Claudio Mutti
L’unità dell’Eurasia
con una prefazione di Tiberio Graziani
Effepi, Genova 2008
pp. 192, € 20,00
Presentazione
Negli ultimi anni, almeno a far tempo dal collasso dell’Unione Sovietica, si è assistito ad un rinnovato interesse verso l’analisi geopolitica quale chiave interpretativa per la comprensione dei mutati rapporti fra gli attori globali e, soprattutto, quale ausilio per la decifrazione dei nuovi possibili scenari.
In tale ambito, l’Eurasia sembra costituire, considerando i numerosi studi che la riguardano, un privilegiato campo d’indagine.
Analisti influenti come ad esempio l’atlantista Brzezinski o i neoeurasiatisti Dugin e Zjuganov concordano, pur da punti di vista diversi e decisamente antagonisti tra loro, sul fatto che il futuro del pianeta si giochi sulla scacchiera eurasiatica.
All’inarrestabile e lunga offensiva sferrata dagli USA contro la massa continentale eurasiatica tra il 1990 e il 2003 (1) pare contrapporsi, a partire almeno dall’ultimo quinquennio, una sorta di reazione che si esprime, per ora, attraverso l’intensificazione di nuove e profonde collaborazioni strategiche tra Pechino, Nuova Delhi e Mosca ed il continuo rafforzamento dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shangai (SCO).
Queste intese sembrerebbero preludere a un’inedita ed articolata integrazione del continente eurasiatico che, passando – per evidenti motivi di opportunità – sia sopra sia le differenze culturali, religiose, etniche, sia sopra le particolari aspirazioni nazionali delle popolazioni che lo abitano, vanificano le aspettative dei propagandisti dello “scontro di civiltà”.
La teoria dello scontro di civiltà, come noto, è stata messa a punto da Samuel Huntington, l’ex consigliere di Johnson al tempo del conflitto vietnamita. Lo studioso americano, in diversi articoli e principalmente nel suo The Clash of Civilizations and the Remaking of World Order, (New York, Simon & Schuster, 1996), ha ipotizzato che i conflitti tra le varie popolazioni del pianeta, ed in particolare tra quelle che abitano l’Eurasia, non trarrebbero origine principalmente da cause ideologiche o economiche, bensì da motivazioni culturali, precipuamente religiose. Per Huntington la politica globale del XXI secolo sarà dunque dominata dallo scontro di civiltà. Questa particolare lettura della storia, quella cioè dell’inconciliabilità delle civiltà, ha influenzato vasti settori dell’opinione pubblica occidentale e costituisce, tuttora, uno dei riferimenti costanti dei numerosi think tank d’oltreoceano specializzati nella individuazione delle aree calde o d’instabilità dell’Eurasia.
In realtà, nella storia non si sono mai verificati degli scontri di civiltà, ma piuttosto degli incontri e delle contaminazioni tra le varie culture. In particolare nell’Eurasia, nel cui spazio sono presenti la quasi totalità delle civiltà del pianeta.
L’Eurasia, infatti, ancor prima di essere un concetto utile all’analisi geopolitica e geostrategica, è, si potrebbe dire, un’idea culturale, la cui unitarietà è dimostrata dalla sua stessa storia.
L’opposizione tra Europa ed Asia è sempre stata una opposizione artificiale, sovente frutto di interpretazioni storiche strumentalizzate, principalmente dagli Europei, a fini egemonici, dunque strettamente connessa a prassi geopolitiche. Basti pensare all’epoca del colonialismo di spoliazione ed alla sovrastruttura ideologica che lo sosteneva, al “white man’s burden” (2) del cantore dell’imperialismo britannico, Rudyard Kipling e, soprattutto, alla sua nota composizione letteraria The Ballad of East and West, dove lo scrittore e poeta inglese teorizza esplicitamente, nel famoso verso East is East, and West is West, and never the twain shall meet, l’inconciliabilità tra le culture orientali ed occidentali (3).
Ma, a ben guardare, la contrapposizione “ideologica” tra Europa ed Asia, tra Occidente ed Oriente, risale forse ancor più indietro, a certe tendenze maturate in seno al cristianesimo, che esaltando la specificità della visione cristiana del mondo ritengono le culture delle popolazioni non europee non solo incivili, ma anche inferiori.
La presunta separazione ed incompatibilità tra le culture asiatiche e quelle presenti nella parte occidentale dell’Eurasia, cioè nella penisola europea, a un più attento esame si è sempre risolta nel principio della polarità. Già Polibio, nelle sue Storie, risolveva l’opposizione tra Oriente e Occidente nella unitarietà del mondo mediterraneo (4), un concetto che venne ripreso e sviluppato brillantemente, alcuni secoli più tardi, dallo storico francese Fernand Braudel. Peraltro, per gli antichi la terra abitata e conosciuta era considerata al pari di una casa comune (oikouméne ghê). Secondo lo storico olandese Huizinga “nella storia antica, in quanto ci è nota, non troviamo mai l’Oriente contrapposto esplicitamente all’Occidente” [5]. Per l’autore dell’ Autunno del medioevo e di Homo Ludens, anche la civiltà islamica ha ignorato la scissione tra Oriente e Occidente, tra Asia ed Europa dunque [6].
L’unitarietà profonda delle molteplici e variegate civiltà eurasiatiche non è mai stata messa in dubbio, ma anzi è stata sempre riscontrata e riconfermata dalle scoperte archeologiche, dalle ricerche etnografiche e, in particolare, dallo studio comparato delle religioni e dei miti.
Quantunque esistano, quindi, analisi e ricerche specifiche sull’unità culturale dell’Eurasia, nondimeno si deve ancora constatare a tale riguardo la mancanza di studi sistematici e organici.
I lavori di un Gumilëv, come anche di un Altheim, sull’influenza della cultura mongola e unnica nel mondo slavo-russo e germanico e sulla genesi degli attuali popoli asiatici ed europei, o quelli di un Giuseppe Tucci sul mondo tibetano e sulle culture dell’Estremo Oriente e la loro parentela con il pensiero antico, oppure quelli di un Eliade dedicati alla comparazione delle religioni e dei miti, o, ancora, quelli di un Dumézil e di un Benveniste per quanto riguarda gli studi cosiddetti indoeuropei, o infine quelli della scuola degli eurasiatisti russi degli anni venti e trenta del XX secolo, tra cui certamente il linguista Trubeckoj, costituiscono indubbiamente le basi metodologiche per intraprendere una tale impresa. A ciò si potrebbero aggiungere anche i risultati e le metodologie acquisite dagli studiosi delle scienze cosiddette tradizionali, come, tanto per citare qualche nome, Guénon, Coomaraswamy, Schuon, Evola, Burckhardt, Nasr.
È proprio nell’ambito della scoperta, o meglio della riscoperta, dell’unitarietà delle culture eurasiatiche che i saggi di Claudio Mutti qui raccolti trovano la propria corretta collocazione; soprattutto, oltre ad offrire una valida introduzione a questa tematica – in Italia ancora in via di definizione – essi apportano nuovi spunti di riflessione, utili non solo allo sviluppo di tali ricerche, ma anche alla comprensione di importanti snodi storici di quell’ecumene che, per dirla con Eliade, peraltro a ragion veduta citato dall’Autore, si estende dal Portogallo alla Cina e dalla Scandinavia a Ceylon. La peculiarità degli studi qui presentati risiede, a nostro avviso, nel costante riferimento che Mutti presta alle dinamiche geopolitiche dello spazio eurasiatico; un riferimento destinato certamente a suscitare una comune coscienza geopolitica tra le popolazioni che attualmente abitano la massa eurasiatica.
Tiberio Graziani
Direttore della rivista “Eurasia”
Note:
1. Prima Guerra del Golfo (1990-1991); aggressione alla Serbia (1999), nell’ambito della pianificata disintegrazione della Confederazione jugoslava; occupazione dell’Afghanistan (2002); devastazione dell’Iraq (2003). A ciò occorre aggiungere anche l’allargamento della NATO nei Paesi dell’Europa orientale e le cosiddette “rivoluzioni colorate” quali significativi elementi di intromissione da parte della potenza d’oltreoceano in quella che fu la sfera d’influenza della maggior potenza eurasiatica del XX secolo, l’Unione Sovietica.
2. Il popolare componimento di Rudyard Kipling venne pubblicato col sottotitolo The United States and the Philippine Islands nel 1899; esso si riferiva alle guerre di conquista intraprese dagli Stati Uniti nei confronti delle Filippine e di altre ex-colonie spagnole.
3. Per una rapida riflessione sulla questione del concetto di Occidente in rapporto all’identità europea, si veda in questo stesso volume il capitolo su “L’invenzione dell’Occidente”.
4. Ma ben prima di Polibio anche Erodoto. Scrive a riguardo Luciano Canfora “…proprio ai Greci spetta la responsabilità di aver separato ‘Barbari’ da ‘Greci’. Nel primo rigo delle Storie di Erodoto Greci e Barbari costituiscono ormai una consolidata polarità, sebbene proprio Erodoto sia più cosciente di altri di quanto i concetti fondamentali dei Greci, a cominciare dalle denominazioni delle divinità (II, 50), venissero da lontano.”, in Il sarto cinese, nota a Arnold Toynbee, Il mondo e l’Occidente, Sellerio editore, Palermo, 1992, p. 107.
5. Johan Huizinga, Lo scempio del mondo, Bruno Mondadori, Milano, 2004, p.26.
6. Johan Huizinga, op.cit., p. 35 e seguenti.
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