Un passo all’indietro, in avanti, verso oriente oppure occidente?
Il vecchio schema sovietico di un’unica tariffa doganale all’interno dello spazio territoriale dell’URSS, a vent’anni dalla sua caduta, sembra essere ritornato ad avere effetto nell’ultimo progetto di integrazione economica tra Russia, Bielorussia e Kazakistan. Dopo un periodo caratterizzato da una serie di singoli accordi bilaterali, legati a specifiche produzioni e determinati nel tempo, questo nuovo accordo rappresenta un reale risultato per l’attuazione di una zona economica comune nell’area euroasiatica. Il progetto, perciò, racchiude dentro di sè grandi aspettative per il futuro, ma anche una serie di punti interrogativi rispetto agli effetti a lungo termine.
Il nuovo regime tariffario
Il 1 luglio 2010 i leader di Bielorussia, Russia e Kazakistan hanno sottoscritto ad Astana, la capitale del Kazakistan, i documenti per la formazione di un’unione doganale tra i propri Paesi. Questa firma costituisce l’accordo finale, successivo al primo patto economico stretto nel novembre 2009 ed all’entrata in vigore di una tariffa doganale comune, introdotta lo scorso 1 gennaio 2010.
Le nuove tariffe doganali, però, non sono state applicate a tutte le merci. Nell’ottica della crisi economica internazionale, la difesa della produzione nazionale resta una forte priorità per tutti gli Stati che non sono disposti a rinunciarci in nome di un’apertura generale del mercato. Le esportazioni di gas o di petrolio, infatti, non saranno toccate dalle nuove misure, mentre saranno coinvolte le produzioni ad alta tecnologia ed i cosidetti “scambi di materia grigia”, cioè i singoli individui.
La Russia, ad esempio, conserverà i suoi interessi nelle esportazioni energetiche, ma dalla diminuizione delle imposte doganali in Kazakistan riuscirà ad attrarre nuovi acquirenti per la vendità delle proprie automobili.
Maggiori vantaggi, in particolare, si prospettano dal 1 luglio 2011, quando sarà eliminato il controllo alle frontiere russo-kazake, come è già avvenuto per quelle russo-bielorusse.
Oltre ad un miglioramento degli scambi economici tra i Paesi partner, per comprendere l’importanza di questo percorso bisogna inserirlo nel quadro della Comunita Economica Eurasiatica che dall’anno 2000 persegue come obiettivo una maggiore integrazione economica tra gli Stati.
Un accordo triangolare: primo esperimento verso la costituzione di una zona economica unica tra i membri dell’Eurasec.
Bielorussia, Russia e Kazakistan hanno firmato il proprio accordo in occasione del decimo anniversario dalla nascita della Comunità Economica Eurasiatica. La Comunità è sorta nel 2000, proponendosi come obiettivo la creazione di frontiere doganali, l’elaborazione di un’unica politica economica estera, tariffe e prezzi comuni tra i Paesi membri. Gli aderenti sono: Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Russia e Tadgikistan. Mentre i Paesi osservatori sono: Moldavia, Ucraina, Armenia e la Banca per lo sviluppo europeo. L’intenzione di Russia, Bielorussia e Kazakistan, infatti, è di aprire agli altri membri ufficiali la partecipazione all’unione doganale per dare vita, nel rispetto degli scopi dell’Eurasec, ad un’unica zona economica di libero commercio e con una sola moneta.
Rispetto alla formazione di una valuta universale tra i Paesi membri, in particolare, i leader politici hanno valutato ed immaginato diverse possibilità.
Il presidente del Kazakistan, Nursultan Nazarbaev ha proposto di creare una comune valuta “no-casch”, dal nome evraz (dalla parola russa “Eurasia”). Evraz dovrebbe avere le funzioni dell’antecedente “rublo trasferibile” sovietico che serviva negli scambi per bilanciare i conti nazionali, ma non poteva essere convertito in valuta straniera. Il presidente Medvedev, invece, vede nel rublo stesso la variante ottimale, in quanto l’unica capace di competere con l’euro ed il dollaro.
Il riferimento alla moneta europea non è solo una possibilità, giacchè questa stessa unione doganale nella programmazione del suo percorso in avanti vede l’Unione Europea come un modello.
Immaginare una ripresa in scala eurasiastica del modello di Maastricht, secondo cui un primo nucleo di Paesi ha dato vita ad una “euro zona”, offrendo in una seconda fase la possibilità ad altri di entrare, forse è esagerato. In quest’alleanza tra Stati, infatti, non c’è alcuna volontà di condividere delle competenze politiche.
Rispetto ai riferimenti europei esiste, invece, una certa preoccupazione per un maggiore intervento dell’UE in alcuni Paesi ex sovietici attraverso il programma ENPI. Questo programma europeo è caratterizzato da una serie di politiche di vicinato e la formazione di una partnership estera tra l’Unione Europea e l’Armenia, l’Adzeirbaijan, la Bielorussia, la Moldavia e la Georgia, oltre ad i Paesi del Nord Africa che si affacciano sul Mediterraneo.
Il programma ENPI, in particolare, ha destato una serie di preoccupazioni in Russia giacchè prevede, tra i cosiddetti “scopi eventuali”: la formazione di un’area di integrazione economica, una spazio non soggetto ai controlli VISA e la cooperazione nel campo della produzione energetica.
La paura dell’attuazione di questi obiettivi ha rappresentato per la Russia una base motivazionale adeguata per dare una forma più stabile e definita a tale piano doganale. Rispetto ai tanti accordi commerciali precedenti, infatti, si percepisce la ferma volontà russa di rivendicare uno storico diritto di priorità nella gestione delle relazioni economiche internazionali dell’area. Al raggiungimento dell’efficacia e validità di questo diritto, in particolare contribuirebbe l’eventuale entrata di altri Paesi membri dell’Eurasec, primo fra tutti, il Kirghizistan, Stato i cui sconvolgimenti politici interni hanno destato il sorgere di nuove mire geopolitiche.
Il Kirghizistan: nuovo scenario di incontro e scontro internazionale.
A cinque anni dalla rivoluzione dei tulipani, che aveva portato al potere il filo-americano Bakiyev, ancora una volta in Kirghizistan lo scoppio di una rivolta popolare ha influito nell’assegnazione della guida del Paese ad un leader del fronte di opposizione, vale a dire la signora Otunbaeva.
L’attenzione internazionale rivolta ai disordini politici interni di questo Paese è direttamente collegata alla sua posizione geografica, alle risorse minerarie ed alla presenza di basi militari.
Il Kirghizistan confina a settentrione con il Kazakistan, membro appunto della suddetta unione doganale, ed ad est con la Cina. Per gli altri confini, invece, è abbracciata dall’Uzbekistan e dal Tadjikistan, con cui si incontra nella valle di Ferghana che copre tutti e tre i Paesi.
Sotto il territorio kirghizo c’è una ricchezza molto preziosa: petrolio, oro, uranio ed antinomio. Le miniere di oro, in particolare, sono gestite dall’agenzia nazionale Kyrgyzaltyn in associazione con alcune società straniere, tra cui la più importante è la canadese Centerra Gold.
Oltre alla presenza economica esterna c’è quella militare: sia gli Stati Uniti sia la Russia hanno una propria base. Quella statunitense è di supporto alla guerra contro il terrorismo condotta in Afganistan, quindi fa parte della strategia di controllo dell’Eurasia. Quella russa è legata agli interessi geopolitici nella zona, in particolare, risulta essere una sede necessaria per controllare i legami tra Cina e Kirghizistan.
La Cina ed il Kirghizistan sono entrambi componenenti dell’Organizzazione del Trattato di Cooperazione di Shanghai, alla quale appartiene anche la Russia, ma soprattutto la potenza cinese è dipendente dal Kirghizistan per il rifornimento di petrolio. Lo scorso anno, inoltre, sotto la presidenza di Bakijev, la Cina ha annunciato una serie di investimenti nel campo dei trasporti in Kirghizistan, in modo da velocizzare i rapporti economici e commerciali tra i due Paesi. Queste misure, in particolare, sono state predisposte durante l’incontro dell’ottobre 2009 tra il premier cinese Wen Jiabao ed il premier kirghizo Igor Ancier V. Chudinov, momento storico perchè non accadeva da sedici anni che un primo ministro del Kirghizistan visitasse la Cina.
L’arrivo al potere del fronte popolare, cioè di un gruppo politico diverso rispetto a quello che aveva gestito precedentemente le relazioni con la Cina, può essere considerato, certamente, un elemento di vantaggio per la Russia e gli Stati Uniti, tanto da sospettare che entrambe avrebbero avuto interessi nel pilotare la rivolta.
Gli Stati Uniti, protagonisti della salita al potere di Bukayev, non hanno accolto positivamente la recente intensificazione delle relazioni con la Cina. La conoscenza pregressa della Otunbaeva, già ambasciatore kirghiso negli Stati Uniti, ha influito nell’assunzione di una posizione di neutralità davanti alle rivolte nel rispetto dell’esperienza “tulipana” precedente, ma senza disdegnare completamente la notizia del suo arrivo. Il presidente Medvedev, invece, ha inviato una serie di aiuti umanitari dando tutta la disponibilità a collaborare, quando sarebbero state create forme di governo stabile. Una collaborazione che si inserisce nella volontà generale di essere presente in quell’area territoriale e che si collega ad una nuova ripresa dei rapporti tra Russia ed Uzbekistan.
Per questo, lo scorso luglio 2010, l’annuncio della Otunbaeva di essere disponibile, qualora ci siano le giuste condizioni di equilibrio nel proprio Paese, ad entrare nell’unione doganale, costituisce un segnale di decisivo avvicinamento russo. Gli interessi geopolitici, però, non sono gli unici della Russia. A quelli si aggiungono alcuni di natura economica. L’adesione del Kirghizistan all’unione doganale, essendo già membro del WTO, potrebbe rappresentare una spinta in avanti per l’accesso degli altri membri alla tanto ambita organizzazione mondiale del commercio.
Conclusioni
L’Unione Doganale costituisce un’interessante estensione degli interessi economici della Russia nell’ex area sovietica, ma non deve essere considerata come un progetto di rafforzamento economico a sé stante.
L’esperimento è una soluzione temporanea, l’obiettivo di entrare nel WTO continua ad essere presente. Se l’Uzbekistan e l’Ucraina sono già Paesi osservatori nella suddetta organizzazione, la Russia, Bielorussia e Kazakistan hanno davanti a sé un percorso molto più difficile prima di arrivare alla meta finale soprattutto facendo richiesta di accesso come unione doganale. Una richiesta di questo tipo e non più come singoli Stati, secondo il regolamento del WTO è esclusa. L’articolo 12 del suddetto regolamento prevede che oltre ai singoli Stati possono fare richiesta di accesso “territori doganali separati aventi piena autonomia nella gestione delle relazioni commerciali esterne”. Caratteristica che non appartiene a quest’entità, in cui ciascun Stato è autonomo rispetto agli altri nelle politiche di commercio, di gestione del diritto di proprietà intellettuale, nei servizi, nella salute e la sicurezza. Un’eventuale attesa per l’avvio di un processo eccezionale di inosservanza dell’articolo 12 e di apertura a tale unione, comporterebbe altri anni di attesa dopo i tanti già scontati.
La Russia, invece, troppo concentrata a risolvere le violazioni che le impediscono l’accesso, non tiene conto di tale articolo. Ad esempio secondo Milovzorov Andrei, giornalista di una rivista russa, la Russia ogni anno destina un sovvenzionamento di 9 miliardi di euro agli agricoltori, contro una media generale dei Paesi del Wto di 3 miliardi. Visto che il contributo di tale natura elargito dagli altri membri doganali è alquanto minore, la Russia si è illusa che un eventuale calcolo come unione e non come singolo le garantirebbe l’entrata velocemente.
Il progetto di unione, a quanto sembra piucchè concedere uno sconto, ritarderebbe l’entrata visto che la procedura di accoglimento di tre soggetti insieme è molto più piena di ostacoli che singolarmente. La Russia, inoltre, non ne avrebbe così bisogno, visto che il presidente americano Barack Obama, ha già annunciato il suo impegno affinché entro il 30 settembre 2010 siano risolte tutte le questioni ritardanti l’accesso russo, trascurando appunto il criterio agricolo.
Il progetto di unione doganale è un’idea positiva per gli interessi economici della Russia nell’area euroasiatica, ma Medvedev dovrà stare attento che non si trasformi in un ulteriore ritardo simile al conflitto con la Georgia che, durante l’agosto 2008, bloccò il processo di integrazione russo nel WTO.
*Luciana Marielle Ranieri, dott.ssa in Relazioni Internazionali (Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”).
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