Fonte: Asia Times Online

L’Asia Centrale è giunta ad un punto di svolta lo scorso fine settimana, ben lungi dalla storia di Gengis Khan a cavallo per conquistare il mondo, poiché ha cercato peacekeepers provenienti dall’Europa. La Russia, che ha fornito sicurezza alla regione nel corso dell’ultimo secolo e oltre, si sta mettendo da parte – incapace o nolente, e possibilmente non più in grado di portare avanti quel ruolo.

La decisione storica di coinvolgere i mantenitori della pace europei è stata presa sabato (17 luglio) nel corso di una riunione di uomini di stato provenienti da 56 paesi tenutasi ad Almaty, a breve distanza dal confine cinese. Pechino non era tra i partecipanti e non si è ancora espressa a riguardo, ma guarderà con sopracciglia sollevate l’apparire di “diavoli stranieri sulla Via della Seta”, in un momento in cui il suo stesso profilo regionale si sta intensificando.

Anche Mosca è inusitatamente riservata rispetto al drammatico cambio di rotta nella politica regionale nel suo “estero vicino”. La Russia accoglie gli intrusi o lascia che il risentimento cresca, considerato che non può far molto rispetto al loro arrivo per ora? Nemmeno il fatto che i peacekeepers europei stiano giungendo in Asia Centrale sullo sfondo della sempre più prossima fine dei giochi in Afghanistan può passare inosservato.

Da qualsiasi di questi punti di vista, il sostegno annunciato dai ministri stranieri dell’Organizzazione per la Cooperazione e la Sicurezza in Europa (OCSE) per l’invio di una forza di polizia internazionale in Kirghizistan  in seguito  ai sanguinosi scontri etnici del mese scorso è un segnale di immenso valore politico e diplomatico.

Tecnicamente parlando, l’OCSE sta rispondendo a una richiesta del governo kyrghizo. Eppure l’idea era stata originariamente dibattuta dagli Stati Uniti e dai principali paesi europei. L’assise di Almaty ha annuito in principio per l’invio di un piccolo ma forte contingente di 52 uomini in Kirghizistan  “velocemente” cui far seguire 50 ufficiali poco dopo, inizialmente con un incarico di quattro mesi estendibile nella regioni meridionali kyrghize di Osh e Jalalabad, lacerate dalla violenza. Si attende che il consiglio permanente dell’OCSE prenda una decisione formale sul dispiegamento a Vienna giovedì.

Senza sorpresa, il governo kyrghizo, che ha futilmente cercato l’intervento militare russo per ripristinare l’ordine nell’Osh e nel Jalalabad, è palesemente entusiasta della decisione dell’OCSE. Il capo del governo kyrghizo, il Presidente Roza Otunbayeva ha affermato: “Compiremo questo passo perché la stabilità non è ancora stata ripristinata al punto in cui un normale funzionamento delle due comunità [kyrghizi e uzbeki] possa accadere.”

La Otunbayeva ha affermato che le forze dell’OCSE avranno tre funzioni: monitorare, consigliare e addestrare. Ha aggiunto che c’è stata una seria minaccia di ulteriore destabilizzazione con lo scioglimento dei ghiacciai nei Pamiri, soprattutto nella regione di Batkent, che costituisce un percorso per i militanti islamisti e i trafficanti di droga dall’Afghanistan.

Il presidente del Kazakhstan, Nurusultan Nazarbayev,che attualmente presiede l’OCSE, ha avvertito alla riunione di Almaty: “La fragile stabilità in Kirghizistan  potrebbe crollare in qualsiasi momento.” Ciononostante, non è chiaro fino a che punto e quanto diligentemente il Kazakhstan abbia giocato un ruolo in questa decisione dell’OCSE. Con tutta probabilità, è piegato sotto la pressione occidentale.

Nelle ultime settimane sono giunte violente critiche dai portavoci occidentali sul fatto che il Kazakhstan fosse privo di entusiasmo rispetto a un’effettiva risposta dell’OCSE alla crisi kyrghiza e che stesse di fatto argomentando contro qualsiasi intervento internazionale.

I critici occidentali hanno additato Nazarbayev personalmente per aver fallito nella guida dell’OCSE. Hanno suggerito che “il Kazakhstan si è comportato più come un alleato della Russia nei confronti del Kirghizistan  che come il presidente di turno dell’OCSE.” La tattica della pressione ha finalmente funzionato.

Anche la diplomazia statunitense sembra aver opposto l’Uzbekistan contro il Kazakhstan – due rivali regionali che si contendono la leadership – adulando Tashkent e ritraendo la leadership uzbeka come assai collaborativa e matura nella sua risposta alla crisi kirghiza in confronto a Nazarbayev e, pertanto, più meritevole delle sue credenziali auto-modellate di paese chiave della regione.

Plausibilmente, Washington ora potrebbe ricambiare acconsentendo alla proposta di Nazarbayev di ospitare un summit dell’OCSE durante la sua presidenza in Kazakhstan. L’ultimo summit dell’OCSE si tenne nel 1999.

La mossa dell’OCSE mette in primo piano le linee di faglia sviluppatesi nel grande gioco centrasiatico. Nessuna delle due organizzazioni per la sicurezza regionale – l’Organizzazione del Trattato per la Sicurezza Collettiva guidata da Mosca (CSTO) e l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai guidata da Pechino (SCO) – se l’è cavata bene nel rispondere alla crisi kirghiza. Detto chiaramente, sembrano simulatori.

Il tracollo per l’integrazione regionale è stato piuttosto negativo. Il Kirghizistan  si è avvicinato molto agli USA; tra gli Stati Uniti e l’Uzbekistan si è sviluppata una nuova prossimità che potrebbe fiorire in una cooperazione strategica; e il Kazakhstan è scivolato da una posizione poco entusiasta verso un aperto sostegno nei confronti dell’intervento occidentale in Kirghizistan .

Ciò lascia la Russia in una zona grigia. Avendo espresso la propria inabilità ad intervenire nella crisi kyrghiza e non essendo riuscita a mobilitare un intervento da parte del CSTO – ma nel frattempo gridando “al lupo” circa violenti islamisti e la mafia della droga che minacciano la sicurezza regionale – Mosca non può ora opporsi frontalmente alla mossa dell’OCSE. Qualsiasi negativismo di questo tipo potrebbe apparire sgarbato. Né, forse, vuole adottare una posizione ostruzionista.

È nel miglior spirito del continuo “resettare” con gli Stati Uniti che la Russia desiste dal fare ostruzionismo (sebbene nutra qualche riserva) nei confronti dell’iniziativa OCSE degli USA che Washington sta ostentando quale bell’esempio della relazione di lavoro USA-Russia finalizzato a stabilizzare l’Asia Centrale.

Ciò che incuriosisce è che anche gli Stati Uniti e i paesi europei sono su una pista parallela, conducendo vigorosamente l’appello per un’indagine internazionale sulla violenza etnica in Kirghizistan . La Russia non si è espressa sulla necessità di un’investigazione, mentre gli Stati Uniti insistono a tal proposito.

La settimana scorsa, il ministro degli esteri francese Bernard Kouchner ha affermato in seguito ad una missione d’inchiesta congiunta con il suo omologo tedesco a Osh: “Vorremmo sapere chi sono i gruppi che hanno provocato questi incidenti. Questi incidenti e animosità risalgono a molto tempo fa, ma in questo caso ci sono state chiaramente provocazioni e vogliamo saperne di più. Pertanto sosteniamo questa proposta per l’istituzione di una commissione d’indagine internazionale.”

Infatti, sembra esservi qualche “piano occulto” dietro l’appello all’indagine internazionale. Curiosamente, l’Uzbekistan ha dibattuto l’idea all’origine – e Tashkent compie le proprie mosse regionali soltanto in modo posato. I ministri esteri dell’OCSE hanno approvato l’idea ad Almaty.

Il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha affermato che la reazione dell’OCSE alla situazione kyrghiza ha dimostrato l’abilità dell’organizzazione “nel rispondere rapidamente alle crisi. Riconosciamo sia l’immediata reazione dimostrata dal Kazakhstan quale presidente dell’OCSE, sia il fatto che il consiglio permanente dell’OCSE ha provato la propria abilità nel raggiungere un consenso.”

Il Kazakhstan, alleato numero uno della Russia nella regione, ha reagito entusiasta. Il ministro degli Esteri Kanat Saudabayev ha difeso vivacemente la decisione dell’OCSE di intervenire. “L’attuale difficile situazione in Kirghizistan  avrebbe potuto avere un effetto altamente destabilizzante non soltanto sull’Asia Centrale, ma anche ben oltre i suoi confini”, ha affermato. “Ecco perché abbiamo bisogno di un immediato consolidamento degli sforzi internazionali per fornire la cooperazione più ampia possibile con la Repubblica kyrghiza, utilizzando il pieno potenziale e l’esperienza dell’OCSE.”

Diversamente dai propri omologhi di Francia e Germania, presenti ad Almaty, Lavrov non si è dilungato sulla notevole questione di come la prospettiva di una forza internazionale diversa dalla CSTO ad assumere un ruolo di sicurezza in Asia Centrale sia vista da Mosca.

Ora, dove si pone la CSTO in tutto questo? Presumibilmente, l’OCSE sarà chiamata a bilanciare i propri interessi con la CSTO, che sta già inviando attrezzature e fondi alle forze di sicurezza kyrghize. Finora, gli Stati Uniti hanno indietreggiato all’idea di formare una rete di cooperazione con la CSTO, come richiesto in maniera persistente da Mosca. Lo spirito del “reset” impone un ripensamento a questo proposito. La CSTO comprende l’Armenia, la Bielorussia, il Kazakhstan, il Kyrgyzstan, la Russia e il Tajikistan.

Ancor più importante, che ne è della SCO? La Cina non è membro né dell’OCSE né della CSTO. La realtà geopolitica è tale per cui da un lato il Kirghizistan  incide sulla sicurezza dello Xinjiang, mentre, e dall’altro, l’OCSE in arrivo nella regione di confine con la Cina è un Leviatano – benché da ora letargico – che comprende 56 Stati partecipanti reclutati da tre continenti la cui popolazione totale supera il miliardo di persone. Chiaramente, l’OCSE ha bisogno di raggiungere la CSTO e la SCO. Se ciò accade, la stabilità regionale sarà rinforzata. La SCO comprende la Cina, il Kazakhstan, il Kyrgyzstan, la Russia, il Tajikistan e l’Uzbekistan.

Ma viviamo in un mondo reale. Non è chiaro in che direzione si stia evolvendo il pensiero degli Stati Uniti. Come ha scritto recentemente Stephen Minikes, un ex ambasciatore statunitense dell’OCSE, c’è un perfetto caso di “reset” USA-Russia sull’OCSE. Minikes sostiene che:

Al tempo degli inizi dell’OCSE nel 1975, il mondo era bipolare. Oggi è multipolare. La Russia è diventata un balance-shifter, non un oppositore. Gli Stati Uniti devono coltivare questo cambiamento. Quando la Russia e gli USA sono dalla stessa parte, tutto è possibile. In un mondo bipolare, era “noi” contro “loro”. Ora è “occidentale” contro “altri” valori. Gli USA e la Russia dovrebbero concordare su tanti di questi valori quanti sono possibili.

In ogni caso, gli Stati Uniti saranno anche inclini ad utilizzare l’OCSE per ricollocarsi in Asia Centrale. Gli USA si trovano già in una posizione assai più fiduciosa rispetto alla continuità della loro base aerea a Manas in Kyrgyzstan, che è stata perennemente sotto la “minaccia” russa e cinese.

Ancora, il consolidamento della dimensione eurasiatica dell’OCSE va oltre una questione di “valori” occidentali. Sta iniziando una nuova narrazione nella natura di un legame istituzionale tra la comunità transatlantica e l’Asia Centrale.

Ma allora, anche i cinesi, gli indiani e i persiani vivono nei paraggi dell’Asia Centrale. Per una curiosa coincidenza, la riunione dell’OCSE ebbe luogo ad Almaty il giorno in cui la testata giornalistica della società China National Petroleum Corporation rivelò che un totale di 2.009 miliardi di metri cubi di gas naturale centrasiatico è già pompato in Cina dal 15 luglio attraverso il nuovo gasdotto di 2.000 chilometri dal Turkmenistan passando per l’Uzbekistan e il Kazakhstan allo Xinjiang.

L’OCSE potrebbe non impiegare molto a capire che le vaste steppe centrasiatiche non sono libere come appaiono ad occhio nudo e inoltre, per intraprendere qualsiasi impresa seria nelle steppe è necessaria un’eccedenza di denaro – moltissimo – con cui le economie europea e statunitense cavalcate dalla recessione o la Russia non possono facilmente presentarsi.

Detto ciò, la mossa dell’OCSE sul Kirghizistan è infatti un’intelligente iniziativa diplomatica americana. Il suo potenziale è sparso su una serie di fronti: riorganizzare l’OCSE così che acquisisca un vantaggio relativo nella prevenzione e nella gestione dei conflitti in Asia Centrale; cooptare la Russia e opporre l’ascesa dell’influenza cinese in Asia Centrale; sviluppare una politica statunitense ampia verso l’Asia Centrale che finora è rimasta per lo più transazionale; galvanizzare maggiore attenzione e sostegno internazionale per l’Afghanistan, un partner dell’OCSE, così da inserire quel paese nella regione quale perno vitale in una Grande Asia Centrale, che a sua volta aiuterebbe sempre più ad aprire il cosiddetto “corridoio meridionale” che conduce ai porti pachistani di Karachi e Gwadar, che forniscono all’Asia Centrale alternative strategiche alla Russia, alla Cina e all’Iran.

Per concludere, la decisione del fine settimana dell’OCSE diventa un mattone chiave della politica regionale statunitense, che si prepara per lo scacchiere della sicurezza regionale successivo alla guerra in Afghanistan. La presenza di due diplomatici chiave degli Stati Uniti nella regione centrasiatica la settimana scorsa per una meticolosa diplomazia parallela ad Almaty e Bishkek – il vice Segretario di Stato James Steinberg e il direttore per gli Affari russi e eurasiatici presso il Consiglio di Sicurezza Nazionale Americano, Michael McFaul – hanno sottolineato l’importanza che Washington attribuisce alla decisione dell’OCSE di rafforzare la sicurezza del Kirghizistan .

20 luglio 2010

L’ambasciatore M K Bhadrakumar è stato diplomatico di carriera per gli Affari Esteri indiani. Ha svolto incarichi nell’Unione Sovietica, nella Corea del Sud, in Sri Lanka, in Germania, in Afghanistan, Pakistan, Uzbekistan, Kuwait e in Turchia.

Traduzione dall’inglese di Chiara Ferronato

Si ringrazia Asia Times Online per la pubblicazione del presente articolo


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