Fonte: www.cipmo.org

Mentre la crisi egiziana si sta lentamente stabilizzando intorno alla figura del Vice Presidente Suleiman, si infittiscono le domande su quello che sarà il futuro della rivoluzione di Piazza Tahrir.

I Fratelli Musulmani non sono stati alla testa del movimento, ma vi hanno partecipato, ed hanno fornito ai dimostranti l’infrastruttura logistica (medicine, cibo, coperte), necessaria e indispensabile per portare avantila protesta. Dichiarano di non avere l’intenzione di presentare un proprio candidato alle prossime elezioni presidenziali, previste per settembre, ma costituiscono sicuramente il gruppo politico più organizzato e radicato tra quelli dell’opposizione, e sono sicuramente in grado di conseguire un risultato importante nelle future elezioni legislative.

La confraternita aveva ottenuto nel 2005 ottantotto seggi su 444, pari a quasi il 20% del totale, ma alle ultime elezioni, del dicembre 2010, il controllo del potere si era fatto più soffocante, e nessun suo rappresentante dei Fratelli era stato eletto. Quando si voterà, è molto probabile che l’organizzazione islamica riuscirà a conseguire un risultato ancora più grande di quello del 2005, quando aveva scelto di autolimitarsi per non suscitare la reazione del governo. Le componenti laiche della rivolta, invece, appaiono frammentate e disorganizzate.

Questa semplice considerazione ha posto il freno alle iniziali pressioni internazionali, per una immediata uscita di scena di Mubarak e per elezioni a tempi brevi: Non è sufficiente votare, ha affermato il Segretario di Stato USA Hillary Clinton all’unisono con Angela Merkel, bisogna anche vedere quale sarà il risultato delle elezioni, e un voto troppo affrettato potrebbe portare a una nuova dittatura.

D’altronde, pensare di tenere fuori i Fratelli Musulmani dalle elezioni e da un futuro governo di unità nazionale è sostanzialmente impensabile, e il recente incontro tra Suleiman e i rappresentanti dei Fratelli ha posto termine al lungo periodo di embargo nei loro confronti, oramai non più sostenibile.
Ma qual è la situazione all’interno dell’organizzazione? In essa, riferisce il quotidiano “Le Monde” si confrontano diverse tendenze: l’una, che fa riferimento a Sayyid Qutb, teorico egiziano impiccato nel ’66 durante il regime nasseriano, è quella che detiene al momento le leve interne di comando, e propugna l’instaurazione di una teocrazia integrale. Essi coesistono con la corrente salafista, che una ritorno integrale alle comunità musulmane delle origini e una interpretazione rigorista dei testi sacri. Ma c’è anche una terza componente, attualmente minoritaria: gli islamo-democratici, che si sforzano di conciliare democrazia e sharia. Vi sono infine i semplici militanti, che spesso non si identificano con nessuna di queste tendenze, ma vogliono solo esprimere la loro protesta contro il potere.

I rapporti interni all’organizzazione sono stati sicuramente influenzati dal lungo periodo di repressione cui essa è stata sottoposta, che ha sicuramente rafforzato le tendenze più conservatrici, ed è possibile che una condizione di maggiore libertà e apertura possa spingere avanti le posizioni più aperte e innovatrici, che guardano all’esperienza di Erdogan e dell’AKP turco come a un punto di riferimento importante. Tuttavia, allo stato non può esservi alcuna sicurezza che questa sia l’evoluzione futura, e ciò sicuramente giustifica la cautela della diplomazia internazionale.

D’altronde, il paragone con la Turchia può essere significativo anche ad un altro riguardo: il ruolo dell’esercito, che in Egitto come in Turchia è erede delle tradizioni laiche e può rappresentare un argine forte contro il montare di pretese islamiche giudicate eccessive. I fratelli Musulmani lo sanno, e questo è uno degli elementi essenziali che giustifica la prudenza con cui si stanno muovendo.

Vi è inoltre un altro aspetto da tenere presente, per l’influenza che può esercitare sullo scacchiere mediorientale: un ingresso dei Fratelli Musulmani nelle istituzioni rappresentative egiziane avrebbe come conseguenza anche un certo grado di legittimazione e di rafforzamento dello stesso Hamas, che dei Fratelli Musulmani rappresenta storicamente una costola.

Per converso, la fine dell’era Mubarak causerà un indebolimento dell’ANP, che nel rais aveva un sostegno solido e potente. Non a caso la stessa ANP ha organizzato a Ramallah manifestazioni a sostegno di Mubarak e ha represso quelle a favore dei manifestanti del Cairo. Toujours en retard d’une idée ou d’une armée, diceva Napoleone dopo Waterloo.

Infine, le possibili ricadute su Israele. Suleiman è l’uomo preferito da Gerusalemme, l’uomo del negoziato segreto per il rilascio del soldato rapito Shalit e quello che ha negoziato segretamente la tregua con Hamas. Ma qualsiasi sarà il governo che uscirà dalle prossime elezioni, esso sarà un governo meno vicino a Israele di quanto lo siano stati quelli dell’era Mubarak. L’equilibrio delle forze interne spingerà in questa direzione. Probabilmente, il trattato di pace tra i due paesi verrà mantenuto, ma i rapporti subiranno alti e bassi. L’ombra di Erdogan farà scuola anche qui.


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