Il 20 febbraio, quando a Codogno è stato accertato il paziente positivo al Covid-19, l’Italia, nonostante l’abnegazione del personale socio-sanitario, si è fatta trovare impreparata. A colpi di DPCM si sono imposti alla popolazione delle pesantissime restrizioni alle libertà costituzionalmente garantite. I cittadini sono rimasti disorientati da un sistema d’informazione che è passato da un’iniziale sottovalutazione del problema, ad una campagna mediatica di terrorismo psicologico accompagnata da un impressionante bollettino quotidiano di morti per coronavirus. Gli italiani travolti da un susseguirsi di decreti ed ordinanze spesso confuse e contraddittorie e spaventati a morte da un virus sconosciuto hanno dato prova di maturità rispettando, nella stragrande maggioranza dei casi, i divieti imposti. Disgraziatamente i conflitti tra Stato e Regioni e il ritardo nei pagamenti dei ristori e degli ammortizzatori sociali hanno acuito una crisi già grave di suo. Entrati da poco nella “fase 2” pian pianino si sta cercando di tornare ad una pseudonormalità. Purtroppo le norme sulle riaperture risultano difficilmente applicabili, in particolar modo per i piccoli imprenditori e le partite IVA; oltretutto rischiano di aumentare il divario con gli altri Paesi europei meno colpiti dal virus. Fortunatamente, dopo molte resistenze, è arrivata un’apertura da parte dell’UE che dovrebbe assegnarci circa cento miliardi di euro a fondo perduto per l’economia verde e per la digitalizzazione. Bisogna solo sperare che il numero dei contagi continui a scendere, altrimenti una impennata delle infezioni potrebbe essere devastante per un Paese fragile come il nostro.

Che cos’è il nuovo coronavirus: origini e sviluppi

Alla fine di dicembre 2019, le autorità cinesi di sanità pubblica hanno segnalato, quasi certamente con un notevole ritardo, diversi casi di sindrome respiratoria acuta a eziologia ignota nella città di Wuhan, provincia di Hubei in Cina. La maggior parte dei casi aveva un legame epidemiologico con il mercato all’ingrosso di frutti di mare e animali vivi nel sud della Cina. Ciononostante il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e, in Italia, il governatore del Veneto Luca Zaia sono ancora convinti che il virus sia nato in un laboratorio a Wuhan.

Gli scienziati cinesi hanno identificato un nuovo coronavirus come principale agente causale. Il virus viene chiamato sindrome respiratoria acuta grave-coronavirus 2 (SARS-CoV-2). Viene resa pubblica la sequenza genomica; si tratta di un nuovo ceppo di coronavirus (che a febbraio verrà denominato ufficialmente COVID-19) mai identificato prima nell’uomo[1].

Mike Ryan, capo del programma di emergenze sanitarie dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) dichiara che bisogna essere cauti prima di parlare di possibile pandemia, poiché la percentuale di contagi al di fuori della Cina e della provincia di Hubei è molto ridotta, oltretutto, quasi tutti hanno un collegamento con la Cina.

Uno studio del Centro cinese per il controllo e la prevenzione delle malattie (CCDC) indica che l’80,9% delle infezioni è classificato come lieve, il 13,8% come grave e solo il 4,7% è critico. Il numero di morti tra le persone infette rimane basso. Tra queste la stragrande maggioranza è concentrata tra gli over 80[2].

Nel frattempo il ministro della Salute Roberto Speranza riunisce una task force per coordinare gli interventi sul nuovo coronavirus nel nostro Paese nonostante il Governo ritenga ancora bassa la probabilità di introduzione del virus nell’Unione Europea. Il 23 gennaio il presidente del consiglio Giuseppe Conte nel corso di una conferenza stampa annuncia che due turisti cinesi, originari della provincia di Wuhan, sono ricoverati in isolamento all’ospedale Spallanzani della Capitale. Il Governo proclama l’emergenza sanitaria nazionale per sei mesi e decide di sospendere i voli aerei da e per la Cina. In realtà, già tra fine dicembre e metà gennaio in Lombardia venivano segnalati un numero crescente di polmoniti anomale. Settimane in cui il virus ha circolato indisturbato, principalmente negli ospedali. Nonostante tutto ciò, non scatta il piano antipandemia governativa del 2016[3]. Addirittura il 5 gennaio esce una circolare del Ministero della salute in cui si segnalala che l’OMS raccomanda di evitare qualsiasi restrizioni ai viaggi di natura commerciale e turistica con la Cina.

Gli errori italiani nella gestione della crisi

Fermo restando che tutti i Paesi sono stati colti di sorpresa, e che nessuno avrebbe potuto immaginare un’epidemia di questa portata, bisognerebbe ricordare che in tempi relativamente recenti l’allarme mondiale era scattato nel 2001 per la cosiddetta “mucca pazza” poi nel 2003 per l’epidemia della SARS, (acronimo di Sindrome acuta respiratoria grave), nel 2005 l’aviaria, nel 2009 in Cina la cosiddetta “influenza suina” e infine l’epidemia della MERS nel 2012. Inoltre, durante questa emergenza sanitaria si è detto tutto ed il contrario di tutto. Chi, come il virologo Roberto Burioni[4] si è dimostrato quasi fin da subito allarmista, chi, come il direttore responsabile di Macrobiologia clinica, virologia e diagnostica dell’ospedale Sacco di Milano Maria Rita Gismondo, ha considerato il Covid-19 alla stregua di una banale influenza.  Chi sosteneva l’importanza dei tamponi e chi puntava sui test sierologici o terapia a base di plasma, chi diceva che si moriva per e chi con il coronavirus e così via. È indubbio che molti scienziati durante questa crisi sono caduti nella trappola della sovraesposizione mediatica, generando quella che la stessa OMS definisce un’infodemia[5], con il risultato di rendere difficile identificare una soluzione e diffondere disinformazione. A volte si ha avuto l’impressione di “dibattiti da bar” fatto da interviste, annunci social e titoloni sui quotidiani. Tutto questo ha originato confusione e sfiducia tra le persone finendo per dare l’opportunità ai detrattori della scienza di puntare il dito contro lo “scientismo”. Ciò che ha pesato maggiormente nella gestione della crisi iniziale, nonostante l’incredibile abnegazione del personale socio-sanitario, è stato principalmente – causa   una trentina di miliardi di tagli alla sanità pubblica negli ultimi 10 anni – la mancanza di posti letto in terapia intensiva e di apparecchiature sanitarie per affrontare l’emergenza.

Il governo italiano indi, con nove DPCM (decreto del consiglio dei ministri) e sei versioni di autocertificazione (che fortunatamente dal 3 giugno scompariranno) non ha fatto altro che gettare il Paese nell’incertezza. Eppure i governatori di Regione e i sindaci dei Comuni più colpiti avevano prontamente avvisato che la situazione era fuori controllo e che sarebbero servite misure eccezionali. Ma non siamo la Cina, e un’economia liberale necessita, inevitabilmente, di un certo consenso da parte dei cittadini per poter prendere decisioni così impopolari. Tuttavia, si sono susseguiti troppi passaggi prima di decidere la chiusura delle attività; per non parlare delle le bozze trapelate prima di essere pubblicate, provocando così la fuga di migliaia di persone dal nord al sud (la parte meno colpita dal virus) dell’Italia per paura di restare bloccati. Per quanto riguarda la comunicazione, a dir poco disastrosa, sostanzialmente è stata delegata, per paura di assumersi direttamente la responsabilità delle scelte, alla comunità scientifica.

La verità è che sono saltate fasi importantissimi del piano, in primis la fase della preallerta. Oltre a mancare l’azione di sorveglianza nei confronti degli operatori sanitari che si occupavano di casi sospetti di contagio e i relativi contatti, si è ritardato parecchio nel reperire dispositivi di protezione individuale. Inoltre, si sarebbero dovuti monitorare gli accessi ai pronto soccorso, nelle case di riposo e nelle RSA, definire le procedure per una sorveglianza sui luoghi di lavoro, spostare i famigliari positivi dalle proprie abitazioni e tanto altro ancora. In sostanza si sono persi 40 giorni. Probabilmente sarebbe andata anche peggio se un medico non avesse avuto l’intuizione di effettuare un tampone al cosiddetto paziente uno, un trentottenne sportivo, senza malattie pregresse ricoverato in terapia intensiva all’ospedale di Codogno e risultato poi positivo. Con ogni probabilità, la Covid-19 circolava in Italia già da settimane senza che nessuno se ne fosse accorto, scambiata per un’influenza o portata in giro da persone asintomatiche.

Ecco quindi emergere il nodo dei posti in terapia intensiva. Prima dell’inizio della Pandemia in Italia c’erano 5179 posti di terapia intensiva tra servizio pubblico e quello privato[6]. In media, ogni anno circa la metà dei posti sono occupati da pazienti affetti da patologie diverse da quelle riconducibili o simili al Covid 19; quindi 8,58 posti di terapia intensiva ogni 100 mila abitanti. Otto anni fa in Italia i posti di terapia intensiva erano 12,5 ogni 100 mila abitanti contro i 29,2 della Germania e i 21,8 dell’Austria[7]. D’altronde nel 2016, stando agli ultimi dati ISTAT disponibili, la Germania destinava alla Sanità il 165% di fondi pubblici in più di noi (con il 35% in più di abitanti), la Francia il 90% in più (con il 9,8% in più di abitanti) e la Gran Bretagna il 66% in più (con l’8% in più di abitanti). In pratica mentre noi spendevamo 1.844 euro ad abitante, la Francia ne spendeva 3.201, la Germania 3.605 e la Gran Bretagna 2.857[8]. L’Italia si attesta sotto la media, sia per la spesa sanitaria totale sia per quella pubblica, precedendo solo i paesi dell’Europa orientale oltre a Spagna, Portogallo e Grecia. Alla Sanità sono state destinate meno risorse di quelle programmate. I fondi promessi rispetto al fabbisogno e non dati sono: 8 miliardi decisi dal governo Monti (Finanziarie 2012 e 2013); 8,4 decisi dal governo Letta (Finanziaria 2014); 16,6 decisi dal governo Renzi (Finanziarie 2015, 2016 e 2017); 3,1 decisi dal governo Gentiloni (Finanziaria 2018) e 0,6 decisi dal governo Conte (Finanziaria 2019). In totale 10 miliardi, un taglio dello 0,4% del Pil in 10 anni[9].

Nel 2007 – si legge nell’annuario Statistico di quell’anno – l’assistenza ospedaliera si è avvalsa di 1.197 istituti di cura, 55% pubblici e 45% privati accreditati. A livello nazionale sono disponibili 4,3 posti letto ogni 1.000 abitanti[10]. Al di là dei tagli, negli ultimi anni, si era già deciso di ridurre il numero di ospedali e posti letto, soprattutto nel pubblico, aumentando la quota del privato convenzionato che, però, non fornisce gli stessi servizi (come i posti di terapia intensiva). Inoltre, da allora il numero di posti letto per malati acuti, si è quasi dimezzato e il numero dei medici che esercitano negli ospedali pubblici e in qualità di medici di famiglia è in calo. In generale, quindi, i tagli alla Sanità hanno portato una riduzione del numero degli addetti sanitari soprattutto nel pubblico.

Come se non bastasse, nei giorni in cui l’intera Lombardia diveniva “zona rossa”, oltre all’allarmismo generalizzato, circolavano immagini degli scaffali completamente vuoti. La conseguenza è stata il superaffollamento dei supermercati[11].

Per non parlare della gaffe di Christine Lagarde, (salvo poi scusarsi) che ci è costata centinaia di miliardi di euro di capitali bruciati in Borsa, o degli abituali egoismi dei Paesi membri, con la sceneggiata delle mascherine sequestrate in aeroporto, il tira e molla sulla possibilità di sforare e a quali condizioni, il debito pubblico e molto altro ancora). Cittadini segregati in casa quando un terzo dell’area più contagiata del Paese – la Lombardia – ha continuato a lavorare in condizioni di insicurezza totale. Incomprensibile pure la logica della trasmissione dei dati: un giorno si parla di contagiati, un altro di morti, un altro ancora di guariti, in seguito di ospedali stracolmi e personale sanitario contagiato. Di fronte a tale confusione si contrappone, paradossalmente, un rispetto delle regole dovuto, non tanto al rischio di venir sanzionati ma quanto alla paura, spesso irrazionale del contagio. Il timore di venir additato come irresponsabili e possibili untori da cittadini fomentati dalle autorità, dopo che quest’ultime per mesi hanno stigmatizzato i runner, le passeggiate e perfino i genitori che giocavano in strada (visto che i parchi erano tutti chiusi) con i loro bambini[12]. La realtà è che governanti e amministratori non hanno avuto il coraggio di prendere delle decisioni nette e hanno preferito puntare sul senso di colpa, sulla vergogna sociale o, più verosimilmente, sulle ordinanze a breve scadenza, in modo da abituare progressivamente la gente alle nuove restrizioni. Ordinanze e decreti che più che a contenere il contagio sono state utilizzate per prevenire il dissenso.

Ancora peggio ha fatto L’OMS dichiarando che non ci sono evidenze che indossare una mascherina da parte di una persona sana e che, in definitiva, “le mascherine mediche andrebbero riservate agli operatori sanitari” tanto più che “il loro uso da parte della popolazione potrebbe creare un falso senso di sicurezza”[13]. Sui tamponi, ad esempio, Walter Ricciardi, membro del Comitato esecutivo dell’OMS, sosteneva fino a poco tempo fa che i tamponi agli asintomatici non servivano. Più ragionevoli appaiono le dichiarazioni di Gianni Rezza, direttore del Dipartimento di Malattie infettive dell’Istituto Superiore di Sanità. Per l’infettivologo la misura principale resta il distanziamento sociale, la mascherina va utilizzata in un luogo chiuso qualora non sia possibile mantenere una distanza di sicurezza. Del resto se si fosse imposto l’uso obbligatorio del dispositivo sarebbero state necessarie 40 milioni di mascherine al giorno; impossibile visto che l’Italia e l’Europa hanno smesso di produrle una ventina di anni fa.

Chiusure, ordinanze, decreti: la storia dei limiti imposti dal Covid-19

Il 30 gennaio 2020, L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha dichiarato emergenza sanitaria pubblica di interesse internazionale l’epidemia di coronavirus in Cina. Il giorno seguente il Governo italiano, dopo i primi provvedimenti cautelativi adottati a partire dal 22 gennaio, ha proclamato lo stato di emergenza e messo in atto le prime misure contenimento del contagio sull’intero territorio nazionale. Trascorse tre settimane di calma apparente da Palazzo Chigi è partita una raffica di provvedimenti. Nel “Testo coordinato delle ordinanze di protezione civile” del 24 marzo il costituzionalista Sabino Cassese e il giornalista Andrea Stella hanno acutamente osservato che 123.103 parole contenute nel documento, siano tredici volte più di quelle dell’intera Costituzione italiana del 1947. È curioso come nel 1742 Ludovico Muratori, nel terzo capitolo di Dei difetti della giurisprudenza, affermava: “Quanto più di parole talvolta si adopera in distendere una legge, tanto più scura essa può divenire”.

Al di là dell’aspetto formale una questione importante è la questione giuridica. il DPCM è un atto amministrativo che – come tale – non ha forza di legge, avente come finalità quella di dare attuazione a disposizioni legislative. Si tratta dello strumento cui il Presidente del Consiglio ha maggiormente fatto ricorso per far fronte all’emergenza coronavirus, in ragione della più celere e immediata modalità di approvazione. Tuttavia, mentre il decreto legge viene assoggettato all’approvazione delle due Camere, alla promulgazione del Presidente della Repubblica ed eventuale parere da parte della Corte Costituzionale) l’atto amministrativo il DPCM sfugge a qualsiasi controllo da parte del potere pubblico e costituzionale, se non quello della possibile impugnazione innanzi al giudice amministrativo. Di fatto i decreti del Presidente del Consiglio finiscono per diventare atti sostanzialmente insindacabili, pertanto, diritti e libertà fondamentali dei cittadini, come la libertà personale la libertà di circolazione e la libertà d’iniziativa economica possono subire limitazioni, in una situazione eccezionale come quella che stiamo vivendo, soccombendo rispetto al superiore interesse alla tutela della salute pubblica sarebbe stato bene coinvolgere maggiormente, tenendo presente la necessità di agire tempestivamente, – magari informalmente quando le camere erano chiuse –  il Parlamento e specialmente le opposizioni.

Nel frattempo gli italiani hanno iniziato a familiarizzare con nuovi acronimi come DPCM (decreto del presidente del consiglio), DL (decreto legge), con l’OPC (ordinanza della protezione civile) seguite a ruota da ordinanze regionali e comunali. Dal 31 gennaio al 24 marzo, si sono susseguiti 5 decreti legge 5 DPCM, diversi decreti del Ministero dell’economia, dei trasporti e della salute, una quantità incredibile di Ordinanze della protezione civile, oltre a una sfilza di ordinanze comunali regionali, per non parlare di circolari, direttive, interpretazioni e chi più ne ha più ne metta. Basti pensare che dal 21 febbraio al 9 marzo, contando solo i provvedimenti del Governo, le misure di contenimento e di sostegno a famiglie, lavoratori e imprese, sono ben 17, 4 i decreti legge, di cui uno convertito in legge in meno di due settimane (legge n. 13 del 5 marzo 2020). Con il Dl n. 6 gli italiani hanno iniziato a toccare con mano la quarantena e fare i conti con divieti e restrizioni. Un elenco di regole, dettate innanzitutto dalla mancanza di fiducia nei confronti degli italiani, astruse e sempre più minuziose, al punto da diventare difficilmente applicabili. La conseguenza è che hanno consegnato nelle mani delle forze dell’ordine (che ne avrebbero fatto volentieri a meno) una discrezionalità senza precedenti nella storia repubblicana[14].

Come se non bastasse, alcune Regioni, a volte prima ancora che uscissero il DPCM di turno, anticipavano le loro ordinanze regionali che in alcuni aspetti entravano in contrasto con le linee guida decise a livello nazionale. Il Governo correva ai ripari pubblicando il 25 sulla Gazzetta un documento in cui nell’articolo 3, comma 1 si stabiliva la prevalenza dei DPCM rispetto le ordinanze. Si è lasciata la facoltà alle Regioni di prendere decisioni più restrittive in caso di “situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario verificatesi nel loro territorio o in una parte di esso”. Mantenendosi però “esclusivamente nell’ambito delle attività di loro competenza e senza incidere nelle attività produttive e di quelle di rilevanza strategica per l’economia nazionale”[15]. In ogni caso, le ordinanze regionali sono valide fino a quando non viene adottato un nuovo DPCM.

Il Dl 19/2020 è risultato ancora più netto nei confronti dei Comuni. L’articolo 3, comma 2 stabilisce: “I sindaci non possono adottare, a pena di inefficacia, ordinanze dirette a fronteggiare l’emergenza in contrasto con le misure statali. Ma alle preoccupazioni dei governatori sulla tenuta degli ospedali si sono sommate le tattiche dei partiti e di conseguenza i contrasti politici. Finalmente la sera del 3 aprile dal vertice in videoconferenza il premier Giuseppe Conte annuncia la decisione di una cabina di regia con lo scopo di appianare i contrasti. Alla fine nonostante i contrasti si siano sostanzialmente ricomposti, Governo e Regioni hanno perso credibilità. L’ultima cosa che l’Italia avrebbe dovuto permettersi in un periodo di emergenza sanitaria nazionale in cui la popolazione provata da lutti e perdite economiche da una parte e dall’altra stufa della quarantena. Ad ogni modo questa inverosimile produzione normativa dimostra quanto fosse impreparata l’Italia e mette in evidenza il panico che ha colto le Istituzioni italiane. Sarebbero bastate meno regole e più indicazioni chiare per evitare il caos e molti contrasti tra Stato, Regioni e Comuni. Alcune disposizioni spesso frutto di interpretazioni discutibili da parte delle forze dell’ordine, hanno contribuito ad intasare i centralini delle Protezioni civili e delle caserme dei carabinieri da parte di cittadini che chiedevano chiarimenti in merito ad una babele di norme e divieti a dir poco ambigui.

Quanto alle ordinanze comunali, il divieto di andare in contrasto con i provvedimenti statali è netto solo in teoria. Lo ha dimostrato l’ondivaga vicenda del sì alle passeggiate con i bambini: dopo l’apertura messa per iscritto in una circolare dal capo di gabinetto della ministra dell’Interno, la pioggia di critiche da parte di governatori e sindaci ha costretto il Governo a una sostanziale retromarcia[16]. D’altra parte, se è vero che i sindaci non possono contraddire le norme nazionali, nel caso delle passeggiate con i bambini non ce n’era una che le autorizzasse esplicitamente, ma solo una circolare interpretativa che, come tale, non è vincolante[17].

Da un punto di vista economico, dopo una serie di trattative in sede europea per ridiscutere il rapporto deficit/Pil, è arrivato a stretto giro il Dl n. 9 che ha sospeso versamenti di tasse, bollette e contributi. Tutti i pagamenti in sostanza che non rientravano nel Dm economia che dal 21 febbraio al 31 marzo ha bloccato i versamenti fiscali. Il decreto legge ha anche riscritto tutto il calendario fiscale della dichiarazione dei redditi di 41 milioni di contribuenti, ed avviato la Cassa integrazione in deroga (che molti lavoratori stanno ancora aspettando non solo alle imprese dei comuni focolai ma allargando le maglie dell’intervento di sostegno al reddito alle tre regioni più colpite (Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna).

L’ultimo in ordine di apparizione è quello del 9 marzo con cui il Governo ha dichiarato abbandonate le aree colorate e le zone numerate e ha dichiarato l’Italia Protetta. Stesse restrizioni e stessi obblighi di contenimento, non si capisce su quali basi scientifiche, dal Brennero a Lampedusa, nessuno escluso. Scuole e università chiuse e per tutti e stop a tutti i campionati di qualsiasi sport[18].

Dal 23febbraio scorso sono arrivati uno dietro l’altro, quasi tutti di domenica ben 5 DPCM con cui il presidente del Consiglio ha via via modificato i divieti in relazione al diffondersi dell’epidemia e della relativa emergenza. Con quello dell’8 marzo tutti gli altri DPCM sono stati cancellati generando confusione, soprattutto sugli spostamenti tra zone rosse, gialle, arancioni, poi diventate Zona 1 e Zona 2.

L’11 marzo esce il DPCM più duro, che fissa la chiusura di tutte le attività economiche, produttive e commerciali ritenute non indispensabili. Undici giorni dopo marzo viene emanato una proroga   fino al 3 aprile. Il 1° aprile nuova proroga del DPCM fino 13 aprile.

Il 10 aprile nuovo DPCM in cui si disciplinano le limitazioni alle attività con codice Ateco che sono ammesse, le deroghe con comunicazione al Prefetto (il così detto “silenzio-assenso”), le prime aperture di cartolerie, librerie e negozi di vestiti per bambini. Mancando personale per gestire sia le pratiche che i controlli non sapremo mai se le attività in deroga avessero rispettato i requisiti di sicurezza previsti.

La fase 2

Con una certa dose di retorica il premier Giuseppe Conte il 26 aprile annuncia in conferenza stampa, (con il parere contrario della maggior parte della comunità scientifica, fino a quel momento ascoltata senza batter ciglio) che grazie ai sacrifici degli Italiani la situazione riguardo i contagi è migliorata notevolmente; quindi dal 4 maggio e per le successive due settimane inizia per tutti la fase di convivenza con il virus.

In questo nuovo decreto troviamo ancora una volta un corollario di regole, spesso di difficile applicazione. Per quanto riguarda gli spostamenti, sono resi possibili all’interno di una stessa Regione per motivi di lavoro, di salute, necessità o visita ai parenti; gli spostamenti fuori Regione sono  consentiti per motivi di lavoro, di salute, di urgenza e per il rientro presso propria abitazione. Obbligatorio l’utilizzo delle mascherine sui mezzi pubblici. Consentito l’accesso ai parchi pubblici rispettando la distanza e regolando gli ingressi alle aree gioco per bambini, fermo restando la possibilità da parte dei Sindaci di precludere l’ingresso qualora non sia possibile far rispettare le norme di sicurezza. Per quanto riguarda le cerimonie religiose, sono consentiti i funerali, cui potranno partecipare i parenti di primo e secondo grado per un massimo 15 persone.

Previste regole più stringenti per chi ha febbre sopra i 37.5 gradi e sintomatologie respiratoria:

Per quanto riguarda le attività di ristorazione, oltre alla consegna a domicilio, viene permesso il ritiro del pasto da consumare a casa o in ufficio.

A partire dal 4 maggio sono riprese le attività manifatturiere, di costruzioni, di intermediazione immobiliare e il commercio all’ingrosso e le sessioni di allenamento a porte chiuse degli atleti di sport individuali.

Per quanto riguarda il sostegno a famiglie, lavoratori e imprese, il Presidente ha ricordato che tra gennaio e marzo l’INPS ha accolto 109.000 domande in più di reddito e pensione di cittadinanza, 78.000 domande per il bonus baby-sitting e 273.000 per quanto riguarda i congedi straordinari per le famiglie. Inoltre al momento sono stati liquidati quasi 3,5 milioni di richieste per il bonus da €600 per autonomi, professionisti, co.co.co, agricoli e lavoratori dello spettacolo, per un totale di 11 milioni di domande calcolando anche quelle per la cassa integrazione[19].

Il 15 maggio 2020 Consiglio dei Ministri finalmente amplia i poteri delle Regioni nella gestione dell’epidemia. Si stabilisce che a partire dal 18 maggio 2020, gli spostamenti delle persone all’interno del territorio della stessa Regione non saranno soggetti ad alcuna limitazione. Lo Stato o le Regioni, potranno adottare o reiterare misure limitative della circolazione all’interno del territorio regionale relativamente a specifiche aree interessate da un particolare aggravamento della situazione epidemiologica.

Fino al 2 giugno 2020 restano vietati gli spostamenti, con mezzi di trasporto pubblici e privati, in una Regione diversa rispetto a quella in cui attualmente ci si trova, così come quelli da e per l’estero, salvo che per comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza o per motivi di salute; resta in ogni caso consentito il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza.

A decorrere dal 3 giugno 2020, gli spostamenti tra regioni diverse potranno essere limitati solo con provvedimenti statali in relazione a specifiche aree del territorio nazionale, secondo principi di adeguatezza e proporzionalità al rischio epidemiologico effettivamente presente in dette aree.

Tali norme varranno anche per gli spostamenti da e per l’estero, che potranno essere limitati solo con provvedimenti statali anche in relazione a specifici Stati e territori, secondo principi di adeguatezza e proporzionalità al rischio epidemiologico e nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea e degli obblighi internazionali.

Resta vietato, l’assembramento di persone in luoghi pubblici o aperti al pubblico.

Le funzioni religiose con la partecipazione di persone si svolgono nel rispetto dei protocolli sottoscritti dal Governo e dalle rispettive confessioni, contenenti le misure idonee a prevenire il rischio di contagio.

Per quanto concerne le attività economiche, produttive e sociali, esse devono svolgersi nel rispetto dei contenuti di protocolli o linee guida, idonei a prevenire o ridurre il rischio di contagio nel settore di riferimento o in ambiti analoghi, adottati dalle regioni o dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome, nel rispetto dei principi contenuti nei protocolli o nelle linee guida nazionali. In assenza di quelli regionali trovano applicazione i protocolli o le linee guida adottati a livello nazionale.

Per garantire lo svolgimento in condizioni di sicurezza delle attività economiche, produttive e sociali, le regioni monitoreranno con cadenza giornaliera l’andamento della situazione epidemiologica nei propri territori e, in relazione a tale andamento, le condizioni di adeguatezza del sistema sanitario regionale. I dati del monitoraggio sono comunicati giornalmente dalle Regioni al Ministero della salute, all’Istituto superiore di sanità e al Comitato tecnico-scientifico.

In relazione all’andamento della situazione epidemiologica sul territorio, la singola Regione, informando contestualmente il Ministro della salute, potrà introdurre misure derogatorie, ampliative o restrittive, rispetto a quelle disposte a livello statale.

Inoltre, il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per gli affari regionali e le autonomie Francesco Boccia, dopo averle esaminate ha deliberato di non impugnare nove leggi delle Regioni e delle Province autonome che sembravano in contrasto con i decreti governativi precedenti.

La situazione dell’emergenza Covid-19 negli altri Paesi

Durante l’emergenza più acuta del nuovo coronavirus, la narrazione portata avanti da molti organi d’informazione, politici ed “esperti” italiani si è focalizzata sostanzialmente due cose: la prima sull’importanza del chiudersi in casa; la seconda sul fatto che l’Italia rappresenta un esempio, che tutti i governi, chi prima e chi poi, stanno seguendo sulla strada del lockdown con chiusura di scuole, fabbriche, uffici, luoghi pubblici e norme severe di distanziamento sociale (che il governo italiano ha  interpretato come isolamento sociale). Al contrario, i Paesi non allineati, come la Svezia vengono additati come irresponsabili. In realtà, le situazioni dei vari paesi non sono paragonabili, perché sono diversi i sistemi sanitari, le risorse, la demografia, le fonti giuridiche, i territori e i numeri del contagio. Tuttavia, certe regole adottate all’estero non dipendono solo dai livelli di contagio o dalle abitudini di un Paese, quanto piuttosto da una diversa interpretazione di ciò che è salutare da ciò che non lo è durante questa emergenza sanitaria.

In Germania, dove le misure di contenimento sono scattate il 16 marzo, non si è mai proibito di frequentare gli spazi pubblici anche se da soli, insieme ai propri conviventi o in compagnia di un’altra persona. I mercati rionali e molte attività produttive sono rimaste aperte.

La Francia è l’unico Stato che ha adottato un documento simile all’autocertificazione italiana. Il modulo però non è mai cambiato. Anche qui permesse le uscite per passeggiate e attività fisica, purché da soli o in compagnia del proprio nucleo familiare, ma solo per un’ora al giorno e in un raggio di un chilometro.

Nel Regno Unito, che inizialmente aveva sottovalutato la gravità della situazione, si è vietato incontrarsi in luoghi pubblici in più di due persone, a meno che non si sia conviventi. Ai funerali possono assistere i parenti più prossimi.

 In Svezia il governo più che affidarsi a leggi o decreti che regolino il distanziamento sociale si è affidato a dare consigli specifici agli ultrasettantenni al lavoro agile da casa, alla didattica a distanza e al senso di responsabilità dei cittadini. Chi non sta bene o presenta sintomi, è invitato a restare a casa e a non recarsi a scuola o sul posto di lavoro. Inoltre, il Ministero della salute ha sottolineato che l’attività fisica e lo sport portano dei benefici per la salute pubblica e pertanto, pur regolate per ridurre al minimo il rischio di contagio, queste attività devono continuare.

Anche in Belgio ed in Olanda l’esercizio all’aperto è stato permesso e raccomandato, insieme ai propri conviventi o al massimo con un’altra persona. Le uscite con la famiglia sono permesse.

Per quanto riguarda i divieti la situazione spagnola è la più vicina a quella italiana. Con la differenza che là non ci sono documenti o autocertificazioni da portare con sé (eccetto nella Catalogna) e che ci sono provvedimenti diversi per ciascuna comunità autonoma.

 Negli Stati Uniti d’America, tralasciando le uscite infelici di Trump, ogni Stato membro ha preso provvedimenti normativi diversi[20].

Come si evince, quindi, il “modello Italia”, eccezion fatta per la Spagna, non ha spopolato nel mondo. Molte aziende e negozi sono rimasti aperte in sicurezza, senza che divampasse l’epidemia e Il divieto di passeggiata e jogging come è stato imposto in Italia non si è riscontrato quasi da nessuna parte. Del resto la stessa OMS a cui quando fa comodo si fa riferimento, a sostenere che passeggiare e muoversi all’aperto aiuta a combattere l’epidemia[21]. Non vi è traccia dello stigma sociale, che ha caratterizzato la cosiddetta fase uno, per chiunque prenda una boccata d’aria.

Conclusioni

Il Covid-19 rappresenta la pandemia influenzale più devastante dell’ultimo secolo dopo la spagnola del 1918. I numeri dei morti è destinato fisiologicamente ad aumentare, non ci sono ancora farmaci considerati efficaci al 100% e il vaccino non si sa ancora quando sarà pronto né se sarà efficace (visto che i virus ingenerale tendono a mutare).

Quello che è sicuro è che nel corso del 2020 aumenterà la disoccupazione, il PIL scenderà del nove per cento, molti negozi non riapriranno più ed aumenteranno le diseguaglianze sociali ed economiche nel nostro Paese.

Fortunatamente dopo molte resistenze prende vita un vero Recovery Fund grazie all’accordo raggiunto lunedì 18 maggio da Angela Merkel e Emmanuel Macron. L’importo dell’emissione è di 500 miliardi, all’Italia spetterà circa il 20% che potrà spenderli per le “priorità economiche europee, vale a dire Green deal e digitalizzazione. Non si sa ancora se saranno vincolati anche a riforme di ammodernamento dell’economia. I titoli, infatti, saranno emessi dalla Commissione e il rimborso graverà sul bilancio comunitario che, è bene ricordarlo, viene alimentato in larghissima parte dai singoli Paesi colpiti dal Covid-19. I Paesi che riceveranno questi soldi in aiuto li avranno a fondo perduto (quindi non dovranno rimborsarli). In questo modo, non peseranno sui debiti.

Il Recovery Fund si affianca al SURE (il fondo per rafforzare gli ammortizzatori sociali dei singoli paesi), al nuovo MES per le spese sanitarie, e al programma di finanziamento della Bce.

Ciò che invece non sappiamo sono le conseguenze psicologiche post covid. I maltrattamenti in famiglia, le separazioni ed i divorzi, i disagi provati dalle persone più fragili come i soggetti con disabilità, sono ancora tutte da valutare.

SITOGRAFIA

http://www.governo.it/node/14518

http://www.salute.gov.it/portale/nuovocoronaviru%20dettaglioNotizieNuovoCoronavirus.jsplingua=%20italiano&menu=notizie&p=dalministero&id=4015

http://www.salute.gov.it/portale/nuovocoronavirus/dettaglioNotizieNuovoCoronavirus.jsp?lingua=italiano&menu=notizie&p=dalministero&id=4077

https://www.corriere.it/cronache/20_marzo_28/coronavirus-piano-anti-pandemia-che-l-italia-non-ha-seguito-26d66968-7106-11ea-a7a2-3889c819a91b.shtml

https://www.ilgiornale.it/news/cronache/mascherina-sola-non-basta-proteggere-coronavirus-1851244.html

https://www.ilsole24ore.com/art/coronavirus-provvedimenti-pioggia-media-al-giorno-AdjpVHC?refresh_ce=1

https://www.ilsole24ore.com/art/perche-regioni-e-comuni-possono-emanare-divieti-piu-restrittivi-dello-stato-ADQvt7H

https://www.wumingfoundation.com/giap/2020/03/modello-italia-coronavirus/

BIBLIOGRAFIA

Affinito D., Coronavirus in Italia: i tagli al Servizio sanitario nazionale, chi li ha fatti e perché. In «Corriere della sera», 31/03/2010.

Annuario Statistico del Servizio Sanitario Nazionale Assetto organizzativo, attività e fattori produttivi del SSN anno 2017.


NOTE

[1]     http://www.salute.gov.it/portale/nuovocoronavirus%20dettaglioNotizieNuovoCoronavirus.jsplingua=%20italiano&menu=notizie&p=dalministero&id=4015.

[2]     http://www.salute.gov.it/portale/nuovocoronavirus/dettaglioNotizieNuovoCoronavirus.jsp?lingua=italiano&menu=notizie&p=dalministero&id=4077.

[3]     Nel documento si legge che se l’infezione avesse la capacità di trasmettersi da uomo a uomo renderebbe particolarmente problematico il controllo della diffusione del virus a causa della «maggiore mobilità della popolazione a livello mondiale e la maggior velocità dei mezzi di trasporto». E dunque sarebbe indispensabile “preparare in anticipo le strategie di risposta alla eventuale pandemia, tenendo conto che tale preparazione deve considerare tempi e modi della risposta”. Cfr. https://www.corriere.it/cronache/20_marzo_28/coronavirus-piano-anti-pandemia-che-l-italia-non-ha-seguito-26d66968-7106-11ea-a7a2-3889c819a91b.shtml.

[4]     Dall’inizio della pandemia ospite fisso alla trasmissione televisiva “Che tempo che fa” di Fabio Fazio.

[5]     Secondo la definizione dell’OMS, l’infodemia è “una quantità eccessiva di informazioni su un problema”.

[6]     Cfr. Annuario Statistico del Servizio Sanitario Nazionale Assetto organizzativo, attività e fattori produttivi del SSN anno 2017. Direzione Generale della Digitalizzazione del Sistema Informativo Sanitario e della Statistica Ufficio di Statistica.

[7]     Ibidem.

[8]     Cfr. l’articolo di Domenico Affinito: Coronavirus in Italia: i tagli al Servizio sanitario nazionale, chi li ha fatti e perché. «Corriere della sera», 31/03/2010.

[9]     Secondo i calcoli della Ragioneria dello Stato, tra il 2009 e il 2017 la sanità pubblica nazionale ha perso oltre 8.000 medici e più di 13 mila infermieri. Cfr. https://www.corriere.it/dataroom-milena-gabanelli/covid-19-tagli-servizio-sanitario-nazionale-chi-li-ha-fatti-perche/b18749f6-736d-11ea-bc49-338bb9c7b205-va.shtml.

[10]   Cfr. Annuario Statistico del Servizio Sanitario Nazionale Assetto organizzativo, attività e fattori produttivi del SSN anno 2007. Direzione Generale della Digitalizzazione del Sistema Informativo Sanitario e della Statistica Ufficio di Statistica.

[11]   Tra le poche attività economiche che durante l’emergenza probabilmente ci hanno anche guadagnato.

[12]   Emblematici i casi del governatore dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini e della Lombardia Attilio Fontana i quali hanno criticato in diretta TV chi fa le corsette o chi passeggia tranquillamente quando gli ospedali sono pieni di gente intubata. Come se ci fosse un nesso tra chi sta all’aria aperta, a distanza di sicurezza, ed il coronavirus.

[13]   Cfr. l’articolo di Francesco Curridori pubblicato sul «Giornale» il 07/04/2020. https://www.ilgiornale.it/news/cronache/mascherina-sola-non-basta-proteggere-coronavirus-1851244.html.

[14]   D’altronde quando si viene criminalizzati per il semplice fatto di uscire a prendere una boccata d’aria le forze di polizia si sentono autorizzate a sanzionare senza pensarci due volte.

[15]   https://www.ilsole24ore.com/art/perche-regioni-e-comuni-possono-emanare-divieti-piu-restrittivi-dello-stato-ADQvt7H.

[16]   Ibidem.

[17]   D’altra parte, se è vero che i sindaci non possono contraddire le norme nazionali, nel caso delle passeggiate con i bambini non ce n’era una che le autorizzasse esplicitamente, ma solo una circolare interpretativa che, come tale, non può essere vincolante1.

[18]  Nel profluvio di regole e istruzioni si aggiungono anche le circolari della Funzione pubblica sul lavoro domestico nella pubblica amministrazione e quella dell’Interno sugli spostamenti dalla zona 1 alla zona 2.  Quello sulla giustizia sospensione dell’attività giudiziaria che blocca udienze e processi fino al 22 aprile e diluisce fino al 31 maggio l’attività delle differenti attività da quella civile a quella penale, da quella amministrativa a quella contabile, senza escludere il contenzioso tributario e la giustizia militare. Il quarto decreto legge sul coronavirus lunedì 9 marzo è approdato in Gazzetta ufficiale fissando le regole per l’assunzione di 20 mila unità tra medici e infermieri, autorizzando in deroga l’acquisto di presidi e attrezzature per sostenere l’emergenza continua nelle strutture sanitarie. Cfr..https://www.ilsole24ore.com/art/coronavirus-provvedimenti-pioggia-media-al-giorno-AdjpVHC?refresh_ce=1

[19]   http://www.governo.it/node/14518. Sorvolando sui ritardi da parte dell’ INPS che ovviamente non poteva liquidare in tempi brevi un carico di domande mai visto prima, la maggior parte dei lavoratori stanno ancora aspettando la cassa integrazione in deroga. Proprio a causa dei ritardi, dovuti ad un complesso meccanismo che coinvolge le Regioni dall’11 maggio il Governo ha trasferito la competenza direttamente all’Istituto di previdenza, il quale dovrebbe disporre l’anticipazione del 40% delle ore autorizzate entro 15 giorni da quando la riceve.

[20]   https://www.wumingfoundation.com/giap/2020/03/modello-italia-coronavirus/.

[21]   Salvo aggiungere subito dopo: in osservanza delle norme locali.


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