La monarchia bhutanese ha reagito alla globalizzazione districandosi fra la volontà di cambiamento e il mantenimento della tradizione. A metà degli anni ’90, il sovrano Jigme Singye Wangchuck, subendo numerose pressioni provenienti soprattutto dall’Occidente, stabilì che il proprio regime monarchico assoluto non avrebbe potuto affrontare il nuovo secolo senza introdurre riforme politiche democratiche. Il sovrano decise dunque di ridurre i propri poteri per accontentare le insistenti istanze di democratizzazione, provenienti soprattutto dall’estero, pur preservando la monarchia. Perciò, nel 1998 il re intraprese un vero e proprio processo di democratizzazione, mandando gli intellettuali di corte in cinquantadue stati a studiarne le costituzioni. La nuova costituzione, che si ispira soprattutto al sistema federalista politico ed amministrativo della Svizzera, fu presentata ai bhutanesi come un dono del sovrano poiché, per redigerla con il più ampio consenso possibile, il monarca coinvolse la popolazione, partecipando a consultazioni pubbliche nelle capitali dei venti distretti che compongono il paese. Questo processo, tuttavia, non coinvolse i circa centomila Lotshampa, cittadini di origine nepalese, espulsi dal Bhutan fra gli anni ’80 e ’90 e accolti in campi profughi nel Nepal e negli Stati Uniti.

Questo massiccio esodo fu provocato dall’introduzione, nel 1985, delle leggi per l’omogeneizzazione della cittadinanza, che crearono seri problemi di convivenza fra le etnie maggioritarie dei Ngalops e degli Sharchops, che professano una corrente tantrica del Buddhismo Mahayana, e i Lotshampa induisti, discendenti di immigrati nepalesi. Secondo queste leggi, veniva riconosciuto come cittadino soltanto chi poteva provare con varia documentazione che i genitori erano residenti in Bhutan prima del 1958. Gli altri dovevano lasciare il paese.
Nel 2006 Jigme Singye Wangchuck abdicò a favore del figlio Jigme Khesar Namgyel Wangchuck. Fra il 2007 e il 2008 il Bhutan cambiò la propria forma di governo monarchica da assoluta a costituzionale e tenne le sue prime elezioni legislative. Il 19 luglio 2008, il paese himalayano promulgò la sua prima costituzione, che prevede un parlamento bicamerale composto da un consiglio nazionale di venticinque membri e un’assemblea nazionale con quarantasette seggi, entrambi eletti a suffragio universale. Il governo è formato dal partito che detiene la maggioranza in parlamento. L’articolo 2 della costituzione bhutanese impone al sovrano di abdicare quando raggiunge i sessantacinque anni di età e prevede la possibilità di abolire la monarchia tramite un referendum.

Nel 2013 sono state tenute nuove elezioni legislative, vinte dal Partito democratico del popolo, che ha ottenuto trentadue seggi su quarantasette, sostituendo alla guida del paese il rivale Partito della pace e della prosperità del Bhutan. Come avvenne nel 2008, queste elezioni hanno registrato un’affluenza di circa 390 mila votanti, su una popolazione di circa 740 mila persone, per lo più residenti in villaggi montani e impossibilitate a raggiungere i seggi a causa della scarsità di strade e mezzi di trasporto.
Mentre intraprendeva la strada del cambiamento, il Bhutan ha difeso con determinazione le proprie tradizioni culturali, a partire dalla religione di stato, il Buddhismo Mahayana di scuola Drukpa. La costituzione bhutanese promuove nell’articolo 9 “una società compassionevole radicata nell’etica buddhista” e negli articoli 3 e 4 difende l’eredità spirituale e la cultura del paese. Nel 2010 il governo ha introdotto alcune leggi che impediscono alla popolazione di cambiare religione. Tuttavia, è stata la decisione di introdurre un “Codice delle buone maniere”, imponendo a tutti i cittadini l’abbigliamento tradizionale buddhista, che ha incontrato una certa resistenza all’interno della popolazione, soprattutto fra le fasce d’età più giovani. Nonostante questa normativa, i giovani dei centri urbani continuano ad indossare un abbigliamento occidentale, senza conseguenze penali, ma subendo le accese critiche di monaci e funzionari, mentre i lavoratori del settore pubblico, qualora manifestino aperto dissenso al Codice delle buone maniere, rischiano sanzioni pecuniarie e il licenziamento. Il governo ha inoltre proibito la tv occidentale, giudicata non conforme alla tradizione. Il Bhutan mantiene dal 1972 un indicatore denominato “Felicità Nazionale Lorda”, che si ispira alla cultura buddhista, poiché considera lo sviluppo umano come un’interazione armonica con l’universo, non limitandosi a misurare i livelli di reddito e di consumo, ma tenendo conto dei valori etici e spirituali e dell’ambiente naturale.

Nonostante i profondi cambiamenti politici, il Bhutan rimane un paese relativamente isolato dalla comunità internazionale e privo di relazioni diplomatiche formali con i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, dai quali non riceve aiuti. Questo paese continua ad essere oggetto di contesa politica fra la Cina, che rivendica 269 kmq di territorio bhutanese, e l’India, che rifornisce il Bhutan di aiuti economici e ospita il principale mercato per le sue esportazioni.


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