Fonte: “Global Research”
L’inversione finanziaria del governo rivoluzionario egiziano, che dapprima ha richiesto e poi rifiutato un prestito del FMI da 3 miliardi di $, evidenzia le difficili scelte dell’Egitto in questo momento della rivoluzione ma si tratta di un segnale positivo.
Non è un segreto che l’Egitto abbia riposto tutta la sua fiducia negli USA e nelle istituzioni occidentali fin dal tempo del presidente Anwar Sadat, contraendo un forte debito estero, un processo che è stato sempre più corrotto, nonostante l’attenta osservazione proprio da parte di queste istituzioni. Tale debito è finanziato da banche straniere e deve essere ripagato in dollari, più gli interessi. Se la maggior parte del denaro che queste producono e poi “prestano” è convogliato verso conti presso banche svizzere, il problema è dell’Egitto. Nessuno cerca di accusare le persone che hanno dato i loro soldi a Mubarak, o ai suoi scagnozzi, per poi lasciare che questi lo depositassero nuovamente presso le stesse banche, ma bisogna essere in due per ballare il tango.
Sia che una parte dei soldi aiuti o meno effettivamente gli “Ahmed qualunque”, gli egiziani saranno ritenuti responsabili dell’intero debito e lo stesso popolo deve conformarsi ai programmi di aggiustamento del FMI, che includono la privatizzazione, la deregolamentazione, la tassazione regressiva, la fine dei sussidi per i poveri e molti altri provvedimenti sgraditi.
La rivoluzione egiziana ha temporaneamente scosso il soddisfacimento di questo scenario diabolico. L’esplosione, sotto il peso della miseria che questo sistema ha prodotto, ha colto i banchieri occidentali di sorpresa, i quali si sono affrettati ad abbracciare e cooptare la rivoluzione quando si sono resi conto che era inevitabile. Il tutto è culminato nell’offerta del FMI di un prestito per coprire il grosso disavanzo nel bilancio post-rivoluzionario dell’Egitto, che raddoppierà i salari più bassi, migliorerà i servizi sociali e introdurrà una tassa progressiva sul reddito.
Questo gesto di insolita generosità del FMI (un tasso di interesse basso e apparentemente senza alcun vincolo) era in realtà volto ad evitare che l’Egitto si allontanasse dal gregge, come altri paesi hanno fatto in passato in situazioni simili. Ciò è stato visto con entusiasmo dalla elite egiziana, in gran parte istruita sui segreti della teoria monetaria nelle università americane. Altrimenti l’Egitto sarebbe stato da considerare inadempiente, ha detto Hani Genena, economista senior alla Pharos Holding for Investments, al settimanale Al-Ahram Weekly. Questo è esattamente ciò che hanno fatto in passato paesi come Russia, Argentina ed Ecuador.
L’Alto Consiglio delle Forze Armate, il governo de facto in Egitto, non è rimasto colpito dalle assicurazioni che il prestito fosse “incondizionato” e il Generale Sameh Sadeq ha detto al governo di cancellare il prestito, con le sue “cinque condizioni che andavano completamente contro i principi della sovranità nazionale”, che peserebbe sulle future generazioni. Il ministro delle finanze Samir Radwan ha obbedito e ha rapidamente negoziato finanziamenti col Qatar e l’Arabia Saudita (paesi con i propri piani segreti per la rivoluzione egiziana) per colmare il vuoto restante. L’amante respinto, il FMI, e la sua compagna, la Banca Mondiale, non erano contenti. L’ultima ha detto di dover “rivedere” i suoi piani finanziari per l’Egitto.
Appena la notizia relativa alla querelle sul prestito è trapelata i senatori americani John McCain, Joe Lieberman e John Kerry si sono recati al Cairo per offrire il loro apporto alla rivoluzione: un atto congressuale per creare fondi economici assistenziali per l’Egitto e la Tunisia. Ricordiamo lo slogan per la campagna presidenziale di McCain “Bomb, bomb, bomb Iran” nonché il supporto suo e di Lieberman ad Israele. La loro visita ha solo confermato ai leader militari egiziani la necessità di tenere a distanza il FMI e i suoi scagnozzi.
Un altro visitatore al Cairo la scorsa settimana è stato Mahatir Mohamed, che ha trasformato la Malesia in una potenza economica dopo averla liberata dal suo passato coloniale. Quando la sua “tiger economy” (economia caratterizzata da una rapida crescita, ndt) è stata sabotata da speculatori nel 1997 egli fermò la fuga dalla moneta malese e stabilizzò l’economia senza presentarsi col cappello in mano al FMI e la Malesia è sopravvissuta alla crisi molto meglio di altre potenze asiatiche che hanno ceduto alle pressioni del FMI. «I malesi hanno rifiutato l’assistenza del FMI e della Banca Mondiale perché volevamo che le nostre decisioni economiche fossero indipendenti» ha detto orgogliosamente al Cairo questa settimana – musica per le orecchie del Feldmaresciallo Mohamed Tantawi.
Difatti, molti osservatori sono convinti che la decisione dell’esercito sia stata una reazione alla stessa rabbia popolare e all’orgoglio nazionale che a quel tempo hanno consentito a Mahatir di sconfiggere con successo i banchieri. «Ho sentito un moto d’orgoglio quando ho saputo che il prestito era stato rifiutato» ha detto al Weekly l’impiegato dell’Università del Cairo Mohamed Shaban. Gli egiziani comprendono il principio di Mayer Rothschild : “Datemi il controllo della moneta di una nazione e non mi interesserà chi farà le sue leggi”. Anche i leader militari egiziani lo capiscono.
Il processo di richiesta ai riluttanti centri finanziari di Zurigo e Londra per recuperare nel miglior modo possibile la piccola frazione di miliardi rubati che sono stati nascosti all’estero e che sono responsabili di un’enorme parte del debito estero egiziano richiederà anni e servirà a poco, se non a produrre enormi costi legali, come insegna l’esperienza di Filippine e Indonesia.
L’Egitto infatti potrebbe rifiutarsi di pagare quello che in gergo finanziario si chiama “debito odioso”, cioè il debito nazionale contratto da un regime per scopi che non servono gli interessi della nazione. Gli USA lo hanno fatto per cancellare il debito iracheno nel 2003. L’Ecuador lo ha fatto nel 2009. L’ultimo (diversamente dagli USA in Iraq) addirittura in osservanza delle leggi internazionali. I cittadini greci hanno già formato un Comitato di verifica per stabilire quale parte del debito sia odiosa o altrimenti illegittima.
Ma una mossa così radicale attirerebbe l’ira collettiva dell’elite finanziaria mondiale sull’Egitto e non è una scelta semplice. Non esiste più un’Unione Sovietica alla quale appoggiarsi, come al tempo di Nasser, quando questi osò sfidare la monarchia.
Ma nemmeno c’è alcun bisogno di lasciare il deficit finanziario egiziano in balia di un’elite di banchieri mondiali. Una volta che il governo avrà realizzato che la moneta è solo una convenzione, qualcosa che può usare responsabilmente per oliare gli ingranaggi dell’economia, per generare lavoro e reddito, usando il benessere della nazione per il popolo, potrà responsabilmente creare il denaro di cui ha bisogno, mantenendo l’occhio vigile su ciò che aumenterà la produzione e il benessere senza fare troppa pressione sui prezzi. La tassazione restituisce i soldi che il governo in effetti ha prestato a sé stesso senza interessi.
Michael Hudson, Presidente dell’Istituto per gli Studi sulle tendenze economiche di lungo periodo e consigliere dei governi russo, giapponese e islandese, ha detto al Weekly che l’Egitto ha una scelta molto più ampia rispetto ai governi occidentali nel perseguire una riforma economico-finanziaria indipendente, poiché possiede ancora delle banche commerciali nazionali. Potrebbe costituire un “Fondo di Recupero per la Rivoluzione” senza bisogno di chiedere prestiti a nessuno, usando i milioni di disoccupati egiziani – una forza che può smuovere montagne – come garanzia collaterale, per creare lavori che ricompenserebbero automaticamente gli investimenti del governo con nuovo reddito e maggiori introiti.
L’idea di riportare in vita la Toshka ridistribuendo la terra ai contadini e fornendo loro un capitale iniziale è un perfetto esempio di quello che deve essere fatto. Non c’è ragione di prendere in prestito questo denaro, specialmente da altri paesi, e ancor peggio pagare loro gli interessi. Dopo tutto, l’investimento nel futuro del paese dovrebbe essere ugualmente ripartito tra chi presta e chi prende in prestito, così come prevede la legge della sharia.
I soci di Hudson presso Centro per la piena occupazione e la stabilità dei prezzi, il Levy Economics Institute e il Centro per la piena occupazione e l’equità stanno preparando un rapporto per la Banca Asiatica per lo Sviluppo sulle politiche monetarie e fiscali alternative per promuovere la piena occupazione e la stabilità dei prezzi senza fare affidamento sui finanziamenti del FMI o della Banca Mondiale.
(Traduzione di Lomè Galliano)
* Eric Walberg scrive per Al-Ahram Weekly http://weekly.ahram.org.eg/
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