Il gigante tecnologico della Silicon Valley sta ridisegnando la geografia di San Francisco. E non solo.
Finalmente, i giornalisti hanno iniziato a fare una critica seria dei giganti della Silicon Valley. In particolare hanno aperto gli occhi su Google, al momento la terza compagnia più grande al mondo per valore di mercato. La nuova fase di discussione è iniziata ancora prima delle rivelazioni sulla regolare condivisione da parte dei giganti tecnologici dei nostri dati personali con la National Security Agency – NSA, o la loro probabile fusione con quest’ultima. Allo stesso tempo, un altro gruppo di giornalisti, apparentemente ignari che il tempo sia cambiato, si sta ancora facendo beffe di San Francisco, mia città di origine, per non sottostare passivamente all’incombente presenza della Silicon Valley.
La critica della Silicon Valley è ormai trita e ritrita e alcuni giudizi oscillano fra la ferocia e il buon senso. Il New Yorker, per esempio, ha analizzato come le start-up stiano danneggiando l’obiettivo primario dell’istruzione alla Stanford University. Nel suo approfondimento si è concentrato sulle illusioni messianiche e l’ingerenza politica della Valley, tenendo bene in considerazione l’ingente elusione fiscale della Apple.
Il “New York Times” recentemente ha pubblicato un articolo d’opinione che mi ha colto di sorpresa, soprattutto quando ho letto il nome dell’autore. Il fondatore di WikiLeaks Julian Assange, che ha trovato rifugio presso l’Ambasciata ecuadoriana a Londra, ha recensito La Nuova Era Digitale, un libro scritto da due tra gli uomini più in vista di Google, Eric Schmidt e Jared Cohen, i quali hanno cercato di spiegare la tendenza della società tecnologica a mescolarsi con lo Stato.
Si tratta, ha dichiarato, di un progetto ben definito e al contempo allarmante per l’Imperialismo tecnocratico, pensato da due dei nostri massimi “sciamani che hanno costruito un nuovo idioma per il potere globale degli Stati Uniti nel Ventunesimo secolo”. Ha aggiunto: “Questo idioma evidenzia il legame ancora più stretto tra il Dipartimento di Stato e la Silicon Valley.”
Che cos’hanno in comune il governo statunitense e la Silicon Valley? Più di tutto, loro intendono rimanere nell’ombra, mentre il loro scopo principale è quello di mettere a nudo ogni singolo utente attraverso la raccolta dei dati personali. Ciò che si sta verificando è semplicemente l’affermazione di una nuova forma di governo che coinvolge vaste entità, basato sulla dicotomia che va da un ampio potere alla responsabilità limitata nei confronti di chiunque. Il tutto ovviamente a favore del governo.
Google, la compagnia con il motto “Don’t be Evil”, sta rapidamente diventando un impero. Non un impero territoriale, come lo sono state Roma o l’Unione Sovietica, ma un impero che controlla il nostro accesso ai dati e i nostri dati stessi. Le cause antitrust che proliferano ai danni della società dimostrano la sua ricerca del monopolio del controllo dei dati nell’era dell’informazione.
Il suo motore di ricerca è diventato indispensabile per molti di noi, e come il critico di Google e docente di Media studies Siva Vaidhyanathan ha scritto nel suo libro del 2012, The Googlization of Everything, “attualmente permettiamo a Google di stabilire ciò che è importante, rilevante e vero sul Web e nel mondo. Riponiamo speranza e crediamo che Google agisca per il nostro miglior interesse. Ma in realtà noi ci siamo arresi a un controllo sui valori, sui metodi e sui processi che danno un senso al nostro ecosistema dell’informazione”. E questo è solo il motore di ricerca.
Circa 750 milioni di persone usano Gmail, che opportunamente offre a Google l’accesso al contenuto delle proprie comunicazioni (esaminate in modo tale che l’utente finale possa essere bersagliato con inserzioni pubblicitarie). Google ha cercato, ma ha fallito, di rivendicare il controllo della proprietà delle versioni digitali di tutti i libri pubblicati; bibliotecari ed editori hanno reagito prontamente. Come il New York Times ha riportato lo scorso autunno, Paul Aiken, direttore esecutivo dell’Authors Guild, ha riassunto la situazione con queste parole: “Google continua a guadagnare dal suo uso di milioni di libri protetti da copyright senza alcun riguardo per i diritti d’autore, e la nostra class-action per conto degli autori statunitensi andrà avanti”.
L’organizzazione no-profit Consumer Watchdog ha scritto al Procuratore Generale il 12 giugno sollecitandolo a “bloccare l’imminente acquisizione per un miliardo di dollari da parte di Google di Waze, un’applicazione gps per il cellulare, facendo riferimento all’antitrust… Google domina già il settore della mappatura online con Google Maps. Il gigante di internet è stato capace di aprirsi un varco con la sua tendenza a primeggiare, favorendo in modo scorretto il proprio servizio in anticipo su competitori come MapQuest nei risultati delle sue ricerche online. Ora con l’acquisizione proposta di Waze, il gigante di internet vorrebbe eliminare il competitor più vitale nell’ambito del mobile. Inoltre questa acquisizione permetterà a Google l’accesso ad un numero maggiore di dati riguardanti l’attività online, e ciò aumenterà la sua posizione dominante su internet”.
La compagnia sembra non solo avere il pieno controllo del business della mappatura online, ma anche il monopolio di mercato di così tanti aspetti che, alla fine, potrebbe mettere all’angolo addirittura noi.
In Europa c’è una causa dell’antitrust per le applicazioni di Google per i cellulari con sistema Android. Per molti versi, si può mappare l‘ascesa di Google attraverso i cumuli di cause dell’antitrust che “accumula sul proprio cammino”. Tra parentesi, Google ha comprato Motorola. Inoltre, che possieda Youtube è ormai cosa risaputa. Ciò fa di Google il possessore del secondo e terzo sito più visitato al mondo (Facebook è il primo, e anche altri dei primi sei siti si trovano nella Silicon Valley).
Immaginiamo che sia il 1913 e l’ufficio postale, la compagnia telefonica, la biblioteca pubblica, le stamperie, le operazioni di mappatura della US Geological Survey, i cinema e tutti gli atlanti siano ampiamente controllati da una società riservata, inaccessibile al pubblico. Saltiamo di un secolo e vediamolo nel mondo online, questo è più o meno il punto dove siamo arrivati. Un capitalista di impresa di New York ha scritto che Google sta cercando di prendere il posto “dell’intero maledetto internet” e si è posto la domanda del giorno “Chi fermerà Google?”
Il punto
Noi a San Francisco ci facciamo spesso questa domanda, perché qui Google non solo è sui nostri computer, ma è anche nelle nostre strade. In precedenza nel corso dell’anno ho scritto riguardo al “Google bus” – la flotta di pullman privati di lusso, forniti di wi-fi, che gira per le nostre strade e usa le nostre fermate pubbliche, spesso bloccando i pullman cittadini e i passeggeri del trasporto pubblico, mentre loro caricano o scaricano i dipendenti che percorrono in lungo e in largo la penisola verso la società in cui lavorano.
Google, Apple, Facebook e Genentech gestiscono alcune delle più grandi flotte, e questi pullman bianchi, per lo più privi di marchio, sono diventati un simbolo della trasformazione della città.
Carl Nolte, che scrive una rubrica sul (moribondo) “San Francisco Chronicle”, questo mese ha parlato dei futuri abitanti dei 22.000 costosi appartamenti in costruzione: “I locatari dei nuovi appartamenti saranno tutti i nuovi abitanti di San Francisco. In un paio di anni penseremo ai politici progressisti, del 2012 circa, come antichità d’altri tempi, è accaduto con i Commies per i nostri nonni. San Francisco è già una città high-tech, una città cara, dove le famiglie appartenenti alla classe media non possono permettersi di vivere. È una città dove la popolazione afroamericana è stata fatta crollare in poco tempo, dove il quartiere latinoamericano Mission District si sta imborghesendo ogni giorno di più. Pensate che vivere qui ora sia dispendioso? Aspettate solo un po’. Questi che stiamo vivendo sono ciò che rimane dei bei vecchi giorni, ma non saranno gli ultimi. Siamo giunti ad un punto critico”.
Si può dire che Mr. Nolte non gradisce particolarmente questa situazione. Un ragazzo di nome Ilan Greenberg è sbucato dal New Republic per dirci ciò che deve piacerci – o ammetterne la ridicolezza. Scrive, “ironicamente proprio quelli che sono contro l’imborghesimento danneggiano l’etica liberale di San Francisco. Oppositori dei nuovi arrivati? Sospettosi nei confronti di persone i cui valori sono incomprensibili? Critica dei giovani per non essere all’altezza degli ideali della generazione più vecchia? Tutto ciò suona molto reazionario e bigotto”: Il problema è che noi comprendiamo i valori della Silicon Valley fin troppo bene e a molti di noi questi valori non piacciono.
Accogliere nuovi arrivati non dovrebbe essere poi così male, se non significasse sottrarre spazi a molti di noi che siamo già qui. Con noi intendo chiunque non lavori in una grande azienda tecnologica o in una delle più piccole compagnie, che di diventare un monolito globale. Greenberg (che, per inciso, sta scrivendo per una pubblicazione comprata in blocco da un miliardario di Facebook) si prende gioco di noi per proteggere la classe media, ma la “classe media” è solo una parola per quelli di noi che vengono adeguatamente pagati per il proprio lavoro.
Le persone a vari livelli di reddito nei più disparati ambiti qui a San Francisco stanno per essere rimpiazzate da coloro che lavorano in un unico ambito e vengono pagate estremamente bene. Istituzioni piccole, anticonformiste e non-profit stanno facendo fatica e stanno via via diminuendo. È come guardare un prato arato per coltivare fagioli di soia Monsanto geneticamente modificati.
Parlando di terreni, uno dei miliardari della Silicon Valley, fondatore di Napster e di Spotify, Sean Parker, ha appena investito in un matrimonio da 10 milioni di dollari americani in una terra sensibile dal punto di vista ambientale nel Big Sur. Con la costruzione di un’enorme ambientazione medievaleggiante per l’evento “che includeva un livellamento, un cambio nell’uso da campeggio a uso privato, la costruzione di strutture multiple dotate di un cancello ad arco, un laghetto, un ponte di pietra, piattaforme per eventi con pavimenti rialzati, muri di roccia, rovine di casette e mura di castelli creati artificialmente”, stando a quanto si dice, Parker ha causato un danno ambientale ingente e ha violato numerosissime norme ambientali.
A quanto pare, pagare 2,5 milioni di dollari in multe dopo l’evento non lo ha messo in difficoltà. Napster e Spotify sono, tra l’altro, tecnologie online che hanno ridotto a quasi zero i profitti dei musicisti provenienti dai dischi. Ci sono musicisti ricchi in maniera spropositata, sicuramente, ma molti di loro, al massimo, appartengono alla classe media. Grazie a Parker, forse anche a qualche gradino sociale di meno.
Insegnanti, impiegati statali, autisti di autobus, bibliotecari, vigili del fuoco – considerateli una rappresentanza della classe media sotto assedio, a al contempo persone che rendono una città vitale e funzionante. Alcuni miei amici – un pittore, un poeta, un regista, un fotografo, tutti coloro che hanno contribuito alla cultura di San Francisco – sono stati sfrattati, così gente ben più influente potrà rimpiazzarli. C’è una tendenza diffusa nel pensare che difendere la cultura significhi difendere le persone bianche privilegiate, ma questo suppone che le persone di colore e povere non siano artisti. Qui lo sono.
Ognuno qui comprende che se un musicista – hip-hop o sinfonico – non può permettersi una casa, nemmeno una famiglia è in grado di farlo. E la competizione per questi appartamenti è accanita: così accanita che in questi giorni nessuno che conosco riesce ad affittare sul mercato libero. Non ho potuto io, quando mi sono trasferita nel 2011, così come non ci è riuscito un mio amico medico all’inizio di quest’anno. I giovani tecnologici arrivano e offrono un anno di caparra in denaro liquido in anticipo o rilanciano la richiesta del prezzo iniziale, o entrambi, e l’offerta delle abitazioni continua a indebolirsi, mentre gli affitti vanno alle stelle. Così, mentre Greenberg potrebbe convincervi a pensare che non stiamo egoisticamente offrendo posto anche agli altri, in realtà è che le persone anziane e le famiglie che lavorano e le persone le cui carriere erano plasmate dall’idealismo si stanno opponendo alla possibilità di essere travolti, a ben dire, dal pullman.
Come Gandhi, solo con le armi
Numerosi leccapiedi delle potenti società della Silicon Valley hanno potuto creare una monocultura. In alcune parti della città, questa è già la cultura dominante. Un ragazzo che ha fatto fortuna durante il boom del dot.com e si è trasferito nel Mission District (in parte latinoamericano, già occhio del ciclone della classe lavoratrice nell’uragano delle case) ha attirato recentemente l’attenzione dei locali con un post sul suo blog intitolato “Individui spregevoli come voi stanno distruggendo San Francisco”. Al suo interno ha descritto il comportamento volgare e talvolta violento dei più giovani e più ricchi nei confronti dei più anziani, dei poveri e dei non bianchi.
Ha scritto “Sei sul MUNI [il sistema di pullman cittadino] e vedi un giovane ventenne che con riluttanza cede il suo posto a una signora anziana e dopo dice al suo amico “Io non capisco perché le persone anziane prendano il MUNI. Se fossi vecchio, io prenderei solo Uber””. Ho cercato notizie a riguardo: Uber.com, un servizio taxi di limousine al quale puoi accedere attraverso un’applicazione per smartphone. Un mio amico ha sentito per caso un altro giovane patito di tecnologia, in coda per comprare il caffè, dire a qualcuno al telefono che stava lavorando ad un’app che sarebbe stata “come Food not Bombs, per distribuire cibo, solo per profitto”. Dire che si ha intenzione di essere come un gruppo che si adopera per la distribuzione del cibo gratuito, solo per profitto, è più o meno come dire che si ha intenzione di essere come Gandhi, solo con le armi.
“Un flusso di appassionati di tecnologia significherà più sostenitori per le arti”, tuonava un articolo sul sito di notizie della Silicon Valley Pando, ma questi illustri sostenitori ancora non si sono fatti vivi. Come un settimanale locale anticonformista ha affermato, “il mondo tecnologico in generale è notoriamente poco caritatevole. Secondo il Chronicle of Philantrophy, solo quattro dei cinquanta più generosi donatori statunitensi del 2011 lavorano nel settore tecnologico, nonostante il fatto che 13 dei 50 Americani più ricchi secondo Forbes nel 2012, debbano tutta la loro fortuna al settore”.
Medicei nei loro complotti, non sono però mecenati come la nota famiglia del Rinascimento. Non ci sono ricadute favorevoli nella Bay Area, neanche magnanimità significative nei confronti dei bisogni o delle buone cause o della cultura derivate dai nuovi capitali tecnologici.
Invece, abbiamo il nuovo arrivato a San Francisco, il CEO di Facebook e miliardario Mark Zuckerberg, che persegue il proprio interesse con disprezzo spietato per la vita sulla terra. Quest’anno Zuckerberg ha fondato un’organizzazione no-profit attiva politicamente FWD.us, che cerca di influenzare il dibattito sull’immigrazione per rendere più semplice per le società della Silicon Valley l’importazione di lavoratori nel settore tecnologico. Non è coinvolta alcuna ideologia, solo interessi personali su come FWD.us persegua i propri scopi. Ha deciso di investire la propria enorme influenza finanziaria per lavorare dando ai politici qualunque cosa loro vogliano, nella speranza che ciò possa condurre ad un vantaggioso compromesso.
Al fine di raggiungere questo obiettivo, il gruppo ha iniziato a far girare annunci pubblicitari in favore dell’oleodotto Keyston XL (che porta soprattutto sabbia di catrame sporca di carbonio dal Canada alla costa statunitense sul Golfo) per sostenere un senatore repubblicano e altri annunci in favore delle trivellazioni nell’intatto Artic National Wildlife Refuge in Alaska per sostenere un democratico dell’Alaska.
Il messaggio sembra essere che niente è proibito nel perseguire i propri interessi, e che il vero significato e le conseguenze di questi progetti che hanno un impatto sull’ambiente non interesserebbero almeno al ventinovenne che è anche la 25° persona più ricca degli Stati Uniti. (Per dovere di cronaca: il miliardario della Silicon Valley Elon Musk, cofondatore di Paypal e magnate delle auto elettriche, ha abbandonato FWD.us). Zuckerberg e i suoi associati della Valley stanno spingendo per cose per le quali non hanno un vero interesse, eccetto per ciò che permette alla loro società di funzionare e ai loro profitti di crescere. Qui, dove è stato fondato il Sierra Club nel 1892 e molte altre ideologie dal forte impatto ambientale, questo non è stato accolto bene. Le proteste sono seguite alla sede centrale di Facebook e sullo stesso Facebook.
L’ostilità crescente nei confronti dell’impennata tecnologica a San Francisco si scontrata con la rabbia e il disorientamento dimostrati da molti impiegati della Silicon Valley. Loro danno un po’ l’idea degli strateghi dell’era di Bush, esterrefatti che gli Iracheni non abbiano accolto la loro invasione con tappeti di fiori.
C’è ancora qualcosa che dovreste conoscere riguardo alla Silicon Valley: secondo il Mother Jones, l’89% dei gruppi di fondazione di queste società sono tutti uomini; l’82% sono bianchi (l’altro 18% asiatici o delle Isole del Pacifico); e le donne guadagnano solo 49 centesimi per ogni dollaro guadagnato dai colleghi maschi. Le donne più intraprendenti della Silicon Valley, come il CEO di Facebook Sheril Sandberg, attirano molta attenzione perché sono rare, vere mosche bianche.
Come Catherine Bracy, sulle cui ricerche Mother Jones ha basato le proprie classifiche, ha stimato, “ l’attuale ricerca di cui mi sono occupata dimostra che la creazione di benessere prodotta dall’industria tecnologica è distribuita in maniera estremamente disomogenea, e che l’attuale capitale di impresa sta convergendo verso un ristretto gruppo omogeneo in modo preponderante”. Ecco cosa sta invadendo San Francisco.
L’articolo su Pando lancia un vero e proprio monito: “San Francisco può diventare una capitale mondiale. Prima di tutto ha bisogno di riprendersi”. Ma forse noi non vogliamo essere una capitale mondiale più o meno come New York e Tokyo. La logica del più è meglio sembra indiscutibile ai detrattori di San Francisco, ma dentro di loro più equivale a molto di meno: meno diversità, meno convenienza, meno cultura, meno continuità, meno comunità, meno distribuzione equa di ricchezza. Ciò che è chiamato benessere in questi calcoli è riservato a pochi; per i più si tratta di impoverimento.
La flotta del .0001%
Se Google rappresenta la minaccia globale della Silicon Valley, e Zuckerberg rappresenta la sua amoralità, allora il CEO di Oracle Larry Ellison deve rappresentare al meglio la sua grossolanità. Il quinto uomo più ricco al mondo ha speso centinaia di milioni di dollari per vincere la regata dell’America’s Cup un paio di anni fa. Partendo dal presupposto che il vincitore ha la possibilità di scegliere la prossima sede per la regata e il tipo di imbarcazione da usare, per queste regate estive Ellison ha scelto la Baia di San Francisco e un catamarano gigante che sembra estremamente instabile. Lo scorso mese, un marinaio che ha vinto la medaglia olimpica è annegato quando un’imbarcazione, sulla quale si stava allenando, si è ribaltata nella Baia di San Francisco, bloccandolo sotto la vela.
Parte della strategia di Ellison per vincere di nuovo implica rendere le imbarcazioni così care da far sì che nessuno possa competere. Una regata che prima aveva dai 7 ai 15 concorrenti, ora ne ha 4 e uno di essi potrebbe ritirarsi. Business Insider ha pubblicato in prima pagina un pezzo dal titolo, “Larry Ellison ha completamente mandato a scatafascio l’America’s Cup”. È andato avanti affermando “ogni squadra, con l’eccezione della Nuova Zelanda, è sostenuta da un miliardario, e ognuna ha speso tra i 65 e i 100 milioni di dollari fino ad adesso”. Secondo la tipica moda della Silicon Valley, Ellison ha anche capito come far rimanere San Francisco fedele a una parte del suo progetto, causando lo sfratto di alcune dozzine di piccole aziende, anche se alla fine la città non gli ha concesso un rilevante allungamento di lungomare come era nelle sue iniziali intenzioni.
Questo è ciò che San Francisco è ora: un posto a sedere davanti alle più potenti società della Terra e le persone che le mandano avanti. Quindi noi sappiamo cose che voi non potete ancora conoscere: loro non sono vostri amici e la loro visione non è la vostra, ma i vostri dati sono i loro dati, le vostre comunicazioni sono nelle loro mani e loro sembra che stiano crescendo per diventare un braccio o un comproprietario del Governo, o per fare una legge in direzione dei propri interessi, e nessuno ha capito cosa possiamo fare per contrastare ciò.
Fonte:
http://www.atimes.com/atimes/Global_Economy/GECON-01-260613.html
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