svelano come «un’unità segreta di forze speciali persegue i leader talebani per ucciderli o catturarli senza processo ». Anche il quotidiano britannico fa riferimento al numero di civili afgani morti e segnala che i registri filtrati riportano 144 incidenti di questo tipo. Rileva che «alcune di queste perdite sono dovute ad attacchi aerei che, in passato, hanno suscitato le proteste del Governo afgano, ma un gran numero di incidenti rimasti fino a oggi sconosciuti erano stati causati da soldati che avevano aperto il fuoco su conducenti o motociclisti disarmati, spinti dalla loro determinazione a proteggersi dai terroristi suicidi» .
La stampa informa che il tasso dei suicidi tra i militari statunitensi è di uno al giorno, principalmente tra i veterani dei conflitti in Irak e Afghanistan.
Tornando a von Clausewitz, questi concepiva la guerra come un’impresa politica di grande importanza, pur senza negare il sangue e la violenza che essa implica. Perciò riteneva che tutte le risorse di una nazione devono essere messe al servizio della guerra, nel momento in cui si decide di intraprenderne una. Egli pensava che la guerra, una volta iniziata, non può terminare finchè il nemico non è stato disarmato e sconfitto. La sua definizione di guerra è: “Costituisce un atto di forza che si porta a termine per obbligare un avversario a rispettare la nostra volontà “. È questo l’obiettivo della amministrazione Obama? o la guerra continua ad essere un grande affare ed è qui che risiede la risposta alla nostra domanda?, dal momento che una parte consistente dei contributi fiscali degli USA vanno a finire nelle casse senza fondo del cosiddetto “complesso militare-industriale”, che oggi rappresenta il 50% della spesa in materia di difesa globale, quindi alimentano questa macchina bellica che finisce con l’essere l’obiettivo di sé stessa
Alla luce dei risultati e delle informazioni che circolano, a dispetto della censura e del sostegno che i grandi Media danno a queste avventure, è ogni giorno più evidente che l’obiettivo degli USA: Non è vincere le guerre bensì conquistare il cuore di un grande affare.
Luglio 2010
Traduzione dallo spagnolo di Ilaria Poerio
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