“Giuseppe Tucci ci ha soprattutto trasmesso la sua appassionata ed intelligente dimostrazione dell’unità culturale dell’Eurasia, e una lucida consapevolezza del fatto che, giunti come siamo ad un capolinea della storia, essa dovrà tradursi anche in un’effettiva unità geopolitica” (Alessandro Grossato, Italiani globali. Giuseppe Tucci, “Ideazione”, a. IX, n. 6, nov-dic. 2002, p. 306).
Raniero Gnoli, che di Giuseppe Tucci (1894-1984) fu allievo devoto, commemorando il maestro scrisse di lui che l’idea di “una koiné culturale estendentesi dai paesi affacciati sull’Oceano Atlantico fino a quelli lambiti dal mar della Cina lo accompagnò per tutta la vita, tanto che, poco prima di morire, ancora insisteva coi suoi colleghi italiani e stranieri sulla necessità ed importanza di una concezione che non vedesse più Oriente ed Occidente contrapposti l’un l’altro, ma come due realtà complementari ed inseparabili”1. Lo stesso Gnoli ricorda che Tucci considerava le terre del continente eurasiatico come le sole in cui, “per misterioso privilegio o mirabile accadimento del caso, l’uomo elevò le architetture più solenni del pensiero, le fantasie più nobili dell’arte, il lento tessuto della scienza, quei tesori di cui oggi l’umanità tutta partecipa, arricchendoli o corrompendoli”2.
All’unità spirituale eurasiatica, d’altronde, si richiama quello che ci risulta essere l’ultimo intervento pubblico di Tucci, un’intervista apparsa il 20 ottobre 1983 sulla “Stampa” di Torino. “Io – diceva lo studioso – non parlo mai di Europa e di Asia, ma di Eurasia. Non c’è avvenimento che si verifichi in Cina o in India che non influenzi noi, o viceversa, e così è sempre stato. Il Cristianesimo ha portato delle modifiche nel Buddhismo, il Buddhismo ha influenzato il Cristianesimo, i rispettivi pantheon si sono più o meno percettibilmente modificati”.
Dichiarazioni di questo genere, che potremmo tranquillamente definire eurasiatiste, non sono né tardive né rare nell’opera di Tucci. Nel 1977 egli aveva accusato come grave l’errore che si commette allorché si considerano l’Asia e l’Europa come due continenti distinti l’uno dall’altro, poiché “in realtà si deve parlare di un unico continente, l’Eurasiatico: così congiunto nelle sue parti che non è avvenimento di rilievo nell’una che non abbia avuto il suo riflesso nell’altra”3. Nel 1971, commemorando in Campidoglio il fondatore dell’impero persiano, aveva detto che “Asia ed Europa sono un tutto unico, solidale per migrazioni di popoli, vicende di conquiste, avventure di commerci, in una complicità storica che soltanto gli inesperti o gli incolti, i quali pensano tutto il mondo concluso nell’Europa, si ostinano ad ignorare”4. Negli anni Cinquanta aveva contrapposto, alla tesi della “essenziale incomunicabilità dell’Oriente e dell’Occidente”5, l’esistenza della “comunione fiduciosa”6 dei due continenti efficacemente rappresentata dal termine Eurasia.
Ma già nel 1942, celebrando presso la Regia Litterarum Universitas Hungarica Francisco-Josephina di Kolozsvár il centenario della morte di Sándor Körösi Csoma (1784-1842), il “padre della tibetologia”, che nove anni prima era stato ufficialmente canonizzato come bodhisattva dall’università giapponese di Taishô, Tucci affermò l’esistenza di “legami misteriosi (…), simpatie arcane”7 tra il Tibet, l’Ungheria e l’Italia.
È vero che in quegli anni Tucci “non aveva ancora maturato la concezione di Eurasia quale unico continente, fluido deposito di una comune humanitas nel corso della storia”8; nondimeno egli aveva già ben definita la propria visione circa i rapporti tra l’Europa e l’Asia e il ruolo centrale che l’Italia vi avrebbe potuto svolgere.
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Laureato in Lettere presso l’Università di Roma dopo aver combattuto per quattro anni sui fronti della Grande Guerra, Giuseppe Tucci iniziò la sua carriera di orientalista tra il 1925 e il 1930, quando, incaricato di missione in India, insegnò cinese (oltre che italiano) presso le Università di Shantiniketan e di Calcutta. Nominato Accademico d’Italia nel 1929, nel novembre dell’anno successivo fu chiamato ad occupare la cattedra di Lingua e letteratura cinese all’Orientale di Napoli. Nel novembre 1932 passò alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Roma, dove fu professore ordinario di Religioni e Filosofia dell’India e dell’Estremo Oriente, finché nel 1969 venne collocato a riposo. Dal 1929 al 1948 compì otto spedizioni scientifiche in Tibet e dal 1950 al 1954 sei in Nepal. Nel 1955 iniziò le campagne archeologiche nella valle dello Swat in Pakistan, nel 1957 quelle in Afghanistan, nel 1959 in Iran.
Nel periodo del suo insegnamento in India, Tucci aveva coltivato relazioni personali con Rabindranath Tagore, che gli aveva presentato Gandhi. Inoltre aveva allacciato rapporti con un gruppo di studiosi interessati a collaborare con l’Italia; gravitava intorno a questo gruppo l’ex allievo di Tucci che, una volta diventato professore d’italiano all’università di Calcutta, pubblicò in bengalese una biografia ed una raccolta di discorsi di Mussolini9. Si collocano verosimilmente in quegli anni i primi contatti di Tucci con Subhas Chandra Bose, destinati a svilupparsi in un rapporto di amicizia10 e di collaborazione: nel 1937, in una delle “varie occasioni”11 in cui il patriota bengalese venne ricevuto dal Duce, fu Tucci ad accompagnarlo in udienza12. E sarà l’IsMEO guidato da Tucci ad incoraggiare nel 1942 la traduzione italiana del libro del Netaji, Indian Struggle.
In una relazione sulla sua missione in India, inviata il 31 marzo 1931 al ministro degli Esteri Dino Grandi, Tucci propose la fondazione di un istituto culturale finalizzato ad agevolare gli studi dei giovani Indiani in Italia e presso le istituzioni italiane, a promuovere la conoscenza dell’Italia in India, a mettere in contatto studiosi indiani e italiani dagli interessi affini. Mussolini, che già accarezzava l’idea di dar vita ad un istituto per le relazioni italo-indiane, ricevette in udienza il professore maceratese e rimase d’accordo con lui che avrebbe esaminato il suo progetto quando egli fosse ritornato dal viaggio di esplorazione che si accingeva ad intraprendere nel Tibet. Rientrato in Italia nel novembre del 1931, Tucci riuscì a coinvolgere nel suo progetto il presidente dell’Accademia d’Italia, Giovanni Gentile, che nel luglio dell’anno successivo ottenne dal Duce l’approvazione definitiva.
Quando l’IsMEO vide ufficialmente la luce, nel febbraio 1933, Giovanni Gentile ne fu il presidente e Tucci uno dei due vicepresidenti (l’altro fu G. Volpi di Misurata). L’evento fu celebrato nel dicembre di quello stesso anno dal geografo Filippo de Filippi nel contesto di un’iniziativa patrocinata dal GUF, la “Settimana romana degli studenti orientali” presenti in Europa. Nella sala Giulio Cesare del Campidoglio si tenne un convegno che raccolse circa cinquecento giovani asiatici e numerosi ambasciatori ed ebbe il suo momento culminante nella mattina del 22 dicembre, quando il Duce pronunciò un discorso al quale risposero una studentessa indiana, uno studente siriano e uno persiano.
“Venti secoli or sono – esordì Mussolini – Roma realizzò sulle rive del Mediterraneo una unione dell’occidente con l’oriente che ha avuto il massimo peso nella storia del mondo. E se allora l’occidente fu colonizzato da Roma, con la Siria, l’Egitto, la Persia, il rapporto fu invece di reciproca comprensione creativa”. La civiltà particolaristica e materialistica nata fuori dal Mediterraneo, – proseguì – essendo incapace per sua natura di comprendere l’Asia, ha troncato “ogni vincolo spirituale di collaborazione creativa” con essa e l’ha considerata “solo un mercato di manufatti, una fonte di materie prime”. Ecco perché la nuova Italia, che lotta contro “questa civiltà a base di capitalismo e liberalismo”, si rivolge ai giovani rappresentanti dell’Asia. E concluse: “Come già altre volte, in periodo di crisi mortali, la civiltà del mondo fu salvata dalla collaborazione di Roma e dell’oriente, così oggi, nella crisi di tutto un sistema di istituzioni e di idee che non hanno più anima e vivono come imbalsamate, noi, italiani e fascisti di questo tempo, ci auguriamo di riprendere la comune, millenaria tradizione della nostra collaborazione costruttiva”13.
La visione di Mussolini coincideva con quella di Tucci, che due mesi dopo, il 13 febbraio 1934, in una lettura tenuta all’IsMEO, avrebbe auspicato tra l’Europa e l’Asia una collaborazione basata su “una comprensione aperta e franca, scevra di pregiudizi, di malintesi e di sospetti, come fra due persone leali e di carattere”14.
Il Duce, da parte sua, riprese l’argomento in un articolo pubblicato sul “Popolo d’Italia” del 18 gennaio 1934 e in un discorso pronunciato due mesi dopo al Teatro Reale dell’Opera di Roma. Esaminando la situazione conflittuale esplosa in Manciuria, Mussolini, liquidata la tesi del “pericolo giallo” come una fantasia, “a condizione che si tenti una ‘mediazione’, non nel senso volgare della parola, fra i due tipi di civiltà”, ribadiva la necessità di “una collaborazione metodica dell’occidente con l’oriente” e di “una più profonda conoscenza reciproca fra le classi universitarie, veicolo e strumento per una intesa migliore fra i popoli”15.
Nel 1934 l’Italia, che aveva buone relazioni con la Cina, non era ancora schierata a fianco del Sol Levante; lo stesso Tucci nutriva una certa diffidenza nei confronti della politica di Tokyo, in quanto riteneva che il Giappone progettasse di saldare i popoli dell’Asia in un blocco antieuropeo. Non è dunque affatto fuori luogo pensare che il Duce “avesse rimedi[t]ato da sé il problema del legame tra l’espansionismo giapponese e l’ascesa del nazionalismo asiatico, forse in primo luogo quello indiano, a cui soprattutto pensavano i fondatori dell’IsMEO, nell’ambito della cui attività per statuto il Sol Levante sarebbe dovuto rientrare. D’altro canto sappiamo che Mussolini più o meno attentamente seguiva gli sviluppi della politica e dell’economia nipponica, in particolare dopo la crisi mancese, sicché doveva rendersi conto della tendenza del Sol Levante a presentare se stesso come guida dei popoli asiatici sulla via dell’indipendenza. Per quanto vagamente è dunque verosimile che la sua mente pensasse ad una forma di incontro fra Tokyo e l’Italia”16.
D’altronde l’ambasciata giapponese aveva già sollecitato l’instaurazione di scambi culturali tra le università dei due paesi ed anche Giovanni Gentile aveva caldeggiato un accordo per lo scambio di professori e studenti. Verso la metà del 1934 l’IsMEO prese contatto con la Kokusai Bunka Shinkôkai, un’istituzione ufficiale che curava i rapporti culturali del Giappone con l’estero, e Tucci affrontò l’argomento con l’ambasciatore giapponese. In novembre il successore di quest’ultimo, Yotaro Sugimura, parlò sia con Tucci sia con Mussolini, il quale gli indicò lo studioso maceratese, vicepresidente dell’IsMEO, come la personalità incaricata di condurre i negoziati per arrivare all’accordo culturale, che venne stipulato nella primavera del 1935.
Nel 1936 l’IsMEO, “pilotato pressoché unicamente da Tucci”17, funzionava ormai a pieno ritmo. “Fu realizzato il reciproco invio dei conferenzieri con Tokyo; vennero concesse altre borse di studio; inviati bollettini informativi basati su rassegne della stampa asiatica, con regolarità periodica, al ministero degli Esteri, alla presidenza del Consiglio e all’Eiar; fu bandito un concorso a premi su temi di attualità riguardanti i paesi del Medio ed Estremo Oriente (…). Venne ampliata la biblioteca, anche attraverso l’attuazione dell’accordo con la KBS, estesa al bengalese la gamma delle lingue insegnate. Furono anche avviate conversazioni per raggiungere con la Cina un accordo analogo a quello con il Giappone”18.
Invitato in Giappone nel novembre del 1936, il professor Tucci vi fu accolto con tutti gli onori dovuti ad una personalità ufficiale: venne ricevuto dal Tennô, parlò alla Camera dei Pari, lesse alla radio un messaggio di Mussolini. Ovviamente promosse varie iniziative d’ordine culturale: in particolare, concluse un accordo per l’insegnamento dell’italiano in un’università nipponica e fondò a Tokyo un istituto di cultura. La visita di Tucci fu ricambiata nel dicembre 1937 da quella di Kishichiro Okura, presidente della Società Amici dell’Italia, che pochi giorni dopo la sigla del Patto Antikomintern lesse nei locali dell’IsMEO un messaggio per il popolo italiano. Tucci, con Gentile e Majoni, fece parte del comitato promotore di una costituenda Società degli Amici del Giappone, che dal gennaio 1941 pubblicò, presso l’Istituto geografico De Agostini, il mensile “Yamato”. Membro del comitato di redazione, Tucci collaborò alla rivista “con pezzi di argomento letterario, religioso o di drammatica attualità, come quello sul sacrificio della guarnigione giapponese ad Attu, che apre il numero del luglio ’43”19. Nel 1943 cessò le pubblicazioni non soltanto “Yamato”, ma anche il bimestrale “Asiatica”, che nel 1936 era subentrato al “Bollettino dell’IsMEO”. Quanto a Tucci, l’aver ricoperto la carica di presidente della Società degli Amici del Giappone gli valse, nella risorta democrazia, un provvedimento di epurazione.
Assunta nel 1948 la presidenza dell’IsMEO, Tucci diede vita ad un nuovo bimestrale, “East and West”, al quale collaborarono studiosi di fama mondiale: da Mircea Eliade a Mario Bussagli, da Franz Altheim a Francesco Gabrieli, da Henry Corbin a Julius Evola.
1. R. Gnoli, Ricordo di Giuseppe Tucci, IsMeo, Roma 1985, pp. 8-9.
2. R. Gnoli, Ricordo di Giuseppe Tucci, p. 9.
3. G. Tucci, cit. in: Raniero Gnoli, Ricordo di Giuseppe Tucci, cit., p. 9.
4. G. Tucci, Ciro il Grande. Discorso commemorativo tenuto in Campidoglio il 25 maggio 1971, Roma 1971, p. 14.
5. G. Tucci, Introduzione a: AA. VV., Le civiltà dell’Oriente, Casini, Roma 1956, vol. I, p. xxii.
6. G. Tucci, Marco Polo, IsMeo, Roma 1954, p. 16.
7. G. Tucci, Alessandro Csoma de Körös, “Eurasia”, a. III, n. 1, genn-marzo 2006, p. 33.
8. F. Palmieri, Introduzione a: Giuseppe Tucci, Sul Giappone. Il Buscidô e altri scritti, Settimo Sigillo, Roma 2006, pp. 12-13.
9. P. N. Roy, Mussolini and the cult of Italian youth, Calcutta s. d. Il libro di Roy è comunque successivo alle biografie mussoliniane di V. V. Tahmankar (Muslini ani Fachismo, Poona 1927) e di B. M. Sharma (Mussolini, Lucknow 1932).
10. Rievocando l’incontro con Puran Singh, governatore di Pokhara, avvenuto durante il viaggio in Nepal del 1952, Tucci scrive di lui: “è stato l’aiutante del Netaji Subhas Chandra Bose (…) È molto sorpreso di sapere che io fossi amico del grande patriota bengalico e la sua cordialità diventa più calorosa” (Tra giungle e pagode, Newton & Compton, Roma 1979, p. 78).
11. S. Chandra Bose, La lotta dell’India (1920-1934), Sansoni, Firenze 1942, p. 308.
12. V. Ferretti, op. cit., p. 812. Cfr. R. De Felice, Mussolini il duce. II. Lo Stato totalitario 1936-1940, Einaudi, Torino 1981, p. 447 n.
13. B. Mussolini, Oriente e occidente, in Scritti e discorsi, Hoepli, Milano 1934, vol. VIII, pp. 285-287.
14. G. Tucci, L’Oriente nella cultura contemporanea, IsMEO, Roma 1934, p. 20.
15. B. Mussolini, Estremo Oriente, in Opera Omnia, vol. XXVI, Firenze 1958, pp. 153-156.
16. V. Ferretti, Politica e cultura: origini e attività dell’IsMeo durante il regime fascista, “Storia contemporanea”, a. XVII, n. 5, ottobre 1986, pp. 793-794.
17. V. Ferretti, op. cit., p. 802.
18. V. Ferretti, op. cit., p. 801.
19. F. Palmieri, Introduzione, cit., p. 27. L’articolo Gli eroi di Attu è riportato nel volume curato da F. Palmieri.
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