Il Governo turco ha nei giorni scorsi approvato la nuova versione del documento denominato “Red Book”.

Il “Libro Rosso”, la cui stesura è compito del Consiglio di Sicurezza Nazionale Turco (MGK), viene redatto ogni cinque anni ed il suo principale scopo è quello di identificare le potenziali minacce alla stabilità del Paese, stilando una lista di Stati, organizzazioni e movimenti che potrebbero in qualche modo ledere alla Turchia.

Come potrebbe risultare ovvio, il Red Book è  diretta conseguenza delle scelte politiche del governo turco, sia per quanto riguarda i rapporti con altri Paesi, sia per la politica interna. L’ultima edizione del documento non costituisce affatto un’eccezione e riflette chiaramente la strategia “zero problems with neighbors” adottata dal ministro degli esteri Ahmet Davutoglu, strategia che mira soprattutto alla risoluzione dei vari conflitti tra la Turchia ed altri Stati della regione.

L’ultima versione del Red Book contiene il nome di Israele, dopo più di cinquant’anni di assenza. Allo stesso tempo l’Iran, fino al 2005 identificato come una tra le più pericolose minacce alla sicurezza nazionale, non è più presente nel documento. Le novità all’interno del Red Book, sono tuttavia numerose e non riguardano esclusivamente i Paesi appena citati: modifiche importanti sono state infatti apportate anche per quanto concerne Grecia, Iraq, Russia, Armenia, Georgia, Bulgaria e Siria, tutti Stati  precedentemente elencati nella lista e adesso esclusi. Rilevanti inoltre, anche i cambiamenti concernenti la questione curda, l’IRTICA (radical islamic threat against the secular Republic) ed altre problematiche di politica interna.

Red Book: che cosa è cambiato

Come affermato poc’anzi, molti analisti hanno visto nelle modifiche apportate al Red book, un segnale di “svolta” politica della Turchia. Difatti, le maggiori novità nella nuova versione del documento, rispetto soprattutto a quella immediatamente precedente del 2005, riflettono in parte sia alcuni avvenimenti politici recenti, sia le nuove strategie del governo turco, soprattutto per quanto riguarda il suo ruolo nella regione mediorientale.

La presenza di Israele tra le potenziali cause di crisi si spiega alla luce dei nuovi rapporti di Ankara e Tel Aviv. Secondo quanto riportato da alcuni giornali israeliani, lo Stato di Israele non era considerato minaccia alla sicurezza nazionale turca dal 1949 e fino ad ora, la collaborazione tra i due governi aveva consentito ad Israele libertà di movimento sul suolo turco, permettendogli numerose operazioni militari nel Medio Oriente. La situazione, tuttavia, è notevolmente cambiata quest’estate, dopo la vicenda dell’assalto israeliano alla flotta umanitaria  Freedom Flotilla diretta a Gaza, terminata con l’uccisione di nove cittadini turchi. I rapporti tra i due Paesi si sono così drasticamente irrigiditi, anche in seguito alla richiesta da parte turca di scuse ufficiali e di un risarcimento. Nonostante ciò, il Red Book 2010, evita qualsiasi tipo di riferimento alla vicenda della  Freedom Flotilla: non di meno,  sottolinea il grave clima di instabilità causato da Israele all’interno della regione. Una delle accuse che viene espressa nei confronti dello Stato ebraico è quella di provocare una potenziale corsa agli armamenti degli altri Paesi ad esso vicini, considerato il suo comportamento poco conciliante.

Nonostante la questione della flotta umanitaria sia un giustificabile motivo di dissidio, la scelta di inserire Israele tra le potenziali minacce alla sicurezza nazionale può essere considerata come conseguenza del riavvicinamento avvenuto tra la Turchia e l’Iran e la Siria.

Nella versione del Red Book del 2010, l’Iran non è più menzionato come una possibile minaccia. Il documento anzi, sottolinea l’importanza e l’utilità di una collaborazione tra i due Paesi, soprattutto contro il PKK ( Partito Comunista Curdo) manifestatasi negli ultimi anni dalle operazioni militari coordinate contro la guerriglia curda. Anche in questo caso, il documento può essere inteso come conseguenze diretta del nuovo atteggiamento turco nei confronti di Tehran. Solo qualche mese fa, Turchia ed Iran hanno firmato, insieme al presidente brasiliano Lula, una serie di accordi riguardo il nucleare, i quali prevedevano il trasferimento di uranio a basso arricchimento su territorio turco, per la produzione di materiale a scopi medici.

L’espansione dei legami commerciali ed economici con gli altri Paesi del Medio Oriente, accanto alla risoluzione dei conflitti regionali che vedevano protagonista la Turchia, è stato uno dei capisaldi della nuova politica adottata dal Primo Ministro Erdogan e soprattutto dal Ministro degli Esteri Davutoglu. Ed è proprio in quest’ottica che bisognerebbe leggere anche la cancellazione dalla lista della Siria, la quale ha recentemente firmato, assieme con Turchia, Libano e Giordania, una dichiarazione per la creazione di un zona di libero scambio. La politica sopracitata del “zero problems with neighbors” è, nell’ottica del governo turco, un ottima strada per incrementare sia lo sviluppo economico che politico.

Rimanendo dunque sul tema della strategia di “riavvicinamento”, Stati in precedenza identificati come ostili hanno perso tale caratterizzazione: Russia, Bulgaria, Georgia, Armenia e Grecia. Il caso degli ultimi due Paesi elencati, è abbastanza emblematico: per quanto riguarda l’Armenia, l’esclusione dalla lista delle potenziali minacce alla sicurezza nazionale, è stata da molti analisti indicata come segnale della volontà di un’apertura all’intrattenimento di rapporti diplomatici. Per ciò che concerne la Grecia, invece, la situazione sembrerebbe essere leggermente più complessa.

Nella versione del Red Book del 2005, le intenzioni della Grecia di estendere le proprie acque territoriali da sei a dodici miglia, erano considerate da parte turca come casus belli. Nell’attuale documento invece, tale categorizzazione viene negata, essendo descritto come altamente improbabile un conflitto greco-turco nella regione dell’Egeo. Tuttavia, l’aspetto più rilevante del nuovo Red Book, è come si enfatizzi la necessità e l’importanza di collaborazione tra Grecia e Turchia, aspetto che, come già affermato, è una costanza della politica di Davutoglu.

Altre due maggiori modifiche apportate al documento, riguardano invece la questione curda e l’IRTICA.

Nella versione del Red Book del 2005, la questione curda e, più specificatamente, il PKK, erano trattati nella sezioni riguardanti l’Iraq. L’Iraq era percepito come fonte diretta di ipotetico pericolo, data la presenza del PKK nella regione settentrionale del Paese. Questa versione del documento sottolineava la necessità di cooperazione tra Ankara ed il governo centrale di Baghdad, visto, insieme con i curdi iracheni,  come potenziale alleato contro il PKK. Nel Red Book 2010, il PKK, ancora riportato tra le maggiori minacce, è discusso nella sezione riguardante il pericolo separatista in Turchia e non in quella riguardante l’Iraq. Il “PKK e le sue estensioni”, identificate come terroristiche, sono dunque trattati in maniera molto dettagliata e non viene ignorato l’obiettivo del Partito del Lavoratori Curdi alla partecipazione alla vita politica turca. In linea generale, il Red Book indica come preferenziale la strategia secondo cui è più fruttuosa da una parte, una collaborazione militare con altri Paesi, vedi l’Iran; dall’altra si vorrebbero tentare trattative con quegli Stati che clandestinamente aiutano e finanziano il PKK, affinché cessino di avere con esso qualsiasi tipo di rapporto.

Infine, una sostanziale differenza che non si può mancare di menzionare, è quella riguardante lo status, all’interno del documento, del cosi detto “pericolo reazionario”, espressione con cui i militari indicavano la minaccia islamica alla laicità dello stato. Nel nuovo Red Book, invece, si opera una sostanziale distinzione tra i singoli individui che praticano la propria religione, ed i gruppi islamici estremisti. Questi ultimi vengono indicati come gruppi radicali che sfruttano la religione, espressione che, secondo il Codice Penale Turco (TCK), indica quei gruppi che, utilizzando metodi violenti, sfruttano la religione per azioni distruttive e dal carattere separatista.

Se dunque è vero che il nuovo Red Book costituisce una “svolta” nella politica turca, che cosa l’ha determinata?

Dove và la Turchia?

La filosofia dominante del Red Book è, come già ampiamente spiegato, quella adottata dal ministro Davutoglu, sintetizzata nell’espressione “zero problems with neighbors”. L’appianamento dei conflitti regionali, l’ampliamento dei rapporti economici e commerciali con gli altri Stati del Medio Oriente, hanno in realtà soprattutto lo scopo di portare in primo piano il ruolo della Turchia nella regione. Sebbene resti ancorato all’interesse di un eventuale ingresso nell’UE, il Governo di Ankara ha dovuto fare i conti con la resistenza di alcuni Stati Europei al riguardo: se è vero che molti membri dell’Unione Europea sono convinti della necessità di integrare in Europa la Turchia, immaginando per quest’ultima un ruolo di mediatore tra Occidente ed Oriente, è anche innegabile l’opposizione di alcuni Stati, ad esempio la Germania.

Se dunque l’ingresso in Europa sembrerebbe quanto mai lontano, risulta abbastanza evidente l’esigenza turca di diversificare la propria politica ed i propri investimenti economici. La strategia di avvicinamento ai Paesi della regione, ha essenzialmente questo scopo. In una certa misura, si potrebbe affermare come se, pur essendo in parte veritiero il cambiamento di direzione turco, tradizionalmente filo-occidentale, ciò comunque non cambia quelli che sono i principali obiettivi: un’affermazione della sua importanza a livello regionale ed interregionale. Il nuovo Red Book ha cambiato molte delle prospettive fin’ora conosciute, rompendo alleanze e stringendo di nuove, ma soprattutto rafforzando notevolmente la posizione turca nel Medio e Vicino Oriente. D’altra parte però, la Turchia rimane un membro Nato e, almeno apparentemente, i rapporti con gli USA non hanno subito radicali mutamenti, nonostante le nuove disposizioni del Libro Rosso.

All’atto pratico, è ancora presto per fare previsioni di come e in quale misura la politica turca riuscirà nei suoi intenti. Da un punto di vista puramente teorico, però, non si può mancare di notare come la Turchia, almeno sulla carta, abbia una posizione quanto mai unica: quella di un Paese musulmano che è riuscito a dotarsi  di un grande potere di contrattazione e mediazione sia in Occidente che in Medio Oriente.

*Valentina Gentile è Dottoressa in Studi Islamici (Università di Napoli l’Orientale)

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