È con grande piacere che ci troviamo a recensire un’antologia di scritti di uno dei più grandi studiosi di geopolitica del secondo dopoguerra, Carlo Terracciano, a sette anni dalla sua scomparsa. Merito alle Edizioni all’insegna del Veltro per aver dato alle stampe questa raccolta di saggi di colui che per molti è stato un maestro, uomo di idee e di azione. I lettori di questa rivista, che egli ha contribuito a fondare e per la quale è arrivato a redigere quattro articoli, sicuramente lo conosceranno, ma è utile ricordare che è stato anche grazie alla sua opera che lo studio della geopolitica oggi è ritornato in auge in un Paese occupato come il nostro.
Proprio da questo punto vorrei partire nell’esaminare gli scritti in questione, incentrati sulla definizione di geopolitica e sull’analisi dei maggiori studiosi di tale disciplina. Un concetto che viene spesso ribadito in queste righe è proprio dedicato all’importanza della scienza geopolitica, sotto molti punti di vista. La geopolitica è la chiave di lettura fondamentale per interpretare il presente e dettare l’agenda internazionale di qualunque Paese si pretenda sovrano. Nelle Nazioni uscite sconfitte dal secondo conflitto bellico mondiale spesso tale disciplina è stata negletta, offuscata, denigrata come “pseudoscienza nazista”, ad esclusivo vantaggio dei vincitori, i quali invece hanno continuato a servirsene intelligentemente per perseguire i propri scopi. Arriviamo così ad un’altra questione fondamentale, ossia la stretta correlazione tra geopolitica e volontà politica. La geopolitica è il letto del fiume, l’alveo nel quale scorre il fiume della Storia, con i suoi conflitti e le sue dinamiche. Ogni conflitto può essere senz’altro spiegato con gli strumenti che la geopolitica fornisce. Un popolo che non sia a conoscenza di questi strumenti è relegato a un ruolo subalterno, di comprimario, quando non addirittura condannato alla servitù, ad essere una colonia. Quando l’azione politica si discosta dai dettami della geopolitica, si arriva, sic et simpliciter, a una perdita di sovranità. Non a caso i maggiori studiosi citati in questo volume provengono da Paesi che hanno sempre tenuto in grande considerazione questo tipo di analisi, dall’inglese Mackinder al tedesco Haushofer.
Ma la geopolitica è anche questione di spazio, e ad ogni Paese è assegnato nella Storia un ruolo derivante dalla sua posizione nello spazio e dalla sua volontà politica, che ne determinano la potenza. Proprio questi elementi – spazio, volontà, potenza – rientrano di frequente in questo vero e proprio trattato di geopolitica, che consiglieremmo non solo a chi ha già le basi di questa disciplina, ma anche a quanti si stessero avvicinando solo ora a tali affascinanti studi. Citiamo solo un paio di casi a titolo esemplificativo di quanto andiamo affermando, cominciando dall’Inghilterra: ex potenza talassocratica, oggi ridotta a mera propaggine nordamericana, ha conosciuto un passato imperialista, favorito dalla posizione insulare, il cui ruolo è sempre stato, ed è tuttora, quello di dividere l’Europa ed impedirne una reale unificazione, a tutto vantaggio dell’imperialismo talassocratico degli Stati Uniti d’America. Un altro esempio che vorrei citare è quello della Russia, gigante tellurocratico par excellence, unico Paese che oggi possa guidare una più che auspicabile riscossa eurasiatica per un mondo multipolare sotto un’unica bandiera – forse più oggi di quanto non lo fosse prima, ingessato com’era il mondo in una deleteria divisione tra due blocchi contrapposti. Ci rendiamo perfettamente conto che, in un’Europa uscita tutta quanta sconfitta dalla Seconda Guerra Mondiale e poi occupata da centinaia di basi Nato che puntano i missili contro la Russia, stiamo parlando di un processo destinato a durare decenni; ma, come è scritto in questo libro (p. 89), “Necessiteranno mille anni? Poco importa! L’importante è iniziare subito, ora, oggi stesso a ragionare in termini di continenti, a fare della geopolitica una scienza, una dottrina e una fede” e a scrollarci di dosso, aggiungiamo noi, una mentalità coloniale inculcataci inizialmente con le armi e successivamente con i Mac Donald’s, gli I-Phone e la lingua inglese, la cui spropositata diffusione in qualunque ambito sta imbarbarendo e squalificando le lingue europee.
Considerazioni durissime sono riservate all’imperialismo statunitense, sotto il cui odioso dominio ci troviamo. Una componente preponderante dell’ideologia dei dominanti è senza dubbio quella d’origine religiosa, visto che il fondamentalismo è inciso nel DNA stesso degli Stati Uniti. Ci permettiamo di citare queste mirabili parole, giustamente evidenziate dalla quarta di copertina: “L’America è incapace di ragionare in termini geopolitici di grande potenza. Essa può fare una politica di sterminio […] ma in quanto talassocrazia non potrà impedire a lungo l’unità dell’Eurasia […]. Essa manca inoltre di quel senso di responsabilità che fece la potenza di Roma dopo la distruzione di Cartagine. Gli Americani sono i Cartaginesi del XX secolo e il loro destino è segnato”.
Concluderei andando ad analizzare i rimandi culturali più evidenti nell’opera in esame. Indubbiamente troviamo una visione organicista degli Stati, visti come veri e propri organismi vitali che hanno una loro nascita, espansione e declino, proprio come fossero organismi naturali: una visione, questa, che ci rinvia a Spengler – più volte citato – ma anche, ad esempio, a Lev Gumilëv.
In ogni caso, alla base di tutto vi è sempre l’eterno conflitto di schmittiana memoria fra Terra e Mare, fra Anteo e Nettuno, fra Landmacht e Seemacht. Non abbiamo soltanto una contrapposizione tra la visione tellurocratica di Haushofer e quella talassocratica di Mackinder, ma anche tra forme di governo diverse, poiché l’autocrazia ben si adatta agli imperi terrestri e la democrazia è più consona a quelli marittimi. Va da sé che ogni schematizzazione è per sua stessa natura una semplificazione; ma noi, anche grazie alla meritoria opera del Maestro Carlo Terracciano, abbiamo da tempo fatto la nostra scelta di campo.
Carlo Terracciano, Nel Fiume della Storia, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 2012
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