L’effetto del riscaldamento globale ha nella regione polare la sua maggiore evidenza. La riduzione della superficie ghiacciata potrebbe rendere navigabile il Passaggio a Nord Ovest e la rotta verso il Nord Est. Questo ha ingenerato un contenzioso sulla territorialità dell’Artico fra Stati Uniti, Russia, Canada, Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia e Svezia. L’annessione dello spazio artico garantirebbe ai contendenti un aumento dell’estensione dei confini statuali e lo sfruttamento delle risorse naturali, e questi sono i passaggi fondamentali per aumentare la propria influenza a livello globale.
La giurisprudenza delimita la regione artica in quella che circonda il Polo Nord ivi compreso l’Oceano Artico, le estreme propaggini della Groenlandia e dei territori continentali euroasiatici ed americani. Convenzionalmente il limite dello spazio artico viene indicato nell’area dell’isoterma dei 10° rilevato nel mese di luglio. La regione gode del regime di internazionalità decretato dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare, ma il trattato non è stato ratificato dagli Stati Uniti, che sostengono ferventemente la libertà di navigazione. La mancata adesione degli USA, di fatto sancisce l’assenza di regolamentazioni internazionali in materia forense. Nel 1966 venne inaugurato il Consiglio Artico, i cui membri sono gli attuali contendenti, allo scopo di promuovere una politica ambientale artica, ma l’unico riferimento normativo rimane la Convenzione dell’ONU, senza il placet statunitense, che disegna una zona economica esclusiva, ZEE, di 200 miglia dalla costa dello Stato rivierasco, su cui quest’ultimo può estendere la propria sovranità e sfruttare le risorse naturali. È possibile una ulteriore estensione pari a 150 miglia, laddove lo Stato interessato dimostri alle Nazioni Unite che il margine continentale della sua piattaforma si prolunga oltre le 200 miglia. Tutti gli Stati artici hanno inoltrato, o sono in procinto di farlo, la richiesta di estensione dei propri confini.
L’American Geological Survey stima che sul fondale artico sia presente una quantità pari al 25% delle attuali riserve mondiali di petrolio e gas naturale. In termini numerici questo si traduce in 90 miliardi di barili di petrolio, ed il 30% della produzione mondiale di gas, pari a circa 1.700 miliardi di piedi cubi. Le maggiori concentrazioni delle riserve naturali sono nel Mare di Kara e di Barents. L’Artico è ricco di nichel, rame e platino, ma anche di risorse ittiche che si attestano al 15% del valore mondiale. Sono queste le cause scatenanti al controllo della regione polare con un acutizzarsi delle relazioni internazionali. La componente del commercio ittico è la concausa del confronto geopolitico fra gli attori principali, ma anche la possibilità di poter usufruire di una nuova rotta che congiungerebbe l’Atlantico al Pacifico, con un notevole vantaggio temporale rispetto all’attraversamento del Canale di Panama. In base alle osservazioni della NASA, oltre al Passaggio a Nord Ovest, in un futuro prossimo, lo scioglimento dei ghiacci favorirebbe un’altra rotta verso Nord Est e questo significherebbe la congiunzione del Mare di Laptev, a nord della Siberia, con l’Oceano Pacifico, ossia un collegamento rapido verso i porti asiatici di Cina e Giappone; in pratica la distanza fra Yokohama ed Amburgo sarebbe ridotta di circa 5.000 miglia nautiche e garantirebbe la certezza di non essere attaccati dai pirati, una delle principali minacce globali al trasporto marittimo. Le prospettive di percorribilità di queste rotte potrebbero essere però inficiate dalle condizioni climatiche: infatti è possibile che anche durante l’estate possano non essere libere dai ghiacci. Per ovviare a tale criticità si renderebbe necessario il rinforzo dello scafo delle navi. L’ipotesi implica una maggiore spesa per gli armatori, non solo a livello tecnico ma anche assicurativo; non è da escludere che le tariffe contro le coperture dei rischi possano lievitare sensibilmente in considerazione della perigliosità delle rotte dell’estremo Nord.
Lo scenario geopolitico che si sta delineando nello spazio artico non è di semplice ed immediata intuizione. La Russia sembra essere in vantaggio sugli altri competitori in quanto dispone di due componenti fondamentali: la migliore flotta rompighiaccio e la presenza numericamente più importante di abitanti nell’area contesa. Di fatto questo le garantirebbe una più semplice percorribilità delle rotte artiche ed una manodopera già abituata al clima severo. La Russia sta tentando di recuperare lo status di superpotenza basandosi anche sulle immense risorse energetiche di cui dispone, ma queste sono in esaurimento e dunque la necessità di garantirsi un monopolio energetico ha spinto la sua leadership verso il Polo Nord, tracciando una politica artica per tutto il 2020. Infatti l’Artico sostiene gli interessi vitali della Russia con il 60% della produzione di petrolio, il 95% dei metalli del gruppo del platino ed il 95% del gas naturale. Cifre che rappresentano il 15% del PIL russo. Gli Stati Uniti sostengono il diritto alla libertà di navigazione e questo atteggiamento ha provocato una frizione con il Canada, che considera il Passaggio a Nord Ovest come parte integrante delle sue acque interne. Unitamente alla Russia, l’obiettivo è quello di implementare le risorse naturali nazionali, infatti la BP World Energy Survey ha stimato in dieci anni l’esaurimento delle riserve petrolifere statunitensi. Questo problema fa dell’accesso ai giacimenti artici, una questione primaria per l’Amministrazione USA, ma la mancata ratifica della risoluzione dell’ONU sul diritto del mare, potrebbe essere motivo di svantaggio sui competitori. Infatti, causa l’assenza di un rappresentante in sede di commissione delle Nazioni Unite, gli Stati Uniti non possono confutare le posizioni dei Paesi Membri. Come atto dimostrativo, l’Amministrazione Obama ha dato il via libera alla ripresa delle perforazioni della Shell nell’Artico alla ricerca di idrocarburi al largo delle coste dell’Alaska. Per effettuare le prospezioni il colosso dell’energia sta spostando verso nord le enormi strutture per le perforazioni offshore. Il Canada rivendica il diritto di sovranità sul Polo Nord, ma i mezzi a disposizione del paese nord-americano non sono paragonabili a quelli dei due attori principali, pertanto il Governo canadese, per affermare la propria presenza nell’area, ha scelto sia la strada delle esplorazioni scientifiche quanto quella giuridica, dove ha avanzato una soluzione all’ONU per dimostrare che la dorsale di Lomonosov, facente parte del proprio zoccolo continentale, collega il territorio del Canada al Polo Nord, e dunque le dà diritto di sovranità sull’Artico. Le pretese della Danimarca traggono origine dalla Groenlandia, la cui popolazione ha però espresso il volere di indipendenza dalla governance danese. Tale soluzione garantirebbe alla Danimarca una notevole riduzione delle spese statali, sia in materia economica che di difesa, ma fletterebbe notevolmente il diritto di rivendicazione sui territori artici ed inoltre registrerebbe una diminuzione degli introiti del settore ittico e sulle riserve di acqua dolce, di cui la Groenlandia è ricchissima. Come il Canada anche la Danimarca ha implementato le spedizioni esplorative sostenendo un esborso finanziario a favore della Geological Survey of Danmark and Greenland, sempre nel tentativo di inserirsi nel contesto dei grandi esportatori di energia. La Norvegia ha nelle isole Svalbard l’unico possedimento artico, ma rimane un player agguerrito in quanto la produzione di greggio vale il 25% del PIL ed il 50% delle esportazioni. Infatti, è in piena produzione il giacimento artico norvegese, mentre la centrale di Snohvit estrae il gas naturale per l’esportazione sul mercato europeo ed americano. Un impatto rilevante sull’economia della Norvegia è segnato dal settore ittico, che lo promuove ad uno dei grandi produttori a livello globale. L’Italia non può essere inserita tra i candidati principali al controllo dello spazio artico, ma mantiene lo status di osservatore, essendo stata accolta come singolo Paese e non con il ruolo di membro della UE. L’Unione Europea ha, infatti, nel Canada, Stati Uniti e Russia degli attivi oppositori, dove l’oggetto del contendere riguarda il veto europeo sulla commercializzazione delle pelli di foca. L’Italia trova però una sua collocazione come paese dedicato alle ricerche scientifiche e per le eccellenze tecniche rappresentate dall’ENI e Finmeccanica, aziende che collaborano soprattutto con la Russia: L’ENI ha una partnership con la russa Rosneft sulle prospezioni artiche, e la Finmeccanica è appaltatrice per la produzione delle navi rompighiaccio.
L’egemonia su un territorio viene esercitata anche con la deterrenza delle armi. Il Canada ha istituito una formazione militare specializzata nel combattimento in ambienti estremi e sono stati dislocati a Resolute Bay, a 600 chilometri dal Polo Nord. A nord-est dell’isola di Ellesmere, il Canada ha installato una centrale di ascolto per monitorare le trasmissioni russe inerenti ai movimenti aerei, marittimi e terrestri. Una postazione analoga è basata a Leitrim, nelle vicinanze di Ottawa, ma quest’ultima è specializzata nell’intercettazione delle comunicazioni satellitari. La Danimarca mantiene costantemente unità di superficie nell’Artico, con compiti di controllo e negazione delle acque territoriali. Inoltre sta sviluppando la componente navale con l’acquisizione di fregate, corvette e pattugliatori. L’apparato di superficie è protetto dall’aviazione, i cui piloti sono ben addestrati ad operazioni marittime. La Norvegia ha ammodernato la sua flotta con unità Aegis, a cui si sono aggiunte sei Surface Effect Ships con capacità stealth e dall’elevata velocità, e nel 2016 varerà una unità di superficie per la raccolta dati elettronici che sembra essere la più avanzata al mondo. La Marina Militare finlandese, il 27 aprile 2015, ha ottenuto un grande successo sulla Russia dimostrando una buona capacità di reazione: la rete di sorveglianza subacquea della Finlandia ha dapprima rilevato un contatto sommerso nelle proprie acque territoriali, poi, a seguito di un secondo contatto, ha inviato unità di superficie della Marina Militare e della Guardia Costiera, allo scopo di dissuadere l’intruso a permanere nell’area antistante Helsinki. Il battello sommerso è stato costretto ad abbandonare la zona con l’ausilio del dispositivo MSS, progettato per esplodere a circa 3 metri sotto la superficie, e creare un suono udibile a due miglia di distanza dagli equipaggi dei sommergibili. Per gli Stati Uniti, gli scenari che si potrebbero prefigurare sono inquadrati nella sicurezza nazionale, infatti il sistema di difesa all’estremo nord è volto a garanzia dell’integrità territoriale. Pertanto diventa necessaria una rivisitazione degli schemi navali per operare in ambienti estremi ed ostili, e migliorare il sistema di difesa antimissilistico. Gli Stati Uniti hanno dislocato in Alaska una notevole forza di interdizione, composta principalmente da quasi 25.000 militari, supportati da velivoli da combattimento ed unità della Guardia Costiera. Inoltre, sull’isola di Shemya è impiantato il radar Cobra Dane facente parte dello scudo missilistico, ed a Fort Greely sono schierati i missili intercettori Patriot. In Groenlandia, la base NATO di Thule è parte integrante del sistema antimissilistico, in quanto collega i centri di comando e controllo della California alle forze navali dell’Oceano Pacifico e del Sud-Est Asiatico. Da Thule vengono inviati i comandi operativi alla rete satellitare statunitense, stimata ad oltre 140 unità posizionate in orbite variabili dalle 120 alle 24.000 miglia. Fra questi anche i 90 dedicati esclusivamente alla sorveglianza del territorio russo, che viene sorvolato circa 20.000 volte l’anno. Nelle acque artiche sono in costante navigazione unità Aegis, con capacità di intervento sulle frontiere marittime russe, e sommergibili strategici a propulsione nucleare. Il controllo di un’area passa anche attraverso una efficiente catena di comando che non può essere tale senza un efficace sistema di comunicazione: gli Stati Uniti hanno messo a punto il Mobile User Objective System, MUOS, costituito da quattro terminali terrestri collegati con una rete di satelliti geostazionari. Questo garantisce alla Marina Militare statunitense una connessione con le unità in navigazione nel Mar Glaciale Artico. La funzionalità del MUOS è stata testata nell’addestramento Ice Exercise 2014. L’ICEX 14 ha avuto come protagonisti il Comando delle forze subacquee del COMSUBFOR, ed i tecnici della Lockheed Martin, l’Azienda realizzatrice del MUOS. Sono stati trasmessi una notevole quantità di dati con una connessione protetta e stabile nella regione artica in circa 150 ore di attività. Sostanzialmente, si è verificato uno scambio di informazioni dall’Ice Camp Nautilus, a circa 100 chilometri dalla Prudhoe Bay in Alaska, con i sottomarini USS New Mexico, classe Virginia, e USS Hampton, classe Los Angeles, in navigazione sotto il ghiaccio artico e rischierati nel Submarine Artic Warfare Program. Il programma addestrativo prevedeva prove di emersione, l’attracco e la sosta nella banchisa polare. In questo periodo il MUOS ha operato per l’Ice Camp Nautilus, le cui antenne ed i sistemi tecnologici avanzati hanno garantito la supervisione e le comunicazioni fra le unità sommerse ed il centro di comando e controllo. ICEX 14 ha permesso di monitorare e mettere a punto non solo le comunicazioni, ma anche i sistemi di combattimento e di navigazione in modo realistico dei sottomarini strategici a propulsione nucleare, mezzo fondamentale per l’interdizione marittima e particolarmente adatti ad operare in ambienti ostili ad alta conflittualità. Infatti le condizioni climatiche avverse possono inficiare le operazioni di identificazione in immersione, il lancio dei siluri e le funzioni del sonar a causa della specificità dei profili della propagazione delle onde sonore che possono risultare imprevedibili. I satelliti statunitensi sorvolano l’artico ogni 30 minuti, con una media di circa 17.000 passaggi annui, e sono coadiuvati da velivoli senza pilota configurati per la raccolta dati. La questione artica è per la Russia una priorità geopolitica, ne è la dimostrazione l’ammodernamento dell’apparato militare. Il dispiegamento difensivo ha nelle basi aeronavali nella Terra di Francesco Giuseppe e nelle Isole della Nuova Siberia la sua testa di ponte. Queste saranno implementate con due brigate artiche che dovrebbero essere operative nel 2017: il gruppo Artico Nord sarà composto da formazioni di fanteria meccanizzata schierate nella regione di Murmansk e nel distretto di Jamal-Nenets. Il reggimento da guerra elettronica della Flotta del Nord è di stanza ad Alakurtti. La difesa aerea è per il momento affidata al sistema d’arma Pantsir, ma probabilmente subirà una revisione a favore di SAM più moderni. Dal 1° dicembre 2014, è attivo il Comando Strategico per l’Artico, inquadrato nella Flotta Settentrionale, ma con l’ambizione di renderlo indipendente dopo l’accorpamento di una divisione della Difesa Aerea. Gli aeroporti regionali sono tutti in fase di ammodernamento, ed al termine dei lavori dovrebbero essere 13 quelli pienamente operativi. In particolare quello di Tiksi assumerà una posizione strategica. Questi sono una unione di altri tre aerodromi minori che, al tempo della Guerra Fredda, ospitavano i bombardieri a lungo raggio. Nei progetti russi, Tiksi tornerà a rivivere gli antichi fasti e vi saranno rischierati anche gli intercettori MIG-31. I droni, oramai assorti a sistema d’arma fondamentale per la difesa, saranno basati ad Anadyr, ed un reggimento di SAM S-400 sarà di base nella penisole di Kola, nella Kamchatka e nell’arcipelago di Novaja Zemla. L’attenzione alla questione artica ha avuto conferma nell’improvvisa esercitazione ordinata da Putin. Le manovre straordinarie si prefiggevano la verifica della capacità della Flotta del Nord nel garantire la sicurezza militare russa nell’Artico. Alle esercitazioni hanno preso parte 38.000 militari, 41 unità di superficie, 15 sommergibili e 110 tra aeromobili ad ala fissa ed elicotteri, oltre a paracadutisti e reparti del distretto militare occidentale. Fra i velivoli erano coinvolti anche i bombardieri, nome in codice “Orso-H”, che trasportano armi nucleari. Infatti, la base russa dei bombardieri strategici Tupolev 95 Bear-H nella regione di Amur, era in stato di allerta per partecipare alle manovre nel distretto militare orientale. La flotta subacquea russa è numericamente inferiore rispetto a quella statunitense, ma gli ultimi battelli entrati in servizio sembrano vantare una silenziosità maggiore se parago
nata a quella degli avversari, e questo dovrebbe riequilibrare le forze in campo.
Gli interessi geopolitici intorno all’Artico sembrano acuirsi notevolmente, forse anche a causa del contrasto sulle vicende ucraine. Resta valido un arbitrato dell’Onu che possa appianare le contese ed evitare un innalzamento del livello di scontro, ma anche trivellazioni non concordate che potrebbero peggiorare le condizioni ambientali dell’Artico.
Antonio Mazzeo, “Il MUOS per ipermilitarizzare e depredare l’Artico”. Mosaico di Pace, 2014
Romaric Thomas, “Artico, questione di sicurezza nazionale della Russia”. Aurora, 2014
Tatiana Santi, “La geopolitica dell’Artico”. La voce della Russia, 2014
Duncan D. Quartz, “Come la Russia potrebbe annettere l’artico”. Defense One, 2015
Dario Gentile, “Geopolitica dei ghiacci”. Osservatorio dell’Istituto di Studi Militari Marittimi, 2009
Fabio Ragno, “Russia: un comando per le forze aeree dell’Artico”. Analisi Difesa
James Bamford, “Frozen Assest”. Foreign Policy
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