In un articolo pubblicato sul numero 4/2021 di “Eurasia”, la studiosa Maria G. Buscema afferma che storici e teologici, con i termini Great Awakening (“Grande Risveglio”) o Revivals (“Rinascite”), si riferiscono espressamente a dei movimenti di rinnovamento spirituale caratteristici del protestantesimo. L’espressione “grande risveglio” è stata recentemente riportata in auge come indicatore di una non meglio precisata “spontanea” rivolta delle masse (dei popoli) contro il Great Reset (“Grande Ripristino”) “globalista” imposto (anche) attraverso le misure di contenimento della crisi pandemica, attraverso la stessa pandemia o il racconto che di essa è stato dato (o preparato) in “Occidente”.
Questi aspetti necessitano naturalmente di ulteriori approfondimenti che si cercherà di fornire in corso d’opera. Tuttavia, appare quasi doveroso ricordare che l’“Occidente” rimane lo spazio geografico-ideologico sottoposto all’egemonia culturale e militare degli Stati Uniti d’America. Di conseguenza, risulta piuttosto raro che un’espressione ideologico-religiosa partorita dal “centro imperiale” si ponga in qualche modo come obiettivo la distruzione dello stesso.
La storia insegna che ogni tentativo di rinnovamento spirituale (fallimentare o meno) partorito e guidato dai vertici del potere imperiale ha sempre avuto come obiettivo il rafforzamento dello stesso impero e non la sua dissoluzione. Si prenda ad esempio, con le dovute differenze tra aspetti prettamente tradizionali e modernità, il tentativo operato dall’“Imperatrice filosofa” Giulia Domna. Questa, moglie di Settimio Severo e figlia di un sacerdote del dio siriaco El-Gabal, pensò ad una rinnovata uniformità spirituale dell’Impero romano attraverso l’imposizione di una sorta di enoteismo solare capace di superare le divisioni tra le diverse credenze religiose al suo interno. Ed il suo obiettivo era quello di dare vita ad un modello teologico che legittimasse e sacralizzasse nuovamente lo spazio imperiale dopo che l’originale coincidenza tra diritto, politica e religione era andata lentamente ad affievolirsi[1]. Dunque, il suo scopo, come quello di Giuliano dopo di lei, era rafforzare e non distruggere.
Tornando all’attualità, sulle pagine di “Eurasia” si è spesso trattato della quasi assoluta inconsistenza della dicotomia globalismo/sovranismo (due facce della stessa medaglia che si muovono all’interno del paradigma geopolitico dell’atlantismo). Diverso è il discorso per ciò che concerne il suddetto Great Awakening.
L’osservatore poco attento della realtà sarebbe portato a considerare ed accettare (nel bene o nel male) questo “fenomeno” come un qualcosa di assolutamente originale: come naturale contrapposizione al disegno del “grande ripristino” (teorizzato al forum di Davos nel 2020) secondo i suoi seguaci più accaniti; come l’esito di fantasie cospirazioniste secondo i suoi detrattori. Entrambe queste posizioni sono sbagliate.
A cavallo tra XVIII e XX secolo, come riporta lo studio di Maria G. Buscema, si possono contare almeno tre o quattro (a seconda delle interpretazioni) differenti Great Awakening (sarebbero addirittura cinque con l’attuale). Tutti, per quanto ispirati da pratiche religiose nate in Europa, hanno avuto origine negli Stati Uniti. E tutti hanno avuto riflessi sia nell’ambito religioso che in quello politico. Questi, afferma la studiosa di Siracusa, “hanno in comune il fatto che incentrano il proprio insegnamento sulla dottrina del peccato e della grazia presente nella Bibbia, ma letta alla luce della Riforma, ossia mettendo il Cristo al centro della predicazione, allontanando il fedele dal rituale e dalla cerimonia e rendendo la religione intensamente personale per il fedele comune”[2].
Da qui si evince una prima sostanziale differenza non solo tra dottrina cattolica e protestante, ma anche tra differenti correnti all’interno dello stesso protestantesimo: ovvero, tra protestanti tradizionalisti concentrati sull’importanza del rituale e nuove espressioni religiose volte ad incoraggiare maggiormente il coinvolgimento emotivo e l’impegno personale in nome della spiritualità.
A questo proposito è bene ricordare che il proselitismo religioso, così come la propaganda politica, ricerca sempre un coinvolgimento emotivo diretto della persona. Di conseguenza, sia il proselitismo sia la propaganda debbono essere regolati in base al pubblico che si trovano di fronte.
Come scrisse a suo tempo Lord Northbourne: “Oggigiorno i rappresentanti della religione non osano altro che apparire aggiornati. Ecco perché sono sempre in cerca di rendere le scritture e le dottrine della religione intelligibili alla persona media tentando di definirle nei termini adatti alle sue forze di analisi mentale e di deduzione […] nulla limita meglio di una mania per la definizione, sia filosofica che popolare. Una deità definita non è divina, ma umana; non è Dio, ma un idolo”[3]. Di fatto, parafrasando René Guénon, cercando di portare Dio negli stati inferiori dell’essere (pratica assai diffusa nel protestantesimo anglo-americano) non si fa altro che sviluppare un “satanismo incosciente” assai più pernicioso del satanismo reale e cosciente (fenomeno scarsamente diffuso e piuttosto grottesco)[4].
Ora, ritornando ai diversi “grandi risvegli”, è utile ricordare che le radici di questo fenomeno possono essere facilmente individuate nel pietismo: corrente protestante sviluppatasi in Europa centrale nei secoli XVII e XVIII come reazione al classico dogmatismo luterano. Il pietismo contrapponeva al razionalismo della teologia luterana la valorizzazione della devozione interiore, attraverso la quale gli adepti si elevavano al grado di “risvegliati” o “rigenerati”. Sulla base di quest’idea di “risveglio” o “rinascita” in Cristo si sono sviluppati i Great Awakening nordamericani a partire dal XVIII secolo. “Il primo – afferma Maria G. Buscema – si riconduce al metodismo, che offrì nuova sostanza e forza all’azione dei predicatori evangelici, in genere di matrice calvinista e contraddistinti da forte rigore morale. Negli Stati Uniti si segnala l’azione del predicatore scozzese Thomas Chalmers (1780-1847) […] oppure abbiamo l’opera di predicazione carismatica dei pastori George Whitefield (1714-1770) e Jonathan Edwards (1703-1758) […] La predicazione di quest’ultimo fu accompagnata da un’ondata di fanatismo millenarista che dilagò dal Connecticut al New England. La sua predicazione, richiamando alla ‘Nuova Israele’ americana e al patto stipulato con Jahvè, suscitò folle estatiche che ascoltavano i sermoni di pastori itineranti […] Seguì il Second Great Awakening (1800-1858), particolarmente forte nel nord-est e nel Midwest, che coinvolse i ceti medio-bassi ed ebbe come centro della predicazione revivalista il cosiddetto Burned over district nella parte occidentale di New York, così chiamato per il tema costante delle prediche: la dannazione eterna nel fuoco dell’inferno”[5]. Al Third Great Awakening (1859-1900) viene generalmente associato l’impulso all’azione missionaria e la nascita dei Testimoni di Geova. Mentre con il Fourth Great Awakening (iniziato a cavallo degli anni ’60 del secolo scorso) si entra in una dimensione più propriamente politica e geopolitica. Esso si contraddistingue per il successo di alcune sigle più conservatrici all’interno del panorama religioso nordamericano che si impegnarono, ad esempio, in battaglie “etiche”, dettate da una lettura letteralista del testo biblico, contro l’evoluzionismo ed in favore del “creazionismo”.
Qui si rende necessario aprire una prima breve parentesi, visto che tanto la teoria evoluzionista quanto quella creazionista hanno origine moderna. “Entrambe – afferma il già citato Lord Northbourne – cercano di spiegare ogni cosa in termini di immediato e tangibile vantaggio e svantaggio”[6]. Dunque entrambe, pur ponendosi in antitesi l’una con l’altra (visto che il “creazionismo” parte da un presupposto religioso), sono governante da una tendenza intrinsecamente materialista.
Al Fourth Great Awakening è legata la figura del noto pastore evangelico Bill Graham (1918-2018). Costui ha esercitato la sua influenza su molti inquilini della Casa Bianca, e più in generale sui vertici politici USA, per tutta la metà del XX secolo e all’inizio del XXI, da Eisenhower a Jimmy Carter e Bill Clinton fino al vicepresidente di Donald J. Trump Mike Pence.
Con quello che potremmo definire come il Fifth Great Awakening (la cui data di inizio potrebbe coincidere con l’elezione di Donald J. Trump nel 2016) la dimensione geopolitica assume un valore ancora maggiore. Tuttavia, il tradizionale “destino manifesto” (la missione degli Stati Uniti volta alla costruzione di un ordine mondiale a propria immagine e somiglianza) viene mascherato da una lotta ideologico-escatologica tra bene (l’umanità in generale) e male (le cosiddette élites liberali transnazionali, presentate come “alleate” della minaccia numero uno all’egemonia globale USA: la Cina).
Questa nuova “teologia politico-apocalittica” è stata capace di superare lo stesso trumpismo (la sconfitta elettorale dell’“uomo che Dio ha inviato per liberare il mondo dal male” secondo gli adepti di QAnon) ed i confini del centro “imperiale” per diffondersi nella periferia europea (anche grazie a zelanti agitatori politici, tra cui il pensatore russo Aleksandr Dugin, autore di un manifesto del Grande Risveglio contro il Grande Ripristino in cui vengono tessute le lodi del trumpismo e dell’America come luogo del “crepuscolo del liberalismo”)[7]. Il breve opuscolo merita un approfondimento, visto che segna il passaggio definitivo da una prospettiva geopolitica quasi determinista (gli Stati Uniti sono spinti alla conquista del mondo dalla loro intrinseca natura talassocratica) ad una puramente politica, in cui un “filosofo” (presunto “evoliano”) ammicca apertamente ad elementi antitradizionali come il messianismo digitalizzato della già citata pseudoreligione di QAnon[8]. Poco importa se il trumpismo, in termini geopolitici, si è mosso in assoluta continuità con le amministrazioni precedenti, applicando la consueta strategia statunitense: esacerbare le tensioni per garantire introiti al complesso bellico-industriale nordamericano e costruire blocchi di contrapposizione tra l’Europa ed il resto dell’Eurasia.
Ora, la suddetta “teologia politico-apocalittica”, profondamente ispirata dai temi classici dell’evangelismo e del sionismo cristiano, ha un suo riferimento teorico in un altrettanto breve opuscolo del 1944 scritto dal teologo riformato Reinhold Niebuhr dal titolo The children of the light and the children of darkness. L’“opera” merita l’apertura di una nuova parentesi, visto che in essa si esprime l’idea di un vero e proprio scontro esistenziale tra gli Stati Uniti e l’Europa. L’idea, ad onor del vero, non sarebbe neanche particolarmente originale. Già per tutto il corso del XIX secolo negli Stati Uniti vennero propugnate tesi dal sentore “cospirazionista” secondo le quali gli Imperi europei, in combutta con il Papa ed i gesuiti, stavano cercando di distruggere il governo democratico di Washington[9].
Di fatto, al centro dell’opuscolo di Niebuhr è la “civiltà democratica moderna”. Essa, con il “credo liberale”, è espressione dei “figli della luce”, il cui unico peccato è quello di un ingenuo approccio sentimentale alle relazioni internazionali. Alla “civiltà democratica” si contrappone quella proposta dai “figli delle tenebre” votati al cinismo morale (caratteristica che, secondo Niebuhr, contraddistingue tanto Mussolini, collegato a Mazzini da una linea diretta, quanto Hitler); il loro antidemocratismo sarebbe influenzato sul piano politico da Hobbes e su quello religioso da Lutero. Essi, malvagi ma assai intelligenti, non conoscono altra legge o diritto oltre la mera forza. Il nemico dei “figli della luce”, dunque, non può che essere la “furia demonica” del nazismo e del fascismo, i quali pongono gli strumenti della tecnica moderna al servizio di un’ideologia antimoderna che antepone la comunità all’individuo[10].
Ora, le affermazioni di Niebuhr possono essere facilmente confutate su più livelli. Il teologo riformato, in primo luogo, sembra essere uno scarso sconoscitore di Hobbes, la cui “unica colpa”, al massimo, sarebbe quella di non mascherare mai il potere, il suo peso e la sua posizione centrale in ogni comportamento umano, e mai di esaltarlo. In secondo luogo, egli sembra ignorare i molteplici crimini del colonialismo liberale e lo stesso fatto che la cosiddetta “Dottrina Monroe”, lungi dall’essere il prodotto di una geopolitica isolazionista, fosse semplicemente la prima espressione dell’imperialismo nordamericano. Inoltre, sembra ignorare il fatto che l’assenza di “diritto”, parafrasando Carl Schmitt, ha contraddistinto soprattutto le azioni nordamericane sul continente europeo. Demonizzando il nemico (meritevole di annichilimento), gli Stati Uniti hanno riportato le “legge della giungla” in Europa. Superando il tradizionale ius publicum europaeum posto alla base dei rapporti tra le monarchie cristiane del continente, gli Stati Uniti hanno imposto sul continente un dominio che oggi, con la sola esclusione della Russia, è divenuto totale.
Non sorprende che l’agitatore e teorico trumpista Steve Bannon abbia spesso fatto riferimento ad un non meglio precisato “capitalismo illuminato”, impregnato di “valori giudaico-cristiani”, che ha contribuito a sconfiggere il nazismo ed a rispedire in Oriente un “impero barbarico” (il riferimento è all’Unione Sovietica)[11]. E non sorprende che gli attuali sostenitori del Great Awakening facciano alternativamente ricorso a paragoni con comunismo e nazismo per descrivere le attuali condizioni restrittive.
Lo stesso Bannon ha ripreso il tema (non privo di rimandi biblici) “figli della luce contro figli delle tenebre” in una ormai celebre intervista con l’ex nunzio apostolico negli Stati Uniti Carlo Maria Viganò, noto per le sue posizioni filotrumpiste ed antibergogliane[12]. In questa intervista si fa espressamente riferimento all’empia alleanza tra “deep state globalista” e “brutale regime comunista” (il riferimento è alla Cina). Una teoria che suona alquanto bizzarra di fronte al fatto che l’uomo di riferimento del globalismo, George Soros, viene considerato nella Repubblica Popolare Cinese alla stregua di un terrorista, e che l’attuale amministrazione Biden non ha fatto altro che estremizzare ulteriormente le posizioni geopolitiche anticinesi di quella precedente (si pensi alla firma del Patto AUKUS ed al rafforzamento militare del governo separatista di Taiwan, cavallo di battaglia proprio di Steve Bannon). Ad onor del vero, il presunto deep state ha perso interesse rispetto alla Cina nel momento stesso in cui Bannon si è reso conto che il grande Paese asiatico rappresenta una minaccia reale all’egemonia globale nordamericana. E ciò avvenne già nel corso del primo mandato presidenziale di Barack Obama. Per ciò che concerne le cosiddette élites globaliste, il loro interesse per il mercato cinese è legato a doppio filo col rovesciamento del governo del PCC. Non a caso, il già citato speculatore George Soros ha definito a più riprese il Presidente cinese Xi Jinping come il più grande nemico della società aperta.
La crisi pandemica non ha fatto altro che estremizzare ulteriormente posizioni che rimangono sempre perfettamente inserite all’interno dello schema geopolitico atlantista (siano esse di carattere progressista o reazionario). Qui, non interessa stabilire l’origine del virus, argomento sul quale non si avrà mai una parola definitiva (sebbene chi scrive si sia fatto una propria idea sulla base della constatazione empirica che la ricerca costante di un nemico sia presupposto fondamentale per la continua riaffermazione dello schema egemonico nordamericano). Ciò che conta sono i suoi effetti.
Il primo e più evidente effetto della crisi pandemica è stata l’accelerazione di alcune tendenze e dinamiche in atto in “Occidente” già da alcuni decenni. L’evoluzione della società occidentale verso una forma di “capitalismo della sorveglianza” o di “totalitarismo liberale” è stata “fraintesa” dai teorici del “grande risveglio” come una forma di “cinesizzazione della società”. Ad onor del vero, il suo più immediato antecedente storico lo si può facilmente trovare nel Patriot Act dell’amministrazione Bush Jr., che diede campo libero all’NSA per spiare gli stessi cittadini statunitensi. Sistemi di controllo e di monitorizzazione della popolazione, inoltre, erano presenti ben prima della crisi pandemica attraverso le piattaforme sociali e di ricerca della rete.
Le stesse misure di contenimento dell’epidemia tra Cina ed “Occidente” sono state completamente differenti. Nel caso cinese si è optato per chiusure localizzate, tracciamento rapido e rafforzamento della sanità come strumento di sicurezza nazionale. Nel caso occidentale (salvo rari casi), anche a causa degli immani danni generati da decenni di neoliberismo esasperato, si è puntato su chiusure generalizzate e prolungate, tracciamento lento se non inesistente, colpevolizzazione della popolazione, terrorismo informatico. Inoltre, si è pensato al vaccino (naturalmente, solo quello prodotto dalle multinazionali occidentali del farmaco) come all’unico strumento per il superamento della crisi, fino ad arrivare al caso limite dell’Italia (vero e proprio laboratorio di esperimenti politici, dal governo giallo-verde a quello iperatlantista del “bankster”[13] Mario Draghi), dove è stata imposta una sorta di obbligo vaccinale fittizio attraverso il cosiddetto “certificato verde”: uno strumento che discrimina apertamente non solo chi ha scelto di non vaccinarsi, ma anche chi lo ha fatto con vaccini non occidentali. Tale misura, è bene sottolinearlo, non esiste in Cina, dove si è tornati ad una condizione di seminormalità già nell’estate del 2020 senza alcun obbligo vaccinale, fittizio o meno. Dunque, si potrebbe parlare a maggior ragione di una ulteriore “israelizzazione della società”.
Non è diverso il discorso se per “cinesizzazione della società” si intende la progressiva riduzione dei diritti sul lavoro, visto che siamo di fronte a due forme completamente diverse di società. Nello specifico, è impossibile fare dei paragoni tra una forma di socialismo nazionale capace di sollevare da una condizione di povertà oltre 700 milioni di persone ed incentrato sull’idea di “prosperità comune” ed un modello neoliberista, la cui unica aspirazione è quella di sperimentare nuove tecniche di oppressione (senza dare nulla in cambio alla popolazione) per mantenere inalterato il proprio sistema di sfruttamento rispetto alle cicliche crisi strutturali dell’ipercapitalismo.
Una reale opposizione all’attuale evoluzione del sistema non può limitarsi al mero “no” al vaccino o al “certificato verde”. Sorvolando sul fatto che autodefinirsi come “risvegliati” per il semplice fatto di aver rifiutato un’iniezione farebbe ridere anche un principiante nell’ambito degli studi tradizionali, pensare di poter creare un’opposizione al sistema solo ed esclusivamente su queste basi, o aspirare ad un ritorno a quel passato che ha fatto da apripista alla situazione attuale, senza neanche scalfire di un millimetro i dogmi atlantisti, significa essere assolutamente consustanziali al sistema stesso.
NOTE
[1]Si veda C. Mutti, Introduzione alle Epistole di Apollonio di Tiana, Edizioni di Ar, Padova 2021, pp. 9-41.
[2]M. G. Buscema, Il “Grande Risveglio”. Una teologia politico-apocalittica?, “Eurasia. Rivista di studi geopolitici” 4/2021, P. 122.
[3]Lord Northbourne, Quale progresso?, Cinabro Edizioni, Roma 2021, p. 104.
[4]R. Guénon, Errore dello spiritismo, Luni Editrice, Milano 2014, p. 198.
[5]Il “Grande Risveglio”. Una teologia politico-apocalittica?, ivi cit., p. 124.
[6]Quale progresso?, ivi cit., p. 64.
[7]A. Dugin, Contre le great reset, le manifest du grand réveil, Ars Magna (2021), p. 47. Recensione di Claudio Mutti in “Eurasia” 4/2021, pp. 221-222.
[8]Ibidem, p. 38.
[9]Si veda R. Hofstadter, The paranoid style in American politics, www.harpers.org.
[10]Si veda R. Niebuhr, The children of light and the children of darkness, Charles Scribners’s Son (1944).
[11]Si veda A. Braccio, Gli USA contro l’Eurasia: il caso Bannon, www.eurasia-rivista.com.
[12]Alla condizione odierna della Chiesa cattolica si applica alla perfezione la precedente citazione di Lord Northbourne legata al tentativo di rendere Dio definibile a chiunque, anche alle menti meno preparate. Entrambe le posizioni, quella “modernista” di Bergoglio e quella “conservatrice” di Viganò, risultano profondamente influenzate dallo spirito protestante. La prima si è piegata allo stile propagandistico evangelico per rendere l’immagine di Dio fruibile a tutti. La seconda ha optato per l’approccio apocalittico tipico dell’evangelismo nordamericano. A ciò bisogna anche aggiungere che molte prese di posizione di Bergoglio vengono spesso e volentieri intenzionalmente travisate.
[13]Il termine fu usato da Léon Degrelle negli anni ’30 del secolo scorso per indicare le pratiche da gangster cui ricorrono le grandi istituzioni della finanza per mantenere il proprio controllo nel confronto dei popoli.
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