Con circa il 52,4 % dei voti Erdoğan ha dunque prevalso – senza bisogno di ballottaggio – diventando il primo Presidente dopo la riforma che accorpa nella stessa figura Presidente della Repubblica e Capo del Governo; parimenti nelle elezioni del Parlamento si è registrata la vittoria delle forze che sostenevano Erdoğan: l’alleanza composta da AKP e MHP ha conquistato circa il 53,5 % dei suffragi conquistando la maggioranza dei seggi, e questo nonostante il successo del filocurdo HDP che ha superato la soglia di sbarramento del 10 % impedendo nelle provincie orientali la conquista da parte dell’AKP di altri seggi. Ricordiamo infatti che se il partito di Demirtaş fosse rimasto sotto il 10 % nazionale sarebbe stato l’AKP – generalmente al secondo posto nelle dieci provincie conquistate dall’HDP – a incamerare anche quei seggi.
La commissione elettorale sancirà i risultati definitivi il 5 luglio, ma certamente si può fin d’ora osservare che:
- l’alta percentuale di votanti (87 %) conferma la diffusa sensibilità dei turchi per la competizione elettorale e un consistente grado di partecipazione alla vita politica, ancora lontano dal disincanto vissuto in molti Paesi europei;
- il voto conferma e anzi rafforza in senso favorevole a Erdoğan la situazione del 2014 (anno della prima elezione del Presidente della Repubblica a suffragio popolare), allorchè Erdoğan vinse con il 51,79 % di fronte al 38,44 % del candidato del CHP İhsanoğlu e al 9,76 % del candidato dell’HDP Demirtaş; oggi il confermato Presidente ha (in attesa del responso della commissione) il 52,38 % contro il 30,79 del candidato del CHP Ince, l’8,32 % di Demirtaş e il 7,42 % della “Lady di Ferro” Akşener (gli altri due concorrenti sono al di sotto dell’1 %);
- Per quanto riguarda le elezioni della Grande Assemblea Nazionale l’AKP registra invece – rispetto all’ultima tornata elettorale, novembre 2015 – una diminuzione di consensi, dal 49,50 % al 42,28 %: forse un prevedibile assestamento dopo quell’exploit. Il CHP segna un po’ il passo (dal 25,32 % al 22,79 %), mentre tiene molto bene l’MHP (da 11,90 % a 11,20 %), considerata la grave scissione interna che ha dato vita all’occidentalista Iyi Partisi, capace a sua volta di conseguire un lusinghiero 10,14 %; buon risultato anche dell’HDP, che come detto supera (con l’11,53 %) la soglia del 10 %, come già fece tre anni fa; la coalizione di maggioranza AKP/MHP subisce nel complesso una perdita di voti, anche se a livello di seggi la supremazia rimane netta (340 contro 260 ?)
- Per effetto del loro inserimento nelle due coalizioni esistenti (si veda il precedente articolo https://www.eurasia-rivista.com/24-giugno-turchia-al-voto/ ) dovrebbero conseguire una rappresentanza parlamentare anche l’SP (con tre seggi), il DP e il BBP (entrambi con un seggio).
Il Guardian di questi giorni ha rappresentato la vittoria di Erdoğan come “inizio di un’età oscura”, La Stampa ha sottolineato che “gli uomini forti si schierano con Erdoğan” , citando Orban, Putin, Rohani, il Presidente azero Aliyev, Abu Mazen. Due commenti che sono rappresentativi della genericità degli organi di informazione occidentali, restii ad un’analisi e ad un’interpretazione non pregiudiziale del mondo politico turco; così assieme ai primi risultati è stata subito data grande enfasi a presunti e immancabili “brogli” (poi piuttosto ridimensionati, anche per il signorile riconoscimento dell’affermazione di Erdoğan fatto da Ince): una linea di pensiero che in molti opinionisti occidentali tradisce un’avversione ideologica consolidata alla Turchia e all’Islam.
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