L’ufficiale chiusura dei lavori per la conclusione del gasdotto South Stream, al di là dell’incredulità di alcuni Paesi europei e dei media occidentali, rivela uno scenario in realtà consequenziale alla contrarietà della Nato per l’ingresso della Russia nel progetto di allargamento dell’Unione Europea.
Le decisioni approvate durante i vertici di Praga e Copenaghen nel 2004, infatti, avevano ufficializzato l’ingresso di otto paesi dell’ex blocco sovietico con l’aggiunta di Malta e Cipro, ma escluso proprio Mosca dalle future strategie dell’Unione Europea.
Una delle motivazioni che hanno negli anni allontanato Mosca da Bruxelles riguarda proprio la contesa del mercato dell’energia, nel quale la Comunità europea ha voluto imporre fantomatici diktat che, secondo un modello vigente in altre aree geografiche in via di sviluppo, sancirebbero il controllo delle società europee del gas estratto dai giacimenti russi. Invece, il ruolo sempre più decisivo della Gazprom nello stesso settore dell’energia, coincidente l’insediamento di Vladimir Putin ed il rafforzamento della sua leadership nella Federazione Russa, ha di fatto vanificato tali velleità di Bruxelles.
Se l’ufficialità del blocco del South Stream ruotasse intorno alla normativa del Terzo Pacchetto Energia, che sancisce come estrazione, trasporto e vendita dell’energia non possono essere gestite da una sola compagnia, proprio le sanzioni contro Mosca spiegano il vero motivo del blocco del gasdotto e l’attuale crisi tra Russia ed Occidente.
La rinuncia al completamento dei lavori, ufficializzato dal Ministro per l’Energia russo, Alexander Novak, e dall’Amministratore di Gazprom, Alexei Miller, sancisce per Bruxelles la perdita di milioni di dollari per il mancato investimento in un settore così fondamentale. Gli Stati membri dovranno da questo momento ottemperare alla loro dipendenza energetica rivolgendosi ad un altro partner e pagando le spese legate al trasporto dell’energie a prescindere dall’area di provenienza.
L’istrionica politica estera dell’Unione Europea appare ancor più imbarazzante se analizzata nei meriti delle decisioni prese in osservanza della stessa normativa comunitaria in tema di antimonopolio e libera concorrenza.
Infatti, il South Stream nasce non solo da un progetto di Gazprom ma anche dall’Eni e dalla società per azioni Saipem collegata alla medesima multinazionale italiana. Mentre la Saipem perderà dal blocco dei lavori oltre due miliardi di dollari per la mancata posa delle tubature, le infrastrutture offshore del progetto, come l’Électricité de France, la tedesca Wintershall e la già citata Eni, insieme a quelle onshore, ossia la joint venture di cui fanno parte tutte le società nazionali dei Paesi di transito del gasdotto, verranno colpite dalla rinuncia russa a concludere il South Stream.
Se evitare la monopolizzazione del mercato dell’energia appare una normale procedura di funzionamento all’interno di un mercato comune, le dichiarazioni di Bruxelles che hanno etichettato la Gazprom come unica compagnia commerciante in esclusiva è un falso propinato per accrescere un’avversione nei confronti di Putin.
A palesare tutta l’inconcludenza politica della Comunità europea è inoltre la mancanza di una seria alternativa al gas russo. Dopo aver fallito lo scorso anno nel progetto del Nabucco, gasdotto voluto per sostituirsi proprio alle dipendenze di Mosca, l’Unione Europea si ritrova con un intero blocco di sanzioni contro la Russia che, paradossalmente, colpirà maggiormente le economie dei propri Paesi membri.
Escludendo un dialogo con l’Iran per questioni politiche, mentre invece Mosca ha da poco firmato con Teheran un accordo commerciale sullo scambio di petrolio iraniano per beni industriali russi ed accettato investimenti nel settore nucleare iraniano, le forniture provenienti dal Nord Africa o dal Golfo Persico sono insufficienti per il fabbisogno richiesto.
L’àncora di salvezza viene al momento confermata dalla Trans Adiatic Pipeline e dal Gasdotto Trans-Anatolico che, sempre Bruxelles, sta cercando di sponsorizzare con evidenti difficoltà nella regione dei Balcani.
La telefonata del Ministro russo Novak al Vicepresidente della Commissione Europea Maros Šefčovič, ha gettato quasi nella disperazione il neoeletto Governo bulgaro che, proprio per la costruzione del South Stream, aveva già siglato importanti accordi diplomatici con Ungheria ed Austria. Quest’ultima, si era addirittura decisa a sostenere gran parte dei costi della conclusione dei lavori del gasdotto.
Per la Bulgaria la conclusione del South Stream avrebbe significato futuri e longevi piani di cooperazione con Mosca sia nel settore energetico sia in quello della sicurezza militare, proprio come sta avvenendo in Serbia all’interno del progetto “Srem-2014”.
Oltre ai dieci milioni di Lev persi nel settore agricolo a causa delle sanzioni decise da Bruxelles, la Bulgaria si accinge a perdere tre miliardi di euro in investimenti e profitti derivanti dal transito del South Stream, seimila nuovi posti di lavoro, un piano strutturale vitale per la sua economia in stasi e la possibilità di divenire uno dei centri logistici più importanti per il Cremlino.
Sempre nel settore energetico, Sofia sarebbe diventata non solo la regione-gemella a quella baltica, che ospita il gasdotto North Stream per condurre energia in Germania e Polonia, ma avrebbe assunto una centralità geopolitica per l’intera regione con il ripristino del Belen Nuclear Power Point di Pleven ed il gasdotto Dzugba-Burgas-Alexandropoli, capace di far bypassare alla Russia aree geografiche come il Bosforo e il Dardanelli.
Mosca sembra non temere l’accerchiamento che l’Alleanza Atlantica ha deciso. Il suo schermo geopolitico incarnato da Stati come Moldavia e Bielorussia, che rappresentano quasi dei confini esterni alla Federazione, ha rafforzato la sua posizione all’interno del campo minato ucraino realizzato da Bruxelles e Washington. La scelta di orientare le proprie strategie verso la Turchia potrà consolidare ulteriormente il suo ruolo di leader in Eurasia insieme alla Repubblica Popolare Cinese.
L’ultimo incontro tra Putin e Erdoğan ha consentito ad Ankara, storica nemica di Sofia per i retaggi culturali legati alla dominazione ottomana, di divenire il perfetto sostituto energetico per l’intera area dell’Europa meridionale e di consolidare la posizione di Mosca nel Caucaso e nel Mar Nero. La firma sul contratto per la fornitura di gas russo alla Turchia appare secondaria rispetto ai risultati politici che la Russia potrà trarre prossimamente all’interno della regione.
Il piano di Putin rimane fermo nell’idea di costruire un South Stream ma con un percorso alternativo rispetto a quello precedente. Ciò indurrà la Russia a rifornire la Turchia del 20% della sua energia, che si aggira intorno ai sessantatré miliardi di metri cubi di metano, mentre la restante parte verrà ricondotta nuovamente nei Balcani.
Il nuovo percorso del gasdotto permetterà alla Russia non solo di superare lo stallo imposto dalle sanzioni di Bruxelles ma, fattore ancora più importante, di aggirare Paesi ostili come Romania ed Ucraina e regimi politici definiti «non sovrani» come quello bulgaro.
Sicuro della dipendenza energetica dell’Unione Europea, il gas ricondotto nei Balcani dalla Turchia rappresenterà un risultato geopolitico non indifferente. La Russia, superando lo stallo delle sanzioni, avrà l’occasione di sostituire Francia e Germania nel ruolo di Paese strategico per la regione balcanica; i vari processi di avvicinamento a Bruxelles di alcuni Paesi, come ad esempio la Serbia, potrebbero perciò ridisegnare una nuova sconfitta per l’Unione Europea a vantaggio dell’ “Orso russo”.
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