Fonte: “Voltaire Network”
L’arresto del Generale Ratko Mladic e la sua estradizione al Tribunale Penale Internazionale per l’ex-Jugoslavia (ICTY) erano prerequisiti fondamentali per l’entrata nell’Unione Europea da parte della Serbia. Ora, questo dovere è stato assolto. Come ci si aspettava, i media occidentali hanno etichettato l’imputato come il “Massacratore della Bosnia” attribuendogli tutte le accuse possibili, mascherando in tal modo il ruolo della NATO in Jugoslavia. Non può però esserci una riconciliazione senza la verità, la quale, come osserva Slobodan Despot, è molto più complessa di quella data dalla rappresentazione manichea.
Ratko Mladić non ha servito bene il suo paese, nascondendosi dalla giustizia per tutti questi anni, ma la sua tarda cattura può consentire una valutazione più serena delle tragedie di cui è stato protagonista, una valutazione che sarebbe stata impossibile nell’immediato processo del periodo post-bellico.
Al tempo in cui è stata sollevata l’accusa del ICTY, l’occidente aveva designato all’unanimità un solo colpevole: i Serbi. Da allora, le cose sono cambiate.
L’interferenza estera nel conflitto, specialmente da parte degli Americani, è stata largamente studiata ed analizzata (vedi i libri di Jürgen Elsässer e Diana Johnstone). In modo analogo, Jacques Merlino, Noam Chomsky, Edward Herman, David Peterson ed altri hanno in fine mostrato come la manipolazione dei media in ampia scala era stata usata per influenzare la percezione della guerra da parte del pubblico.
I protagonisti presentati fino a poco tempo fa unicamente come vittime sono stati accusati o condannati per gli stessi crimini dei Serbi. La Croazia di Tudjman, nella “Operazione Tempesta”, nell’estate del 1995, ha massacrato migliaia di Serbi compiendo inoltre una pulizia etnica di altri 250.000 dalla Krajina. L’esercito di liberazione del Kosovo di Hashim Thaci ha massacrato dei civili serbi e trafficato i loro organi. Ci sono prove che indicano la Bosnia, guidata da Alija Izetbegovic, presidente eletto della comunità islamica e teorico del fondamentalismo islamico, come ponte per i Mujahidin, prima sauditi e poi iraniani, ed un rifugio per terroristi. Infatti, la maggior parte dei terroristi responsabili degli attacchi dell’11 settembre del 2001 di Londra e Madrid erano stati in Bosnia, e lo stesso Bin Laden aveva un passaporto bosniaco emesso nel 1993.
Per quelli che hanno il coraggio di ricordare, il periodo in cui l’accusa del genocidio fu fatta contro Ratko Mladić ed il suo superiore, Radovan Karadzic (la cui cattura ed il processo continuo a L’Aja sembra già essere stato dimenticato) era stato marchiato da una propaganda occidentale anti-serba. A 16 anni di distanza, questa propaganda sembra ora irrazionale e stravagante.
Sarà difficile presentare il Generale Mladić come un lupo colpevole di aver attaccato delle pecore innocenti. All’arresto di ogni nuovo ufficiale serbo, la Comunità Internazionale ed i media ci hanno gioiosamente assicurato che la colpevolezza sarebbe stata dimostrata ma che sarebbero stati discreti all’inizio del processo. Il processo di Milosevic è completamente sparito dalla scena dal momento della sua morte, quello di Seselj, anche se fantastico, è stato nascosto, e nessuno ha il minimo interesse circa il processo di Karadzic. Ognuno di questi protagonisti, in sua difesa, ha accusato di parzialità e cinismo coloro che hanno organizzato il processo in tribunale.
Se tutto dovesse andare bene, il processo di Mladić sarà un’eccezione a questa regola. Si spera che venga esaminato seriamente l’intero contesto che ha portato al massacro di Srebrenica e come un volgare “occhio per occhio” tra due eserciti sia stato trasformato dalla retorica in qualcosa di molto peggiore: un genocidio.
Il diffuso ed offensivo uso di questa parola nella descrizione occidentale e bosniaco-islamica degli eventi del luglio del 1995 mostra che l’obiettivo principale del suo utilizzo è quello di intimidire. Quando paragoniamo quest’uso con quello che è capitato a Norimberga e la sua legislazione, diventa chiaro che il Tribunale Penale Internazionale vuole prevenire ogni esame razionale di Srebrenica. Sorprendentemente, la definizione di genocidio stabilita a Norimberga esclude il massacro di Srebrenica dal momento che quest’ultimo prendeva di mira solo gli uomini in età adatta per combattere (a differenza del “uomini e bambini” al quale ci si riferisce abitualmente), e non una comunità come tale.
Quando ha partecipato al programma Forum Radio Suisse Romande, il 26 maggio 2011, il giornalista Philippe Revaz ha posto una domanda molto diretta a Carla del Ponte, ex-procuratore del Tribunale Penale Internazionale:
“Carla del Ponte, questo è un genocidio?“
La risposta del magistrato è significativa:
“Io dico genocidio, perché, beh, avevamo già capi delle condanne per complicità in genocidio, ed abbiamo già conferme dalla Corte di Appello del Tribunale [ICTY] che quello compiuto a Srebrenica è stato un genocidio”.
E’ altamente significativo che la Signora del Ponte giustifichi il termine non attraverso una descrizione del crimine, ma ricorrendo alla giurisprudenza della propria corte. “Dico che X ha compiuto un genocidio perché qualcun’altro è già stato condannato per complicità in genocidio”. La tautologia è al limite dell’assurdo!
I giudici di Mladić offrirebbero un grande servizio alla giustizia per l’umanità se evitassero le tautologie e le assurdità citate sopra. Per fare questo, devono provare a rispondere, serenamente e senza pregiudizi, ad una serie di domande che si sono accumulate negli ultimi 16 anni:
– Perché le forze islamiche di Naser Orić hanno permesso l’uso della zona demilitarizzata di Srebrenica, tra il 1992 ed il 1995 come base per le loro incursioni omicide nei dintorni dei villaggi serbi, direttamente sotto gli occhi del battaglione delle forze di pace olandesi?
– Perché l’ICTY ha rilasciato Naser Orić senza investigare il ben documentato – da un esaminatore medico – massacro di 3.250 serbi nelle vicinanze di Srebrenica?
– Qual è il valore della deposizione del testimone chiave Dražen Erdemović, un mercenario croato, rilasciato in cambio della sua testimonianza – non supportata da fatti – di esecuzioni di massa di prigionieri islamici?
– Perché gli Stati Uniti, attraverso la voce di Madeleine Albright, hanno aspettato fino al 10 agosto del 1995 per “rivelare” il massacro di Srebrenica, anche se sostenevano di aver fatto delle foto satellitari in tempo reale dei crimini?
– Perché queste immagini non sono mai state mostrate?
– Qual è la connessione tra la conferenza stampa del 10 agosto, che focalizza l’attenzione mondiale su Srebrenica, e “l’Operazione Tempesta”, che era stata il 4 agosto stabilita in stretta relazione con la Croazia, nella quale un numero simile di serbi, includendo donne e bambini, sono stati assassinati e sono scomparsi?
Nel 15 aprile del 2011, l’ICTY ha giudicato colpevoli due generali croati per questa operazione, descrivendo in cosa consisteva la pulizia etnica organizzata ai livelli più alti. Tuttavia “Operazione Tempesta”, come sappiamo oggi, era stata portata avanti con un certo supporto dagli ufficiali americani lavorando con un subappaltatore delle forze americane, il MPRI.
La credibilità dell’amministrazione americana è caduta dal momento in cui sono state rivelate le menzogne circa le armi di distruzione di massa che giustificavano l’invasione dell’Iraq. Sospetti che erano impensabili nel 1995 sono diventati comuni nel 2011.
Il Generale Mladić, apprezzato dai suoi pari nella NATO durante la Guerra bosniaca, non è solo un sospetto criminale. E’ anche un testimone chiave di un periodo frenetico in cui era vietato pensare.
Annunciando l’arresto di Mladić, il Presidente serbo Boris Tadic ha ripetuto quanto sia importante agire sui risultati dell’indagine di Dick Marty circa il traffico di organi adottato dall’Assemblea Parlamentare del Consiglio Europeo – affermazioni che la Comunità Internazionale ha difficoltà a tramutare in azioni.
Il processo dell’ultimo signore della Guerra degli anni ’90 è anche l’ultima possibilità di portare una reale giustizia a tutte le vittime di quegli anni dell’odio, invece che limitarsi ad una giustizia basata su retribuzioni e ri-educazioni dirette principalmente contro il gruppo sommariamente identificato come “colpevole”.
(Traduzione di Giuliano Luiu)
* Slobodan Despot è amministratore delegato di Xenia Publishing, ex segretario dell’Istituto Serbo di Losanna.
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