A molti anni dalla fine di un sanguinoso conflitto, in questi giorni si torna a parlare della questione del Nagorno Karabakh.
Questo piccolo stato autoproclamatosi indipendente, fu teatro di una lunga guerra tra Armenia ed Azerbaigian, tra il 1988 ed il 1994 con migliaia di vittime civili e rifugiati. Le radici del conflitto vanno ricercate nella storia del paese, conteso tra le due Repubbliche fin dai primi anni del secolo scorso.
Entrambe infatti, confinando con il territorio del Nagorno-Karabakh, ne rivendicano l’appartenenza al proprio stato e cercano l’appoggio di alleati esterni che ne confermino la validità.
Già nel 1917, con la Rivoluzione Russa e la creazione degli stati della Georgia, Azerbaigian ed Armenia, la questione dei confini territoriali divenne di primo piano, poi con la Prima Guerra Mondiale il governo della regione fu affidato ad un governatore azero, riconosciuto anche dalla comunità internazionale.
Questo pose le basi per le rivendicazioni dell’Azerbaigian sulla regione, ma gli armeni la considerarono una mossa strategica delle potenze occidentali, interessate ai giacimenti petroliferi, e non accettarono il nuovo governo.
Nel Febbraio 1988 la situazione di tensione accumulata nei decenni precedenti, degenerò con dei violenti scontri tra le due etnie, che culminarono con due morti azeri e l’inizio di veri e propri pogrom contro gli armeni presenti nel territorio.
Questo diede inizio alla fuga di migliaia di persone verso Armenia ed Azerbaigian nel tentativo di sfuggire ai massacri ed inasprì ancor più i rapporti tra i due paesi.
Nel 1989 il livello delle violenze crebbe a tal punto da spingere la Russia ad aumentare i poteri del governo azero per tentare di sedare gli scontri, ma la mossa si rivelò inutile poiché una sessione congiunta del Consiglio Nazionale del Nagorno-Karabakh ed il Soviet Supremo Armeno, proclamarono la creazione di una repubblica indipendente.
Ancora a metà del 1990 gli scontri non accennavano a fermarsi e continuavano episodi di pulizia etnica nei confronti di entrambe le popolazioni; nel 1991 venne allora indetto un referendum in favore dell’indipendenza della regione, boicottato dalla popolazione azera, e nemmeno la proposta della Russia di concedere maggiore autonomia alla regione portò ad un appianamento del conflitto tra le due Repubbliche.
Con la dissoluzione dell’URSS le tensioni interne al paese crebbero insieme ai tentativi dell’Armenia di riunire questo territorio al proprio stato e la guerra riprese senza soste fino al 1994, quando dopo sei anni di intensi combattimenti, fu firmato da entrambe le parti un cessate il fuoco, tuttora in vigore, mediato dalla Russia e controllato dal gruppo Minsk dell’OSCE.
A tutt’oggi, il conflitto è congelato e la regione ha un governo indipendente ed un proprio esercito, seppure non sia mai stata ufficialmente riconosciuta come nazione autonoma e continuino a manifestarsi occasionali situazioni di scontro.
La guerra ha causato più di 300.000 morti e 100.000 feriti, da entrambe le parti, e ancora a distanza di sedici anni molti profughi vivono nei campi attrezzati per accogliere i rifugiati.
La situazione attuale
Nel 2007 a Madrid si è tenuta la conferenza dell’OSCE sulla questione del Nagorno-Karabakh, ed è stato deliberato che la risoluzione del conflitto dovrà essere portata avanti gradatamente, iniziando con la liberazione dei territori azeri attorno ai confini dello stato, che furono occupati dall’Armenia e rimangono tuttora sotto il suo controllo.
Il Karabakh dovrà inoltre essere messo nella condizione di indire un referendum per decidere autonomamente riguardo la sua indipendenza, o eventuale annessione ad uno dei paesi coinvolti.
Dal 2008 agli inizi del 2010 le trattative per un negoziato di pace sono proseguite aprendo uno spiraglio sempre più ampio sulle possibilità di una soluzione pacifica del conflitto nel breve termine, seppure la posizione di entrambe le nazioni riguardo la possibile spartizione del territorio, o la sovranità assoluta di uno dei due contendenti, rimanga fermamente contraria.
La traballante pace tenuta in piedi fino ad oggi potrebbe essere minacciata da recenti dichiarazioni del governo azero, il quale avrebbe stanziato per le spese militari di quest’anno 3,12 milioni di dollari, pianificando di aumentarle ancora sostanzialmente nei prossimi anni.
La situazione dell’Armenia non permette al paese di fare altrettanto, e l’aumento delle forniture militari porterebbe i due paesi ad una condizione di sbilanciamento molto profondo.
Questo scenario ha portato all’innalzarsi della tensione tra i due paesi, ed è soprattutto dalla parte armena che si avverte la paura che questa corsa al riarmo possa preludere ad un nuovo conflitto per il Nagorno-Karabakh.
Negli ultimi anni d’altra parte, gli azeri hanno assistito con crescente difficoltà e contrarietà alla ripresa del dialogo tra Armenia e Turchia, che ha portato, tra le altre cose, nell’ottobre 2009 alla riapertura delle frontiere tra i due paesi.
L’Azerbaigian ha contestato la ripresa della attività diplomatiche tra i due paesi che non era prevista dagli accordi stipulati con l’amministrazione statunitense, temendo la possibile creazione di un ponte tra le due nazioni, che possa influire sulla risoluzione del conflitto del Karabakh.
I possibili scenari di risoluzione del conflitto ad oggi sembrano tre:
– La ripresa della guerra: opzione presa in seria considerazione dal governo azero che ritiene di avere buone possibilità di vittoria, e di riottenere quindi il controllo completo dell’enclave e degli altri territori sottratti.
– Continuazione del cessate-il-fuoco senza limiti di tempo: situazione apparentemente auspicata dal governo armeno che non sarebbe in grado di portare avanti un conflitto in modo vittorioso a causa della disparità di forze in campo, ed escluderebbe il ritorno alla violenza interetnica.
– Negoziato di pace: certamente la soluzione più auspicabile per la risoluzione delle controversie, tuttavia di difficile realizzazione, visti i passati sedici anni di negoziati internazionali e la presentazione di cinque valide proposte di pace, di cui soltanto una è ancora al vaglio dei due governi.
Influenze esterne nel conflitto
Con l’ingresso della Turchia nello scenario politico delle relazioni tra Bakù e Erevan, la situazione sembra avvicinarsi ad una svolta.
Il governo azero teme fortemente l’instaurazione di legami tra Armenia e Turchia ed è arrivato a paventare la ricerca di soluzioni alternative per il trasporto del gas verso l’Europa, che tagli fuori il gasdotto turco.
Sebbene la messa in pratica di questa proposta sembri altamente improbabile, è indice della preoccupazione delle autorità azere, che il governo di Ankara ha immediatamente cercato di allontanare. Il governo ha infatti preso direttamente parte ai recenti colloqui di pace tra Armenia e Azerbaigian, ed ha lasciato intuire che l’ultima proposta sul tavolo delle trattative dei due governi potrebbe non cadere nel vuoto, ma che anzi esistono convergenze su più punti. Condivide tuttavia la posizione azera riguardo la necessità imprescindibile della restituzione all’Azerbaigian delle terre occupate indebitamente durante la guerra, e la graduale restituzione in cinque anni delle province di Kelbajar e Lachin.
* Valentina Bonvini è laureanda in Scienze umanistiche (Università “La Sapienza” di Roma)
Fonti:
http://www.osce.org/item/21979.html/
http://www.eurasianet.org/resource/armenia
http://www.rferl.org/content/NagornoKarabakh_War_Peace_Or_BATNA/1746559.html
http://www.rferl.org/content/Is_The_Karabakh_Peace_Process_In_Jeopardy/1732576.html
http://www.eurasianet.org/node/62162
http://www.eurasianet.org/node/62223
http://blog.ilmanifesto.it/estestest/tag/armenia/
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