Nel segno di Cipro si consuma l’endemica incomprensione fra Europa e Turchia, esacerbata dal fuoco alimentato da ingenti riserve energetiche da tutti contese, in particolare quelle della cosiddetta “Zona economica esclusiva”(ZEE) della Repubblica di Cipro.
Si sa che la questione delle dimensioni di tale Zona – di questa come di altre – è controversa: Cipro si basa sull’accordo del 2003, col quale ha spartito con l’Egitto lo sfruttamento della ZEE, oltre che sull’accordo con il Libano del 2007 (però non ancora ratificato da Beirut per via di un’area attribuita a Israele); la Turchia ha ripetutamente contestato presso l’ONU l’accordo del 2003, perché l’area della ZEE sarebbe eccessiva e sproporzionata, non tenendo conto dello sviluppo costiero turco; inoltre Ankara lamenta il mancato riconoscimento a livello internazionale della presenza della RTCN (Repubblica turca di Cipro del nord).
Affrontare finalmente i nodi irrisolti di Cipro sarebbe un buon modo di definire i rapporti fra Europa e Turchia sottraendoli al pregiudizio ideologico. Dal 1974 – allorché un tentato colpo di Stato grecocipriota, seguito da disordini e violenze fra Greci e Turchi, aveva provocato la reazione di Ankara e la nascita della RTCN – la situazione segna il passo e resta difficile, tanto da consigliare di mantenere l’attuale status quo fino al delinearsi di un quadro diverso e più inclusivo dei rapporti fra Unione Europea e Turchia.
La Grecia intanto ha promesso di definire in un futuro prossimo la propria ZEE, e di volervi includere l’isola di Kastellorizo/Megisti, distante soltanto 3 chilometri dalle coste turche (cittadina di Kaş): questo costituirebbe un grosso problema per Ankara, che vedrebbe estendersi dall’Egeo al Mediterraneo la ZEE ellenica a danno della propria. Secondo uno studio realizzato nel 2009 dal Capo di Stato Maggiore della Marina turca, Cihat Yaycı, questa eventualità ridurrebbe la ZEE potenziale turca da 56.000 a 16.000 miglia quadrate.
Certo è che il quadrante geopolitico mediterraneo sta acquisendo sempre maggiore importanza: l’accordo preso unilateralmente con diverse società petrolifere internazionali dal governo di Nicosia in merito allo sfruttamento delle risorse di gas naturale ha provocato il deciso risentimento turco.
“È un chiaro esempio di violazione dei diritti dei turcociprioti – ha commentato Hami Aksoy, portavoce del Ministro degli Esteri – che non vengono tenuti in nessun conto, cosa inaccettabile per la Turchia e per la RTCN”.
La Turchia, come abbiamo in precedenza osservato, contesta anche gli accordi presi dalla Repubblica di Cipro nel 2003, che avevano iniziato a delineare “un triumvirato formato da Israele, Grecia e Cipro che, con la benedizione del Dipartimento di Stato Usa, ha fatto rete per gestire risorse e sfruttamento in chiave armonica. Una squadra che sta marciando, politicamente ed economicamente, compatta come dimostra l’interlocuzione con un altro player strategico di quella macro regione: l’Egitto” (così Francesco De Palo per Il Giornale.it del 13 giugno 2019).
La Turchia è fuori e contro questa triangolazione, che si manifesta pienamente, del resto, anche nel progetto di gasdotto EastMed, sostenuto dagli Stati Uniti e destinato a portare in Europa le risorse di gas naturale recuperate da Repubblica di Cipro e Israele: un progetto tecnicamente difficile e ad alti costi ma che avrebbe il “merito” di trascurare le infrastrutture turche per l’esportazione del gas in Europa, che pur lavorano in modo più facile e a minor costo.
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