Potenziare lo studio e il monitoraggio dell’area polare, punto di osservazione fondamentale dei mutamenti climatici. Questo il tema del convegno organizzato dal Dipartimento terra e ambiente del Cnr. Dopo tre anni, grazie all’impegno dell’Ente e del Miur, è operativa una missione con oltre 40 ricercatori e tecnici
L’incontro ‘Le prospettive della ricerca nella Regione Artica’, che si terrà venerdì 26 marzo presso l’Aula Marconi del Consiglio nazionale delle ricerche (piazzale Aldo Moro 7, Roma) a partire dalle ore 9.00, è stato organizzato dal Dipartimento terra e ambiente (Dta-Cnr) per illustrare i contenuti della campagna di ricerca 2010 in Artico, che vede l’ente coinvolto in prima linea e più in generale per discutere del contributo italiano allo studio delle problematiche ambientali di quest’area.
Saranno presenti, tra gli altri, l’Ambasciatore del Regno di Norvegia in Italia Einar M. Bull, il Presidente della Commissione scientifica nazionale per l’Antartide e dell’ European Polar Board Carlo Alberto Ricci e rappresentanti di istituzioni ed enti di ricerca internazionali.
“Dopo tre anni di attività ridotte dall’insufficienza di fondi, la comunità scientifica italiana torna protagonista nel Polo Nord grazie alla costruzione della Amundsen-Nobile Climate change tower e alla realizzazione del CCT integrated project”, spiega Giuseppe Cavarretta, direttore del Dta-Cnr, “un progetto di ricerca sui cambiamenti climatici e i processi di inquinamento nella regione che rappresenta il completamento e l’evoluzione del Progetto strategico Artico, sospeso appunto nel 2007”.
Il nuovo progetto, operativo presso le isole Svalbard, in Norvegia, nella Base “Dirigibile Italia”, è stato reso possibile, “grazie all’azione congiunta del Cnr, che ha attivato finanziamenti per 400 mila euro, e del Ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca (Miur) che ha approvato a tal fine un progetto PRIN per 250.000 euro”, prosegue Cavarretta. “Il programma vedrà impegnati oltre 40 ricercatori e tecnici, che si alterneranno nella Base fino a fine settembre. In particolare, il supporto logistico ai ricercatori Cnr, universitari e di altri Enti di ricerca anche non-italiani e l’operatività dei laboratori sono garantiti dal nostro Dipartimento”.
“Il CCT è parte del programma SIOS (Svalbard Integrated Observation System), che mira a trasformare le Svalbard in una piattaforma multistrumentale e multidisciplinare per lo studio del sistema Artico, promosso dall’ESFRI (European Strategy Forum on Research Infrastructures)”, spiega Vito Vitale dell’Istituto di Scienze dell’atmosfera e del clima (Isac-Cnr) di Bologna. “In particolare, sarà avviata la realizzazione di un laboratorio per lo studio e il monitoraggio di particelle di aerosol, SLPs (short lived pollutants), POPs (persistent organic pollutants), processi chimico-fisici all’interfaccia aria-neve e processi nell’interfaccia aria-mare, mediante la realizzazione di una rete di sistemi acustici marini nel Kongsfjorden”.
Il convegno si inserisce ovviamente nel contesto dei dati sui cambiamenti climatici in corso nelle regioni artiche. “Negli ultimi cinquanta anni, la temperatura è aumentata da 2 a 3 volte in più rispetto alla media globale”, spiega Antonello Provenzale dell’Isac-Cnr. “I ghiacci marini hanno quasi dimezzato il loro spessore, dai 3,7 metri del 1975 ai 2,7 metri del 2000, e la temperatura del permafrost (il suolo perennemente ghiacciato) è aumentata in molte regioni di circa 2-4°C, con il rischio di liberare metano, potente gas serra che amplifica il riscaldamento climatico”.
Questi cambiamenti hanno effetti significativi sia sull’ambiente fisico, quali la fusione del ghiaccio marino, sia sugli ecosistemi artici, “con l’espansione verso nord di diverse specie, inclusi insetti nocivi e arbusti, l’arrivo anticipato di uccelli migratori e una forte diminuzione delle specie legate alla presenza di ghiaccio marino, come l’orso polare”, aggiunge Provenzale. “Le osservazioni satellitari mostrano che tra il 1996 ed il 2005 il deficit del bilancio di massa della calotta polare che ricopre la Groenlandia è più che raddoppiato”.
“Le regioni polari sono molto sensibili ai cambiamenti climatici e destano, dunque, interesse specie in chiave ‘sintomatica’ e predittiva delle condizioni del pianeta”, conferma Andrea Bergamasco, dell’Istituto di Scienze marine (Ismar) del Cnr di Venezia. “L’effetto più temuto è la possibile modifica della circolazione termoalina globale, il principale meccanismo attraverso il quale l’oceano contribuisce al controllo del budget radiativo globale, regolando l’equilibrio climatico”.
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