La Marina Militare, il Corpo dei Marine e la Guardia Costiera degli Stati Uniti hanno pubblicato congiuntamente in data 17 dicembre 2020 un documento dal titolo “Advantage at Sea. Prevailing with Integrated All-Domain Naval Power“,1
La pubblicazione di simili documenti è un evento piuttosto raro (la penultima risale al 2015, con il documento che ha ufficialmente dato il via alla strategia del “multilateralismo” seguita da Obama e da Trump), che avviene solo sotto i pieni auspici dello Stato Maggiore Congiunto degli Stati Uniti, cioè dell’istituzione che riunisce i capi di stato maggiore di tutti i rami delle forze armate statunitensi. La divulgazione di tale documento significa che i vertici delle varie istituzioni militari statunitensi si sono accordati sul tipo di strategia fa seguire “per il prossimo decennio” – strategia che quindi fornirà l’orientamento generale delle forze armate statunitensi a prescindere dai vari inquilini della Casa Bianca. Il prossimo decennio, come scritto in esergo al documento, “darà forma alla bilancia di potenza marittima per il resto del secolo”.
Il ragionamento cardine del documento è sintetizzabile nel modo seguente:
(1) “gli Stati Uniti sono una nazione marittima. La nostra sicurezza e prosperità dipendono dai mari”;
(2) Cina e Russia (soprattutto la Cina) costituiscono delle minacce alla sicurezza nazionale statunitense, poiché in seguito ai loro “aggressivi sviluppi navali e modernizzazioni” militari potrebbero tentare e persino riuscire ad espellere gli Stati Uniti da alcuni mari e dalla gestione di alcuni “punti strategici chiave” (stretti, istmi), facendo perdere agli Stati Uniti il “vantaggio in mare” ottenuto con la vittoria nella Seconda Guerra Mondiale e da cui traggono tuttora la propria superpotenza. Anche Iran e Corea del Nord sono definiti “rivali”;
(3) Conseguentemente, il documento delinea le principali direttive volte a mantenere il “vantaggio in mare” degli Stati Uniti e a negarlo ad altri Paesi. Essenzialmente: maggiore integrazione dei vari reparti armati, potenziamento tecnologico dell’apparato bellico (anche nel settore della guerra ibrida e dell’intelligenza artificiale), richiesta di una maggiore collaborazione da parte degli “alleati”, gestione diretta di commercio, trasporti e rotte marittimi, ostruzione ferma e decisa di ogni tentativo di chiusura agli Stati Uniti di zone marittime o di passaggi di mano a Paesi rivali nella gestione dei “punti nevralgici”, difesa della propria supremazia navale nei mari tradizionali (in particolare il Pacifico) ed ottenere la superiorità nell’Artico.
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Nello specifico, la dichiarazione congiunta comincia sottolineando la natura “marittima” degli Stati Uniti, natura che si è affermata grazie al “dominio sopra e sotto le onde e nei cieli” ottenuto in seguito alla “vittoria nella Seconda Guerra Mondiale”, e da allora mantenuto “per 75 anni”. Grazie a questo dominio, sostiene il documento, gli Stati Uniti hanno potuto promuovere sicurezza, benessere e prosperità non solo per se stessi, ma anche per tutti i Paesi che hanno deciso di partecipare alle regole del gioco.
Ora come allora, afferma il Ministro della Marina Kenneth J. Braithwaite in un appello lanciato in esergo al “popolo statunitense”, “l’ordine internazionale fondato sul diritto è di nuovo sotto attacco”. La minaccia che sia gli Stati Uniti che altri Paesi devono ora affrontare è dovuta al fatto che, in seguito a “significativi sviluppi tecnologici e una aggressiva modernizzazione militare”, insieme ad una generale tendenza di “revisionismo”, Cina e Russia minacciano l’attuale ordine mondiale “contestando la bilancia di potenza in regioni chiave e cercando di minare l’ordine mondiale esistente”.
Tale minaccia è dovuta al fatto che “gli Stati Uniti non possono più presumere che l’accesso agli oceani del mondo”, cioè la conditio sine qua non della globalizzazione americanocentrica, “rimanga illimitato [unfettered] in caso di conflitto”. Se infatti gli Stati Uniti hanno reso possibile la propria e altrui prosperità grazie all’apertura e alla sicurezza degli oceani che assicuravano a se stessi e agli altri grazie alla propria supremazia marittima, questo vantaggio militare “si sta erodendo a un ritmo allarmante”, conseguentemente minacciando “questa era di pace e prosperità”. “La bilancia di potenza”, infatti, in alcune regioni si sta inclinando a favore di questi due attori revisionisti, che danno segno non solo di non voler agire da attori rispettosi dell’ordine mondiale costituito, ma anzi di voler sfruttare la propria potenza per perseguire “interessi autoritari”.
“In caso di conflitto, probabilmente Cina e Russia cercheranno di conquistare territori prima che gli Stati Uniti e i loro alleati preparino una risposta efficace – portando ad un fait accompli.” Inoltre, questi due Stati sono potenzialmente in grado di causare danni enormi all’economia mondiale tramite attacchi cibernetici e cinetici o attaccando i cavi sottomarini. In ogni caso, il nemico principale nel “lungo periodo” è visto nella Cina, poiché essa “ha implementato una strategia ed un approccio revisionistico che mira al cuore della potenza marittima degli Stati Uniti [ovvero] cerca di corrodere la governance internazionale marittima, negare l’accesso ai tradizionali centri logistici, inibire la libertà dei mari, gestire l’utilizzo dei nevralgici colli di bottiglia, dissuadere il nostro impegno nelle dispute regionali e sostituirsi agli Stati Uniti come il collaboratore preferito nei Paesi di tutto il mondo”. Inoltre, mentre la flotta degli Stati Uniti è dispersa in tutto il mondo, quella cinese è concentrata nel Pacifico, dove “cerca di istituire una propria egemonia regionale [e] sta anche espandendo la propria portata globale [con la] Nuova Via della Seta”, diventando in grado di proiettarsi anche lontano dalle proprie coste come mai prima d’ora era riuscita a fare.
Stando alla dichiarazione congiunta, la tradizionale importanza del dominio sui mari e sugli oceani non è diminuita in seguito ai recenti sviluppi tecnologici ed all’approfondimento della globalizzazione; infatti, non solo è il dominio dei mari ad aver reso possibile questi sviluppi, ma è integrando il potere navale in tutti i vari domini che è possibile “moltiplicare la tradizionale influenza del potere del mare al fine di produrre una forza totale più competitiva e più letale”. In questo senso si comprende l’imperativo categorico della strategia congiunta, consistente nel riaffermare e difendere il dominio marittimo statunitense nei vecchi e nuovi teatri marittimi, da fare approfondendo il livello di integrazione dei vari reparti militari: integrazione che deve comprendere anche i campi che a prima vista potrebbero sembrare ininfluenti alla funzione di “preservare la sicurezza marittima”, tra cui “la diplomazia, le forze dell’ordine, l’economia statuaria”, oltre che alla gestione più o meno diretta di “navi mercantili, infrastrutture portuali, costruttori navali. Tutte queste relazioni sono di importanza fondamentale per garantire l’uso libero del dominio marittimo, assicurare la nostra sicurezza e proteggere la nostra prosperità”.
In ogni caso, che la strategia delineata in “Advantage at sea” non costituisca un cambiamento di fondo nella strategia di dominio statunitense è sostenuto dal documento stesso, il quale afferma che “gli obbiettivi della sicurezza statunitense sono rimasti costanti sin dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Gli Stati Uniti hanno cercato di proteggere il proprio territorio e di assicurarsi condizioni globali ospitabili per la libertà, il commercio e la pace. Abbiamo contrastato i tentativi dei nostri rivali di soggiogare regioni o di impedire l’accesso agli oceani del mondo. Ogniqualvolta questi interessi duraturi fossero minacciati, gli Stati Uniti hanno agito in concomitanza con nazioni che la pensano allo stesso modo per proteggere i nostri obbiettivi comuni e cambiare il comportamento di nazioni che operano al di fuori delle stabilite norme internazionali”.
In effetti, la dottrina marittima statunitense mostra una secolare costanza sin da quando fu elaborata per la prima volta da Alfred Thayer Mahan, l’influente ammiraglio che sistematizzò le basi teoriche dell’influenza del potere del mare sulla storia, fornendo agli Stati Uniti la stella polare che sin dalla fine del XIX secolo guida la loro politica navale nel mondo. Per Mahan infatti gli Stati Uniti sono i necessari eredi dell’impero marittimo inglese, eredità che li innalza a “vera isola contemporanea”, “isola maggiore” e che, dopo esser diventati l’unico Stato ad aver raggiunto la piena egemonia regionale, sicuri nel loro “carattere insulare” su scala continentale proiettano la propria forza navale in tutto il mondo grazie al loro dominio sul potere del mare. Ed in quest’ottica, gli Stati Uniti impediscono ad ogni altro attore di diventare egemone a sua volta della propria regione, evento che implicherebbe l’espulsione della marina statunitense dalle acque di quella regione.
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Ciò che invece per certi versi in questo caso costituisce una novità è l’importanza assegnata alla regione artica, zona ai tempi di Mahan inaccessibile ma ormai apertasi all’influenza del potere del mare. Ed infatti di un’apertura alla competizione marittima che la strategia afferma quando sostiene che “non possiamo ceder[ne] l’influenza […]. I prossimi decenni comporteranno cambiamenti nella regione artica che avranno un impatto significativo” sulla bilancia di potenza globale; zona in cui tuttavia la marina statunitense soffre di pesanti ritardi tecnologici e strategici rispetto a Russia e Cina.
Questo significa che il percepito bisogno di contenere la Russia e la Cina nell’Artico, insieme al generale ritardo di cui soffrono nei confronti di questi due attori, porterà verosimilmente gli Stati Uniti ad una corsa alla militarizzazione della macroregione artica nel tentativo di sabotare, in particolar modo, la rotta polare della Nuova Via della Seta. In ogni caso, è già da qualche anno che gli strateghi statunitensi insistono sull’importanza strategica che sta acquisendo l’Artico: l’idea avanzata nel 2019 di comprare la Groenlandia dalla Danimarca costituisce soltanto l’esempio più eclatante ma che, nonostante i tentativi, Russia e Cina proseguono coi loro progetti artici più speditamente degli Stati Uniti.
Sta di fatto che, se alle idee esposte nella strategia del “vantaggio sul mare” – secondo cui la sicurezza degli Stati Uniti dipende dalla loro superiorità marittima e che gli Stati Uniti devono agire per riaffermare questa superiorità che “stanno perdendo ad un ritmo allarmante” – si aggiunge l’idea esposta nella prima riga dell’introduzione al documento, che recita “le nostre azioni in questa decade daranno forma alla bilancia di potenza per il resto di questo secolo”, è difficile non concludere che una simile strategia comporterà da parte degli Stati Uniti una quasi forsennata corsa volta ad imporre la propria supremazia nell’Artico militarizzando la macroregione e, inoltre, ad impedire alla Cina di raggiungere l’egemonia nel mediterraneo asiatico, con enormi rischi per la sicurezza internazionale.
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