Fonte: Atimes

Con l’entrata nel terzo mese di conflitto bellico, l’opinione pubblica mondiale sembra essere sempre più scettica sulle motivazioni e sul risultato dell’intervento militare occidentale. Mentre, ad un primo sguardo, l’operazione militare occidentale è sembrata arrivare in risposta alla simultanea convergenza di una crisi umanitaria con pressanti interessi strategici, un’indagine più approfondita suggerirebbe un’interpretazione più complessa.

La caduta dei presidenti tunisino ed egiziano all’inizio dell’anno e i conseguenti cambiamenti politici in questi Paesi, associati ad una dinamica più ampia di rivolte e insurrezioni in tutto il Nord Africa e Medio Oriente, pone molteplici tipologie di problemi ai pianificatori del Western Strategic Intelligence (STRATINT). Le rivoluzioni agiscono spesso come presagi di conflitti sia intra-statali che inter-statali, e non c’è un’immediata ragione per credere che il Nord Africa stia per essere risparmiato da questo ricorrente ciclo storico.

Visto da questa prospettiva, il controverso intervento dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) in favore dell’ esercito libico ribelle, fatto di gente comune, è progettato per influenzare il risultato di tale conflitto nella maniera più ampia possibile, al fine di gestire la totalità dei rischi posti da quello che sembra essere uno spostamento tettonico del potere politico in Nord Africa.

La principale preoccupazione, almeno dal punto di vista dei cittadini degli Stati sud-europei, é se, invece di minimizzare il rischio, l’intervento militare della NATO finisca per espandere di fatto il fuoco del conflitto sulle rive del Mediterraneo. La posta in gioco é alta, come gamma di rischi, che vanno dall’estremismo e dalla guerra sino al terrorismo e alle migrazioni di massa, minacce che potrebbero causare instabilità nell’Europa meridionale e oltre.

Rivoluzione e guerra

Quell’agitazione rivoluzionaria che tende a generare un conflitto, sia all’interno degli Stati ma soprattutto tra gli Stati stessi, é un presupposto molto sostenuto dagli accademici. Le sue origini partono dalla rivoluzione francese del 1789 e dalle conseguenti guerre rivoluzionarie e napoleoniche francesi che travolsero il continente europeo. In tempi più recenti, la rivoluzione iraniana del 1979 e la conseguente sfida ideologica ai capi di Stato del Medio-Oriente hanno acceso la scintilla della lunga guerra fra Iran e Iraq. Quando Saddam Hussein si impegnò in un atto di aggressione contro l’Iran nel settembre del 1980, agì così solo dopo un cenno di approvazione da parte delle potenze regionali e mondiali ansiose di contenere la rivoluzione iraniana.

In Nord Africa, nell’arco di meno di due mesi, due leader di vecchia data sono stati deposti nelle due settimane successive ai disordini. Se da una parte potrebbe essere prematuro etichettare questi significativi momenti politici come « rivoluzionari », nella misura in cui i sistemi politici alla base non sono stati rovesciati, dall’altra c’è ancora molto potenziale per ulteriori cambiamenti rilevanti, perfino di tipo rivoluzionario.

La prospettiva di un’agitazione rivoluzionaria in Egitto é di gran lunga di più grande preoccupazione per gli osservatori internazionali, a causa delle dimensioni di quel Paese e della sua abilità nell’influenzare gli eventi e le opinioni in tutto il mondo arabo. Esiste un diffuso sentimento in Egitto, in particolare tra gli strati della società che si sono trovati in prima linea nelle rivolte contro il regime di Mubarak, che le conquiste politiche ottenute sino ad ora non sono sufficienti a soddisfare le richieste dei rivoluzionari.

Se le cruciali battaglie politiche egiziane nei decisivi mesi a venire aprissero strade per un vero cambiamento e in definitiva stabilissero realmente un nuovo potere politico, l’Egitto potrebbe poi assumere il profilo di un nascente potere rivoluzionario, non troppo diverso dai drammatici cambiamenti del profilo strategico dell’Iran più di tre decenni fa. Un Egitto rivoluzionario, di qualsivoglia sfumatura ideologica, é destinato a spendere il suo ritrovato vigore, ponendo ingerenze nel suo ambiente circostante. Infatti, se ci fosse stata un’amministrazione rivoluzionaria al potere a Il Cairo, il colonnello Muammar Gheddafi sarebbe probabilmente già stato rovesciato.

La prospettiva di un Egitto come fonte ed esasperatore di tensioni nel Nord Africa deve essere certamente di grande rilevanza ed interesse per i centri occidentali dello STRATINT. Infatti, non é troppo azzardato ipotizzare che l’intervento militare in Libia sia stato in parte concepito per ridurre la portata di influenza egiziana in Libia negli anni a venire, progettando la transizione in quel Paese in gran parte senza l’aiuto e il contributo egiziano.

L’opposizione imprevedibile della Libia

Uno dei più potenti argomenti contro il sostegno debolmente nascosto da parte delle potenze occidentali ai ribelli libici é concentrato sul fatto che questi ultimi sono visti come un quantitativo in gran parte sconosciuto. Questi timori sono stati alimentati poche settimane fa in seguito all’affermazione del Supremo Comandante europeo delle forze alleate della NATO, l’ammiraglio James Staviridis, secondo cui l’intelligence nordamericana avrebbe identificato « barlumi » di attività di Al-Qaeda fra i ribelli libici.

Nonostante il dispiegamento alla massima estensione delle loro capacità di intelligence, i poteri occidentali non sembrano avere una grande conoscenza delle persone con cui sono entrati in una sempre più aperta alleanza militare e politica. É questa apparente mancanza di conoscenza che alimenta preoccupazioni e che può ancora inaugurare ogni tipo di conseguenze impreviste.

A prima vista, i ribelli libici sembrano essere un’armata organizzata alla meglio con una minima speranza di ottenere una svolta militare nel breve periodo, perfino con l’aiuto del sostanziale supporto aereo occidentale. Sul fronte politico il Consiglio Nazionale di Transizione, avente base a Bengasi, difficilmente riesce a infondere fiducia e ispirazione. A prima vista almeno sembra essere un poco carismatico miscuglio di fedelissimi del precedente regime di Gheddafi e di leader locali tirati dentro al vivo delle cose da un ampio vortice di cambiamento. Abbandonati a loro stessi, i ribelli subirebbero molto probabilmente una decisiva sconfitta politica e militare da parte di Gheddafi, così come era accaduto circa 4 settimane fa, prima dell’approvazione della risoluzione 1973 delle Nazioni Unite, che autorizza una no-fly zone sulla Libia.

Tuttavia, sarebbe un errore considerare un fallimento l’opposizione libica, nonostante ci siano poche attendibili informazioni sulle dimensioni della configurazione di forze politiche e sociali schierate contro Gheddafi. Tre decenni fa, il Fronte di Liberazione per la Salvezza della Libia era una delle maggiori forze politiche del mondo arabo (qualcuno dice secondo solo all’Organizzazione di Liberazione della Palestina, in termini di dimensione e risorse), e sollevò una seria sfida al regime donchisciottesco di Gheddafi, prima che cadesse nel caos a metà degli anni ‘80. É prudente affermare che l’NFSL, nella sua forma attuale e con i suoi membri più anziani, risulta profondamente inserito all’interno dell’emergente élite politica basata a Bengasi, sia all’interno del Consiglio Nazionale di Transizione che indipendentemente da esso.

Sul fronte militare, i combattenti un tempo affiliati al Gruppo islamico Combattente Libico (LIFG) sono indubbiamente tra le fila ribelli. Tuttavia, l’ormai defunto LIFG ha preso decisivamente le distanze da Al-Qaeda prima della sua dissoluzione. Molti dei leader si sono persino appacificati con il regime di Gheddafi. In ogni caso, prima dello scoppio della rivoluzione libica a febbraio, la leadership dell’ex LIFG, in particolare il gruppo di quadri che hanno base nell’Europa occidentale, è sembrata essere interessata più alla sua auto-promozione che ad impegnarsi in una radicale politica islamista.

Nondimeno, ci sono legittimi – se non esagerati – timori sulla militanza islamica nella Libia orientale. É spesso sottolineato da parte dei media occidentali che la città orientale di Derna fece la parte del leone tra la scia di attentatori suicidi arabi che si abbatté in Iraq a seguito dell’invasione anglo-americana di marzo-aprile 2003.

Se c’è un numero considerevole di militanti islamici nelle fila delle forze ribelli allora questo promette di complicare il processo di transizione, in particolare quando Gheddafi sarà alla fine rimosso. I pianificatori della NATO, insieme ai servizi di intelligence occidentali e ai loro capi politici, starebbero cercando di ridurre gli elementi radicali ai margini offrendo ai ribelli un consistente supporto militare e politico. Ma questa strategia corre anche il rischio di alimentare tensioni tra le fila ribelli, con l’ala più radicale contraria ad aprirsi al supporto occidentale, in particolare se ciò comporta la presenza occidentale sul territorio.

Numerosi media occidentali hanno già affermato che le forze speciali occidentali, oltre agli agenti dell’ intelligence, stanno operando in lungo e in largo per la Libia. Sarebbe davvero soprendente se queste notizie fossero false.

Una serie di minacce.

Un particolarmente preoccupante scenario per i centri STRATINT occidentali é la possibilità che i militanti islamici ottengano posizioni di primo piano nelle nuove strutture libiche militari, di sicurezza e di intelligence. Il rischio é possibile in vista della natura della transizione che aspetta la Libia nei prossimi mesi e anni. A differenza di Tunisia ed Egitto, la Libia si trova dall’inizio a sperimentare un cambiamento di regime totale, con un grande potenziale d’instabilità, soprattutto considerata la bassa cultura politica del Paese e la connessa infrastruttura .

Un’instabilità protratta potrebbe trasformare la Libia in uno Stato fallito, nonché con un potenziale ancora maggiore di attrarre militanti islamici locali e stranieri, rispetto alla Somalia devastata dalla guerra. Uno scenario più realistico é quello di un provvisorio regime radicale a Tripoli che si estende oltre se stesso e che innesca conflitti nella regione, coinvolgendo i vicini Egitto e Algeria. L’effetto secondario di questa instabilità potrebbe influire negativamente sulle relazioni tra Algeria e Marocco, con la possibilità di un conflitto per il Sahara occidentale che accenda le tensioni tra le due nazioni rivali.

Per i Paesi dell’Europa meridionale, in particolare l’Italia, la più grande minaccia nel breve e nel medio periodo sono le migrazioni di massa provocate dalla dominante instabilità e incertezza nel Nord Africa. Questa minaccia porta ad una moltitudine di rischi ad essa connessi, compresi radicalismo, crimine ed estremismo religioso, ognuno dei quali può alterare l’equilibrio delle forze politiche in questi Paesi, con l’estrema destra che emergerebbe come principale beneficiario.

É allettante, se non rassicurante, concludere che il controverso coinvolgimento militare della NATO in Libia  (basato su un’interpretazione estensiva della risoluzione 1973 dell’ONU) é stato designato per delineare il futuro della Libia, così da opporsi a questi rischi e ridurli a un livello gestibile. Tuttavia, la regola delle conseguenze inaspettate si profila all’orizzonte. Mentre gran parte del mondo é stato stordito dal drammatico allontanamento di Gheddafi da parte delle potenze occidentali e dal loro entusiastico sostegno ad un’imprevedibile forza, la vera sorpresa potrebbe ancora essere in magazzino. Coloro che chiedono la caduta dell’eccentrico e volubile tiranno libico dovrebbero fare attenzione a ciò che desiderano.

Mahan Abedin é un ricercatore senior in studi sul terrorismo e consulente di media indipendenti in Iran

(Traduzione di Carla Francesca Salis)

 

 


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