L’ingresso della francese Électricité de France nella joint venture South Stream AG – Consorzio di cui sono patrocinatori Eni e Gazprom, volto alla realizzazione dell’infrastruttura di gasdotti che attraverserà il Mar Nero per sbucare nell’Italia del sud e in Austria – è cosa fatta.
EDF, operatore energetico e maggiore produttore e distributore di energia d’Oltralpe, è dunque il terzo partner tra i due colossi degli idrocarburi italiano e russo in questo ambizioso piano di lavoro e di sviluppo delle rotte dell’oro blu che segneranno il prossimo futuro energetico del continente. Il progetto è stato concepito per rendere più agili i rifornimenti di gas alla Vecchia Europa, aggirando quei paesi extracomunitari non abbastanza affidabili (vedi l’Ucraina) i quali, già in altre occasioni, sono stati al centro di dure liti con Mosca (a causa di bollette non onorate e dell’indebita sottrazione di materia prima) che hanno rischiato di ripercuotersi sui bisogni dei cittadini europei.
I due partner fondatori di South Stream hanno sottoscritto un Memorandum of Understanding per definire la nuova condivisione delle responsabilità e dei benefici, che ora toccheranno anche al membro francese. EDF è entrata in società con una quota del 10% interamente ceduta da ENI, mentre Gazprom ha confermato l’intesa sui volumi di gas che consentirà all’impresa italiana di piazzare sul mercato interno ed esterno le quantità preventivate.
Da un certo punto di vista, l’adesione del gigante transalpino al Consorzio è stata accelerata per ragioni tecniche e ingegneristiche. EDF dispone, infatti, delle competenze necessarie per realizzare la parte sottomarina delle pipelines che darà rapida fattibilità al programma. Ma l’accordo raggiunto da Sarkozy e Medvedev, a San Pietroburgo, con l’imprimatur degli organi apicali del Cane a sei zampe e del governo italiano, conferma il ruolo centrale mantenuto dagli Stati in questo settore che veicola importanti scelte geostrategiche.
I russi hanno blindato al 50% la loro partecipazione per avere costantemente il controllo della situazione. E la mossa si rivela intelligente laddove non sono improbabili, da parte europea, scivolamenti dal perimetro di decisioni già tracciato, come peraltro accaduto recentemente con le sconclusionate affermazioni del capo di ENI Scaroni il quale aveva perorato, sotto pressioni non ancora chiarite, l’unione del South Stream con il progetto alternativo di dotti Nabucco, quest’ultimo sponsorizzato dagli americani.
Mosca si mette pertanto al riparo da tali confusioni nonché da eventuali cambiamenti al vertice nei due stati dell’UE dove, col mutamento degli equilibri politici interni, potrebbe prefigurarsi uno scostamento dalla condotta finora seguita.
La Russia mira a conservare un preciso ruolo-guida in siffatte intese e vuole in sostanza evitare le difficoltà già attraversate in altre fasi col suo principale cliente, quell’Europa che non riesce ancora a metabolizzare (insufflata in ciò dagli statunitensi) la sua inevitabile dipendenza dai rifornimenti dell’ex patria pilota dell’Unione Sovietica. Per intanto, il discorso si è messo sui giusti binari, grazie ad un bilanciamento dei rapporti di forza teso ad assicurare vantaggi reali a tutti gli attori di questa partita che si concluderà solo, e salvo ulteriori impedimenti, nel 2015. Ricordiamo che nei dotti del South Stream dovrebbero circolare circa 63 miliardi di metri cubi di gas all’anno che insieme ai 55 miliardi di metri cubi di gas passanti dai tubi del North Stream (progetto sempre in capo alla Gazprom in collaborazione con la tedesca E.On ed altri partners) placheranno gran parte della sete energetica dell’area europea.
Putin e Medvedev stanno dimostrando di saper coltivare i propri interessi nazionali con scaltrezza e lungimiranza. Anche la vicenda delle sanzioni all’Iran per il suo programma nucleare, ultimamente avvalorate da Mosca in sede di Consiglio di Sicurezza dell’ONU, come ha ben scritto Daniele Scalea sul sito Eurasia (Perché Russia e Cina hanno votato le sanzioni all’Iràn), stanno lì a testimoniare che la leadership russa intende rafforzare quella collocazione geopolitica adatta a proiettare la sua influenza su un’area mondiale sempre più vasta. Dice Scalea: “La Russia, che fino a pochi mesi fa appariva la principale protettrice dell’Iràn, aveva delle motivazioni aggiuntive per votare la nuova tornata di sanzioni. La prima è affermare il proprio ruolo di potenza mediatrice nel Vicino Oriente” ed ancora “Proprio l’energia è uno dei capisaldi della nuova politica estera russa. Mosca vuole mantenere ed anzi rinsaldare il proprio ruolo di perno energetico mondiale, o quanto meno eurasiatico. In tale scenario rientrano proprio gli accordi di cooperazione nucleare con l’India, la Turchia e l’Iràn. Come già riferito, l’accordo mediato da Lula non faceva altro che sostituire la Turchia alla Russia nel medesimo ruolo di fornitore del combustibile nucleare all’Iràn. Mosca non ha gradito e si è messa di traverso, facendo così capire chiaramente che qualsiasi accordo futuro dovrà coinvolgerla in prima persona”. Mi sento di condividere questa analisi anche se vi è da scongiurare quella “pericolosa china”, conseguenza delle posizioni tenute negli ultimi tempi, che potrebbe condurre l’Iran o la Turchia o entrambe a percorrere strade alternative all’amicizia con la Russia. Meglio chiarire presto queste diatribe facendo percepire ai potenziali alleati che il disegno complessivo non è rivolto contro di loro ma orientato all’arginamento del predominio statunitense.
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