Un bagno di sangue. Il petrolio è crollato del 30% in apertura dei mercati asiatici, dopo che tra i maggiori produttori è stata dichiarata una vera e propria guerra dei prezzi. Il Brent – che aveva già perso oltre il 9% venerdì, dopo il fallimento del vertice Opec Plus – è andato a picco, scendendo nel giro di pochi secondi da 45 a 31,52 dollari al barile, ai minimi da 4 anni[1]

Merita di essere integralmente citato l’articolo di prima pagina del “Sole 24 Ore” di oggi, Lunedì 9 Marzo. La guerra dei prezzi petroliferi iniziata dal fallimento del vertice OPEC del fine settimana precedente questa riapertura dei mercati sembra aver colpito immediatamente.

Perché parlare di “guerra dei prezzi”? La sottrazione di quote di mercato ad altri produttori è la logica che guida l’operato russo nell’immediato, e così l’operato dei Sauditi – che non si sono certo sottratti alla sfida della rinuncia ai tagli produttivi, pur in un periodo di recessione produttiva globale causata dall’epidemia di Coronavirus ed ai conseguenti cali produttivi e di domanda nel mondo.

Vi è una seconda logica, più recondita: quella della messa fuori mercato dei concorrenti. Il punto di pareggio, quello che permette di eguagliare costi produttivi e ricavi di vendita, è differente per i diversi produttori, a seconda della qualità e facilità di estrazione dell’idrocarburo, dell’ammortamento degli impianti e della loro saturazione ed efficienza nonché del livello tecnologico e manutentivo generale. Ne consegue che produttori differenti hanno differenti capacità di sopportare perdite, anche e soprattutto in funzione di quanto pesi l’esportazione di idrocarburi sui bilanci statali. Se una fonte di JP Morgan stimava una media mondiale di 50 dollari a barile come punto di pareggio entro la fine del 2020[2], questo numero non vale per tutti: nel 2019 la Russia aveva bisogno di un prezzo al barile medio sui 40 dollari, contro un’Arabia Saudita ferma a 80 – 85[3].

Si consideri che al di là dei tentativi dei paesi OPEC o che comunque dialogano con l’OPEC (la Federazione Russa) di mettere fuori gioco i produttori petroliferi “non convenzionali” (da petrolio di scisto) statunitensi, questi ultimi hanno costantemente migliorato la propria efficienza e la capacità di sopportare punti di pareggio via via sempre inferiori[4]. (Per quanto differenti siano le stime, suggerendo una certa comprensibile opacità di questo mercato nel restituire dati sulla propria “salute”, possiamo ipotizzare comunque numeri inferiori ai 55 dollari al barile e comunque in calo)[5].

I produttori statunitensi sono ancora sul mercato; la Russia resiste a prezzi bassi meglio degli altri, anche considerando il fatto che non esporta solo petrolio, ma anche molto gas e altre materie prime. Il problema sembra essere quindi tutto dei Sauditi e dai paesi con un’economia incentrata sui soli idrocarburi, a meno di una mossa “teatrale” concordata tra Mosca e Riyadh proprio per colpire i produttori americani (mossa da non escludere, ma la cui efficacia sarebbe dubbia).

Il tempismo della mossa russa, data la conclamata crisi del mercato degli idrocarburi (sia di quelli commerciati “a pronti” che con contratti di lungo periodo[6]) è indicativo, data la crisi produttiva in corso e l’arrivo della stagione calda. È il momento in cui il colpo fa più male ad un’Arabia Saudita che, oltre ai torbidi di corte alle spalle del Principe Salman, sconta l’esito negativo del “collocamento del secolo”: quello della compagnia petrolifera nazionale Saudi Aramco, che si è dovuta accontentare di scambiare le proprie azioni sulla borsa di Riyadh e non sulle principali piazze internazionali ed è rimasta ferita nella sicurezza produttiva dall’attacco del 14 Settembre 2019 contro i suoi impianti produttivi. (Non è da escludere che anche l’esito negativo dell’“operazione Aramco” abbia pesato sulla vendetta americano-saudita-israeliana culminata con l’assassinio del Generale iraniano Soleimani).

Un prezzo del petrolio troppo basso mette dunque in difficoltà i produttori meno efficienti, nonché tutte quelle aziende europee ed americane che offrono servizi e tecnologie petrolifere. Inoltre mette in discussione la strategia americana di sostituire il proprio gas liquefatto a quello da gasdotto russo; l’operazione era poco sensata ieri a causa dei costi troppo alti, oggi lo è per le difficoltà cui i produttori d’oltreoceano andranno incontro con prezzi così bassi, al di là del proprio punto di pareggio. Le ragioni della mossa russa sono da ricercarsi nella geopolitica; infatti nelle ore in cui scriviamo le azioni di Mosca potrebbero andare ad incidere anche sul prezzo del gas naturale liquefatto comprato “a pronti”[7].

Oltre a tutto ciò, un brusco crollo del prezzo dell’oro nero rischia di innescare spirali deflative dannose per l’economia globale nel suo complesso. Che tutto questo, insieme alla crisi di domanda e di offerta causata dal Coronavirus, abbia qualche impatto sulle elezioni americane, è per oggi una mera ipotesi: di sicuro la Russia ritorna al centro della scena e, in un momento in cui le economie globali hanno il fiato sospeso, allontana quanto meno lo spettro di una crisi energetica. Ciò avviene però in un momento storico in cui Europa e Cina sembrano avviate ad una fase di minore produzione e minore consumo, e soprattutto di danneggiamento nei confronti di quelle catene del valore e di fornitura globali che hanno caratterizzato la globalizzazione neoliberista negli ultimi decenni di storia economia globale. Un doppio shock – di domanda e di offerta – non può essere affrontato da parte delle banche centrali[8] con politiche monetarie iperespansive (si legga: mettere soldi in tasca alle famiglie perché consumino e alle imprese perché investano), sia perché la crisi sarà dovuta a minore produzione (per chiusura di impianti e mancanza di componenti) e non solo da minor consumo, sia perché essa colpisce un pianeta fortemente indebitato e una Repubblica Popolare Cinese che potrebbe uscire dal proprio ruolo di “grande investitore” in quanto seduta a propria volta su di una montagna di debito[9]. In particolare, esperti consultati dall’autore di questo articolo stimano una caduta del PIL di circa due punti percentuali per l’anno 2020 per la sola Italia.

Sono forse la globalizzazione neoliberista e la fiducia nella capacità del mercato a dover essere superate. Un mercato funziona, come insegnano i modelli accettati dalla scienza economica attuale, se i prezzi restituiscono informazioni (il lasso di tempo e l’efficacia ed efficienza in cui lo fanno è appunto oggetto del contendere tra economisti)[10] sulla domanda di un prodotto, sulla capacità di offerta, sulla produttività degli attori che offrono e l’abilità di quelli che domandano. Nel caso in cui una crisi esogena (esterna al sistema economico) fracassi il mercato costringendo ad esempio a bloccare linee produttive perché i lavoratori rischiano di ammalarsi, facendo mancare prodotti e potenzialmente causando problemi sugli ammortamenti di impianti fermi, questo meccanismo si rompe. Di conseguenza, persino osservatori di provato orientamento liberale iniziano a prendere in considerazione l’idea di un ruolo statale nei salvataggi[11]: solo un massiccio intervento dello Stato regolatore e gestore può evitare fallimenti a catena in un sistema dove i prezzi hanno smesso di funzionare per cause esogene.


NOTE

[1] Sissi Bellomo, Coronavirus, la guerra dei prezzi fa precipitare il petrolio del 30%. A picco anche le Borse asiatiche, www.ilsole24ore.com, 9 Marzo 2020

[2] Luca Fiore, Commodity: prezzo “breakeven” del petrolio è destinato a scendere in quota 50$, www.finanzaonline.com, 29 Marzo 2018

[3] Sissi Bellomo, Il prezzo «giusto» del petrolio: per i sauditi 85 dollari. E per gli altri?, 4 Aprile 2019, www.ilsole24ore.com, Stefano Torrini, Il breakeven del prezzo del petrolio russo scende a livelli bassi del decennio, www.energiaoltre.it, 30 Agosto 2019

[4] Maurizio Mazziero, Qual è il break-even dello shale oil americano, www.mazzieroresearch.com, 20 Giugno 2019

[5] Sissi Bellomo, Nel petrolio investimenti ancora cauti: pioggia di denaro solo sullo shale oil, www.ilsole24ore.com, 6 Aprile 2018, Erin Mundahl, Game changer: US shale now second cheapest source of new oil supply, www.energyindepth.org, 14 Maggio 2019 e Nick Cunningham, The Myth Of Cheap Shale Oil, www.oilprice.com, 22 Maggio 2019, Erin Mundahl, Game changer: US shale now second cheapest source of new oil supply, www.energyindepth.org, 14 Maggio 2019

[6] Sissi Bellomo, La Cina respinge anche il gas via pipeline, www.ilsole24ore.com, 6 Marzo 2020

[7] Cioè in consegna al momento dalla metaniera, e non con contratti di lungo periodo da gasdotto. Si veda Sissi Bellomo, Petrolio, Russia in trincea per la guerra dei prezzi: pronti a resistere 10 anni, www.ilsole24ore.com, 9 Marzo 2020

[8] Tommaso Monacelli, Shock da virus, la via stretta della politica monetaria, www.lavoce.info, 6 Marzo 2020

[9] Francesco Sisci, La Cina paralizzata rischia l’implosione, www.limesonline.com, 30 Dicembre 2019

[10] Elhanan Helpman, Capire il commercio globale, Il Mulino, 2013

[11] Mario Seminerio, L’epidemia e l’economia: serve liquidità, www.phastidio.net, 4 Marzo 2020


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Amedeo Maddaluno collabora stabilmente dal 2013 con “Eurasia” - nella versione sia elettronica sia cartacea - focalizzando i propri contributi e la propria attività di ricerca sulle aree geopolitiche del Vicino Oriente, dello spazio post-sovietico e dello spazio anglosassone (britannico e statunitense), aree del mondo nelle quali ha avuto l'opportunità di lavorare e risiedere o viaggiare. Si interessa di tematiche militari, strategiche e macroeonomiche (si è aureato in economia nel 2011 con una tesi di Storia della Finanza presso l'Università Bocconi di Milano). Ha all'attivo tre libri di argomento geopolitico - l'ultimo dei quali, “Geopolitica. Storia di un'ideologia”, è uscito nel 2019 per i tipi di GoWare - ed è membro della redazione del sito Osservatorio Globalizzazione, centro studi strategici diretto dal professor Aldo Giannuli della Statale di Milano.