Fonte: http://www.strategic-culture.org/pview/2011/03/15/fukushima-the-technology-of-deception.html
Una tipica tecnologia dell’inganno è quello di dire la verità, ma non tutta la verità. La copertura mediatica delle recenti catastrofi nelle due centrali nucleari giapponesi Fukushima 1 e Fukushima 2 sembra essere costruita secondo il principio di cui sopra.
Secondo i media, il terremoto di magnitudo 8,9 dell’11 marzo 2011 in Giappone ha provocato un arresto automatico dei reattori nucleari degli impianti di Fukushima 1 e Fukushima 2. I generatori diesel di riserva sono stati avviati subito dopo per alimentare l’energia del sistema di raffreddamento dei reattori, ma ulteriori problemi si sono presentati quando lo tsunami ha distrutto i generatori e la temperatura nel sistema di contenimento è aumentata. I tentativi di ridurre la pressione e la temperatura nei reattori hanno incontrato un successo limitato.
L’idrogeno è esploso a Fukushima 1 il 12 marzo. I principali canali TV hanno trasmesso i filmati dell’esplosione, mentre i funzionari giapponesi dichiaravano che nessun rilascio di radiazioni ne era conseguito e che il reattore non era stato distrutto. Le agenzie della Russia responsabili per la protezione dalle radiazioni – Rosatom e Rosgidromet – hanno comunicato che le regioni orientali del paese non saranno esposte a rischi, anche nel caso peggiore. L’agenzia stampa ufficiale russa RIAN, citando un funzionario dell’AIEA, secondo cui l’Agenzia ritiene di assegnare il quarto livello dell’INES (International Nuclear and Radiological Event Scale), all’incidente nucleare in Giappone. L’INES comprende sette livelli, il quarto non indica una grave emergenza, ma corrisponde ad un incidente con conseguenze locali.
In altre parole, viene offerta una versione rassicurante degli eventi al pubblico in generale, il quale si ritiene che assorba le informazioni acriticamente. Presumibilmente, i venti che soffiano a est e a sud-est disperdono le emissioni radioattive nel Pacifico, e non vi è nulla, nel resto del mondo, per cui doversi preoccupare.
Si ha l’impressione che tutte le informazioni attualmente riguardino la dinamica delle emissioni radioattive. Si afferma ufficialmente che il centro di crisi della Rosatom sta monitorando la situazione in modo permanente, ma non è chiaro perché debba farlo, se le cose sono così semplici come descritte.
Eppure, i media, compresa l’ITAR-TASS, la quale ha citato esperti giapponesi, hanno continuato a dire il 13 marzo che, al momento, i sistemi di raffreddamento dei 6 reattori di Fukushima 1 e Fukushima 2 sono stati spenti. A partire dal 14 marzo, i sistemi di raffreddamento del 1°, 2° e 3° reattori di Fukushima 1 e del 1°, 2° e 4° reattori di Fukushima 2, non sono in funzione.
Al momento, ha senso valutare la situazione in modo indipendente e misurare la probabilità di più ampie conseguenze degli incidenti nucleari. In condizioni di emergenza, la sicurezza dei reattori nucleari è garantita con l’aiuto di una serie di circuiti tecnologici, i principali dei quali servono a raffreddare il nocciolo del reattore, ad alimentare l’impianto, a spegnere il reattore e a fornire energia elettrica prodotta con generatori diesel di emergenza. Complessivamente, i sistemi sono destinati a garantire la sicurezza nucleare anche in condizioni estreme, come bombardamenti diretti sulla centrale elettro-nucleare. Seguendo una corretta pianificazione, l’energia nucleare è assolutamente sicura e affidabile, ma evidentemente questo non era il caso del Giappone. Gli impianti nucleari del paese sono stati costruiti in zone di intensa attività sismica e, inoltre, proprio sulla costa, anche se uno tsunami nella regione era un evento senza precedenti. E’ stato lo tsunami che ha reso inutilizzabili i sistemi di sicurezza che erano sopravvissuti al terremoto, causando la perdita del liquido refrigerante, e creando la minaccia di fusione del reattore. Finora possiamo solo supporre gli effetti termici innescati dalla continuazione della reazione, ma è già chiaro che le barre di combustibile, o almeno alcune di esse, sono state probabilmente distrutte o danneggiate. L’esplosione dell’idrogeno è l’indicazione che l’ossido di uranio è venuto a diretto contatto con l’acqua, con conseguente produzione di idrogeno.
Cosa sarà successo dopo? Il quadro offerto dai media riflette uno scenario ottimista, ma non l’unico possibile. Eventuali pareri in merito al funzionamento del sistema di raffreddamento del nocciolo del reattore, in condizioni di emergenza, sono puramente ipotetici. Essi si basano su modelli matematici in combinazione con un numero limitato di test e, ovviamente, non sono mai stati confermati sperimentalmente. Potenzialmente, delle conseguenze possono nascere dal fatto che il sistema di raffreddamento del nocciolo del reattore, neutralizzato dalla marea, non sia in grado di prevenire la fusione del reattore. In questo caso, la temperatura nella zona del disastro, contenente biossido di uranio, può raggiungere un livello tale da far crollare la camera di contenimento e le sostanze radioattive fuse proliferano sul terreno. Mescolandosi con l’acqua al suolo, ci si può aspettare che inneschi un’esplosione che, a causa delle sostanze radioattive, farebbe volatilizzare nuovamente quanto resta nella camera di contenimento. In altre parole, una contaminazione più grave di quella attualmente segnalata sembra probabile, in base ai dati disponibili. Il fenomeno e le sue conseguenze a lungo termine rimangono in gran parte inesplorati a causa dell’estrema complessità delle simulazioni matematiche, che avrebbero dovuto essere effettuate per predire esattamente come il dramma si sarebbe svolto.
La conclusione generale è che la situazione intorno a Fukushima 1 e Fukushima 2 è abbastanza oscura e conseguenze molto più severe rispetto a quelle attualmente previste non possono essere escluse.
Va notato, insieme a quanto sopra detto, che finora non abbiamo sentito nulla sulla condizione in seguito alla catastrofe degli impressionanti depositi di combustibile nucleare esaurito del Giappone. Gli esperti stimano che nel 2020 il Giappone sarebbe emerso quale il titolare di plutonio numero uno al mondo, e la mancanza di attenzione al tema, nelle attuali circostanze, è inspiegabile.
In ogni caso, è già fuor di dubbio che il piano del Giappone di raggiungere l’indipendenza energetica, basandosi sull’energia nucleare, abbia subito un fallimento totale. Costruire reattori nucleari su isole in zone di elevato rischio sismico, è stata una strategia concepita male, che non mette in pericolo solo il Giappone, ma anche i suoi vicini.
Per quanto riguarda il settore energetico, la migliore opzione del Giappone deve essere la dipendenza da GNL importato dalla Russia, ma per giungervi il Giappone, insieme ad altri passi, deve abbassare i toni della sua retorica anti-russa riguardo le isole Curili.
Infine, il dramma in corso porta alla ribalta il concetto per cui le tecnologie avanzate, accoppiate a fattori antropici destabilizzanti, possono svolgere il ruolo di una particolare forma di arma di distruzione di massa. Questo, tuttavia, è un tema del tutto distinto, che spero di affrontare altrove.
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La ripubblicazione è gradita con riferimento alla rivista on line Strategic Culture Foundation.
Traduzione di Alessandro Lattanzio
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