Fonte: http://globalresearch.ca/PrintArticle.php?articleId=23542
Le proteste e le rivolte hanno spazzato tutto l’Arabdom, dalla costa atlantica del Marocco alle rive dei petro-sceiccati del Golfo Persico. A questo proposito, USA e UE applicano il doppio standard a questi eventi. C’è una messa a fuoco e una condanna selettiva da parte della Casa Bianca e dell’Unione europea per quanto riguarda le proteste e i capi arabi delle proteste che supportano.
Indipendentemente dalla direzione di queste rivolte e proteste e dalla reazione dei giocatori esterni, una nuova dinamica sta prendendo forma. La democrazia non è ancora emersa, e quella che sta iniziando ad emergere è una nuova ondata di pan-arabismo. Questo rinvigorito panarabismo si rivelerà una sfida per gli attuali sforzi di ulteriore frammentazione e indebolimento del mondo arabo.
Le categorie della protesta e delle rivolte nel mondo arabo
Per quanto riguarda le proteste di massa e le rivolte popolari, oggi gli stati del mondo arabo possono essere classificati in cinque gruppi o categorie. Queste categorie sono le seguenti:
Gruppo 1 – Paesi arabi che si trovano in uno stato di guerra civile;
Gruppo 2 – paesi arabi che hanno una popolazione che si è ribellata;
Gruppo 3 – Paesi arabi dove i popoli attualmente protestano e sono sull’orlo della rivolta;
Gruppo 4 – Paesi arabi, dove le basi per le rivolte stanno prendendo forma;
Gruppo 5 – Paesi arabi dove non ci sono rivolte.
Ogni categoria sarà discussa e riassunta. Si deve fare attenzione sul fatto che questi gruppi non sono statici e sono destinati ad evolversi.
Le tipologie dei vantaggi
Tenendo conto di Usa, Ue e della politica estera israeliana, queste proteste e rivolte sono anche classificate in due diverse tipologie. L’ultima può essere usata per spiegare le reazioni degli Stati Uniti, dell’Unione europea, e di Tel Aviv, e delle loro rispettive coperture mediatiche di questi eventi.
Le tipologie sono:
(A) i paesi arabi dove le proteste e le possibili conseguenze sarebbero utili agli interessi di Washington, Israele ed Unione europea;
(B) i paesi arabi, dove le proteste e rivolte vanno contro gli interessi di Washington, Israele ed Unione europea.
Si deve, tuttavia, stare pure attenti al fatto che i risultati di queste proteste e rivolte siano imprevedibili. Il comportamento di Washington e Bruxelles suggerisce che vogliono incassare dei risultati previsti, per rafforzare la loro influenza geo-politica. Sia gli Stati Uniti che l’UE cercano di gestire la “democratizzazione” del mondo arabo a loro vantaggio.
L'”agenzia del popolo arabo”, ovvero la base, che gli Stati Uniti e i loro alleati sottovalutano, ha un ruolo significativo da svolgere in questi eventi. È questo un processo dei movimenti di massa che si vanno dispiegando, che rende queste rivolte imprevedibili. Accoppiata col pan-arabismo, una forza potente si manifesta.
Il popolo arabo, in ultima analisi, costituisce una grande sfida a Washington e alla sua coorte.
A differenza dell’Europa orientale durante le rivoluzioni colorate, i regimi arabi sono sostenuti da Washington. I popoli arabi sono consapevoli del doppio standard di USA e UE. Gli arabi sanno bene che gli Stati Uniti e i loro alleati dell’UE non sono le avanguardie della democrazia e della libertà.
Per quanto riguarda Israele, Tel Aviv vede l’instabilità e il caos nel mondo arabo come utili ai suoi interessi. Israele non è esclusa dagli eventi nell’Arabdom. La strategia israeliana, in linea perfetta con le più vecchie strategie degli Stati Uniti e del Regno Unito in Medio Oriente-Nord Africa (MENA), è sempre stata quella di indebolire e dividere gli stati arabi. Israele ha sostenuto la balcanizzazione della regione MENA, ovunque fosse possibile. Il Piano Yinon è molto attuale oggi, in quello che può ormai essere definito il “metodo Yinon”. La strategia prende il nome da Oded Yinon, un analista di politica estera d’Israele che aveva delineato la “strategia sionista” per la divisione e la balcanizzazione del mondo arabo. [1]
Per sopravvivere, Israele deve (1) diventare una potenza regionale imperiale, e (2) deve effettuare la divisione di tutta l’area in piccoli stati attraverso la dissoluzione di ogni Stato arabo esistente, a seconda della loro composizione etnica o settaria. Di conseguenza, la speranza sionista è che degli Stati confessionali diventino dei satelliti israeliani e, ironia della sorte, sua fonte di legittimazione morale.
Nota: la seguente mappa è stata preparata dal tenente colonnello Ralph Peters. E’ stata pubblicata nell’Armed Forces Journal nel giugno 2006, Peters è un colonnello in pensione della National War Academy degli USA. (Map Copyright Lieutenant-Colonel Ralph Peters 2006). Anche se la cartina non riflette ufficialmente la dottrina del Pentagono, è stato utilizzata in un programma di addestramento al Collegio di difesa della NATO per alti ufficiali. Questa mappa, così come altre mappe simili, è stata probabilmente usata dal National War Academy così come nei circoli di pianificazione militare.
Nota: la seguente mappa è stata disegnata da Holly Lindem per un articolo di Jeffrey Goldberg. Fu pubblicata su The Atlantic – January/February 2008. (Copyright: The Atlantic, 2008).
Il “metodo Yinon” in Medio Oriente e Nord Africa
Mentre vi è un movimento per l’unità tra i popoli del Medio Oriente e Nord Africa, vi è anche una contro-spinta che cerca la loro divisione. Direttamente o indirettamente, l’approccio Yinon è operativo tra gli arabi e nella loro regione. Nel contesto, è anche una forza nel mondo arabo. Secondo il Piano Yinon, l’Iraq era la più grande minaccia araba a Tel Aviv. Questa minaccia è stata rimossa con l’invasione anglo-statunitense dell’Iraq nel 2003. Attualmente l’Iraq è diviso tra curdi, arabi musulmani sunniti, arabi musulmani sciiti. I partiti politici in Iraq sono sempre più basati su schemi settari. Le modalità di condivisione del potere a Baghdad sono sempre più simili a quelle di Beirut, in Libano. Dal 2003, gli USA le hanno portate avanti attivamente con una forma soft di balcanizzazione dell’Iraq attraverso il federalismo. Inoltre, Israele è stato uno dei principali sostenitori del governo regionale del Kurdistan (KRG) in Iraq.
Insieme ai suoi partner statunitensi ed europei occidentali, Israele sta lavorando per dividere il Libano e destabilizzare la Siria attraverso il Tribunale speciale per il Libano (TSL). Si può anche dire che Tel Aviv possieda una sorta di lobby sionista in Libano dentro l’alleanza del 14 Marzo. Non dovrebbe sorprendere che Bashar (Bachir/Bashir) Gemayal, già alleato di Israele ed ex presidente del Libano assassinato, volesse trasformare un Libano centralizzato in uno stato federale, con un sistema cantonale sul modello della Svizzera. Solo che in Libano il sistema cantonale si sarebbe basato sulle linee etnico-religiose e confessionali, piuttosto che sulle demarcazioni linguistiche come nella Confederazione svizzera.
Invece di unire i libanesi, un tale sistema avrebbe ulteriormente esacerbato l’atmosfera settaria in Libano, e giocato a favore di Washington e Tel Aviv.
Gli israeliani hanno diviso la Palestina con l’istigazione di una mini-guerra civile palestinese nella Striscia di Gaza. Gli israeliani hanno anche allegramente cominciato a parlare di una “soluzione a tre stati“, dopo la scissione di Fatah-Hamas nel 2007. In Turchia, gli Alawiti (Alavis in turco) stanno cominciando a chiedere un maggiore riconoscimento da parte di Ankara. In Egitto, vi è stata una campagna contro i cristiani copti con l’obiettivo di creare tensioni tra musulmani e cristiani. Anche in Iraq, i cristiani sono stati presi di mira da forze sconosciute. Il Sudan è stato balcanizzato con la secessione del Sud Sudan, che Israele ha fortemente sostenuto e armato. In Libia c’è una spinta supportata da stranieri per manipolare le differenze tribali e dividere il paese tra Libia orientale e Libia occidentale. Allo stesso tempo, la Casa di Saud ha incoraggiato la divisione confessionale tra musulmani sciiti e sunniti e tra arabi ed iraniani.
Israele, come gli Stati Uniti e l’Unione europea, sta lavorando per sfruttare la sconvolgimenti nel mondo arabo. Esso ha intensificato i suoi attacchi sporadici su Gaza, mentre il mondo arabo è distratto dagli eventi in Tunisia, Egitto, Libia, e altrove. Tuttavia, questo metodo Yinon sarà sempre più sfidato dal panarabismo. La cooperazione tra Siria, Turchia e Iran per formare un blocco regionale e un mercato comune, può anche provare a sfidare l’approccio Yinon. In questo contesto, Teheran sta anche lavorando per sostenere le proteste nel mondo arabo e per allineare l’Iran con esse.
Chi fa cosa? Categorizzare gli Stati arabi
Gruppo 1
Anche se i combattimenti in Libia sono stati esagerati ed abbelliti, la Libia è l’unico stato arabo che rientra nella prima categoria di uno Stato arabo coinvolto in una guerra civile. Lo Yemen, fino a un certo punto, può pure rientrare in questo gruppo e si può sostenere che in parte lo sia, anche a causa dei combattimenti nel 2010 tra le forze governative yemenite (con l’aiuto di Stati Uniti, Gran Bretagna, Arabia Saudita e Giordania) e ribelli yemeniti.
Nello Yemen e in Libia, tuttavia, vi è una differenza che va sottolineata. E’ nell’interesse degli Stati Uniti e dei suoi alleati avere il presidente Ali Abdullah Saleh al potere. Gli Stati Uniti non hanno alternative a Saleh. In Libia, gli Stati Uniti stanno lavorando attivamente per rimuovere il colonnello Gheddafi in modo che Washington e i suoi alleati possano appropriarsi delle riserve energetiche e delle attività finanziarie libiche.
L’alternativa di Tripoli a Gheddafi è, probabilmente, una struttura di leadership divisa, composta da una coalizione di ex funzionari del regime che hanno disertato, e gruppi esterni sostenuti da Washington, come il Fronte Nazionale per la Salvezza della Libia. D’altra parte, una Libia divisa in diversi stati o feudi in lotta prolungata, potrebbe anche essere un obiettivo statunitense.
Gruppo 2
Egitto e Tunisia rientrano nella seconda categoria. L’umore dei popoli è cambiato in entrambe le repubbliche arabe, ma lo status quo economico e politico rimane immutato. Gli interessi degli Stati Uniti e dell’UE sono rimasti inalterati e sono intatti.
Come accennato in precedenza, l'”agenzia del popolo arabo“, qualcosa che gli Stati Uniti e i loro alleati sottovalutano, ha un ruolo significativo da svolgere. Le proteste sono continuate in Tunisia ed Egitto, mostrando il permanere dell’insoddisfazione, perché le esigenze popolari non sono state soddisfatte La psiche del popolo egiziano e tunisino è cambiata. Nonostante l’attuale status quo degli obiettivi di Washington, i risultati delle rivolte in Tunisia ed Egitto alla fine lavoreranno contro gli interessi di Washington, Bruxelles e Tel Aviv.
Gruppo 3
Il terzo raggruppamento di Stati arabi comprende Bahrain, Yemen (se esso non è considerato una parte del primo gruppo con la Libia) e Oman. In precedenza si sarebbe potuto dire che anche l’Iraq potesse forse rientrare in questa terza categoria. Proteste di massa e scontri sono scoppiati in tutto l’Iraq da Baghdad e Bassora a Sulaymaniah. Si può ormai affermare che anche l’Iraq faccia parte di questa categoria. Però tali stati arabi potrebbero incendiarsi con aperte rivolte e quindi essere ri-classificati nel secondo gruppo di paesi arabi.
Le proteste in Bahrain, Yemen, Oman, e Iraq operano tutte contro gli interessi di Washington e dell’Unione europea. In Iraq il popolo esige che gli accordi petroliferi siano cancellati. Sia Washington che Bruxelles sostengono tuttavia lo status quo nella penisola arabica. Ed è per questo che hanno per lo più ignorato le proteste in Iraq e nella penisola arabica, o le hanno presentate con una luce diversa, rispetto agli eventi in Tunisia, Egitto e Libia.
Gruppo 4
Il quarto gruppo comprende il Regno hashemita di Giordania, Marocco, Algeria, Kuwait, Arabia Saudita e il conflitto nella West Bank occupata da Israele, la quale è gestita per conto di Tel Aviv da Mahmoud Abbas e dalla corrotta Autorità Palestinese. Le proteste hanno avuto luogo in tutti questi stati arabi e nella West Bank occupata, a vari livelli. Le basi per una rivolta in questi Stati e in Cisgiordania sono state predisposte dai gruppi basati su internet e sui social media da dissidenti e dall’opposizione ufficiale.
Il rilascio dei documenti palestinesi da parte del Network del Qatar Al Jazeera ha, inoltre, intensificato le già crescenti tensioni tra i palestinesi. I palestinesi fanno ora pressione su Hamas e Fatah per formare un governo di unità nazionale. Soprattutto Fatah è sotto grande pressione e controllo nella West Bank. A causa della crescente pressione, Mahmoud Abbas ora parla di cambiamento politico come mezzo per prevenire una qualsiasi rivolta contro di lui. Se scoppia una rivolta in Cisgiordania, gli Stati Uniti e Israele potrebbero lavorare per porre Mustafa Barghouti alla presidenza dell’Autorità palestinese. Nonostante le alte fanfare di Washington e Bruxelles, Salam Fayyad e Hanan Ashrawi come Primi Ministri sarebbero troppo impopolari. Nemmeno Mohammed Dahlan ed altri membri di Fatah, ad eccezione di Marwan Barghouti, sarebbero ben accolti.
Si tratta di una questione di tempo, affinché prima o poi proteste e rivolte emergano in questi luoghi dell’Arabdom. Le proteste e le rivolte popolari in questi luoghi, sarebbero anche contro gli interessi degli Stati Uniti, dell’Unione europea e d’Israele. L’Algeria potrebbe rivelarsi l’eccezione del quarto gruppo. Come la Libia, l’Algeria esercita anche un certo grado di autonomia verso gli Stati Uniti e l’Unione europea.
Gruppo 5
Il quinto ed ultimo gruppo di stati arabi comprende il Libano e gli Emirati Arabi Uniti. Qatar e Siria potrebbero anche essere inclusi in questo gruppo. In confronto ad altri stati arabi, sia il Qatar che la Siria sono tranquilli, anche se vi è un’agitazione potenziale e la possibilità di proteste sia in Qatar che in Siria.
Nel caso del Qatar, l’agitazione sembra essere interna e volta contro l’emiro del Qatar, Sheikha Mozah bint Naser Al-Missned, la struttura politica autocratica in Qatar e i legami del Qatar con Israele. Nel caso di Damasco, l’agitazione appare ampiamente azionata dall’esterno, da parte di espatriati siriani. Con la recente nomina di un nuovo ambasciatore statunitense in Siria, Washington ha posto un percorso che porta alla fine verso l’istigazione e il sostegno a una rivolta in Siria contro il presidente Bashar Al-Assad.
Mauritania, Kuwait e Sudan, non si qualificano in questo gruppo, perché le proteste sono già scoppiate in questi stati. In Kuwait le proteste si sono già svolte, perciò potrebbe collocarsi nel terzo raggruppamento. Una serie di proteste è stata lanciata dai beduini dal Kuwait, i quali hanno chiesto che fossero riconosciuti e avessero i diritti legali come cittadini kuwaitiani. Altre proteste sono state volte contro la struttura dello stato del Kuwait e contro la discriminazione dei musulmani sciiti.
I venti di cambiamento in Iraq
In Iraq, dopo mesi di negoziati con il Primo Ministro Nouri Al-Maliki, Ayad Allawi ha rifiutato di accettare una posizione di potere come quella di Presidente del Consiglio nazionale per la politica strategica iracheno. La posizione del capo del Consiglio nazionale per la politica strategica iracheno ha lo scopo di controbilanciare il ruolo del primo ministro dell’Iraq. Ayad Allawi ha annunciato che non ne avrebbe fatto parte ad una conferenza stampa a Najaf, insieme a Moqtada Al-Sadr, il 3 marzo 2011.
Considerando che Allawi è noto per essere allineato agli interessi britannici e degli Stati Uniti, Moqtada Al-Sadr è noto per la sua opposizione a Stati Uniti e Gran Bretagna, alla conferenza stampa Allawi ha fatto una interessante, se non pragmatica, dichiarazione: “Noi non siamo in cerca di posizioni [di stato e di governo], ma alla ricerca degli interessi del popolo, del progresso dell’Iraq e [della] stabilità [in Iraq].”[2] In questo contesto, Ayad Allawi può essere visto come una banderuola o manica a vento per quanto riguarda la situazione politica e l’umore del popolo in Iraq. La rivolta può scoppiare in Iraq e Allawi può essersi posizionato di conseguenza.
A proposito di proteste in Iraq, si deve rilevare che l’Iraq si trova ai confini tra mondo iranico e mondo arabo, così come col mondo turco, ad un grado molto minore. Questi tre regni concettuali possono anche essere composti e distinti come mondo arabo-iranico-turco. Arrivando al punto, deve essere affrontata la questione curda. Le proteste irachene, come l’Iraq stesso, non possono semplicemente essere caratterizzate come arabe in sé. Mentre le proteste sono puramente irachene, sono caratterizzate come parzialmente arabe e parzialmente curde.
La minaccia d’intervento straniero in Libano
Una tempesta si prepara su Beirut. Il Libano può far parte del primo gruppo di paesi arabi, con la Libia. Anche se più debole, Saad Hariri e la sua alleanza del 14 Marzo vogliono confrontarsi con Hezbollah e i suoi alleati politici in Libano. Questo atteggiamento è molto più che meramente politico.
Negli anni l’alleanza del 14 Marzo guidata da Hariri ha lavorato con Stati Uniti, Unione europea, Arabia Saudita, Mubarak, Giordania e perfino Israele, per preparare la strada all’intervento straniero in Libano, in una forma o nell’altra, contro la Resistenza libanese. Hariri e l’alleanza del 14 Marzo sono stati anche alleati molto vicini a tutti i dittatori e i monarchi assoluti arabi. Il sostegno che l’alleanza del 14 Marzo riceve da Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Arabia Saudita non è dovuto a un qualsiasi valore democratico in sé, di cui i suoi membri parlano, ma a causa della sua volontà di trasformare il Libano in una colonia.
Nel 2006, Hariri e i suoi alleati hanno segretamente sostenuto Israele nella sua guerra contro il Libano. Quando il Libano veniva attaccato, ordinarono ai militari libanesi di rimanere fermi di fronte all’aggressione israeliana. Dopo la sconfitta di Israele nel 2006, hanno fatto entrare Fatah Al-Islam in Libano, nella speranza di usarlo come opzione armata contro Hezbollah e i suoi alleati, e avrebbero poi spudoratamente tentato di incolpare i rifugiati palestinesi in Libano, per la materializzazione di Fatah Al-Islam. Hanno anche tentato di smantellare la vitale rete di comunicazione utilizzata da Hezbollah nel 2008.
Ora, Hariri e i suoi alleati politici criticano ad alta voce la Resistenza libanese attraverso la loro rinnovata politica di acquisizione delle sue armi. Questo è ironico, perché l’alleanza del 14 Marzo stessa ha armato le sue milizie nel corso degli anni. Questo è stato dimostrato durante i combattimenti del maggio 2008, quando entrambi le parti brandirono fucili. I gruppi all’interno dell’alleanza del 14 Marzo sono anche quelli che hanno utilizzato le milizie in passato, esclusivamente nella lotta contro i loro stessi connazionali libanesi. Hanno una lunga storia di lotta contro altri libanesi e di disprezzo per la democrazia.
Un momento va dedicato al fine di esaminare i motivi per cui Hariri e la sua squadra si sono armati. Non lo hanno fatto per difendere il Libano dalla minaccia esterna di Israele, ma si sono armati per la lotta interna in Libano. Hariri e l’alleanza del 14 Marzo parlano soltanto di democrazia, perché non hanno abbastanza forza per imporsi in Libano.
Oggi, si sta tentando di utilizzare il Tribunale speciale per il Libano (STL) come una trappola per accusare Hezbollah a livello internazionale. Una volta che un atto di accusa è emesso a livello internazionale, gli Stati Uniti e i loro alleati potrebbero intervenire con il pretesto della giustizia internazionale. Washington e Bruxelles potrebbero anche essere chiamata da Hariri e dall’alleanza del 14 Marzo per aiutarlo a portare di fronte alla giustizia Hezbollah.
Hariri non aveva previsto la mossa fatta da Hezbollah e dai suoi alleati politici contro il suo governo, e la sua impotenza nel riconquistare il potere. Questo è stato un colpo mortale alla famiglia Hariri. Hanno esaurito le carte e sono al lavoro per mantenere in vita il TSL. Finché il TSL resta, resta aperta l’opzione per una qualche forma di intervento straniero in Libano da parte degli USA e della sua coorte dell’Unione europea.
Sempre più spesso, il linguaggio di Hariri è quello del confronto e del settarismo. Anche senza il TSL, Hariri e l’alleanza del 14 marzo possono ancora accendere un’altra guerra civile in Libano. Possono anche giocare ancora la carta settaria e Hezbollah e i suoi alleati politici ne sono ben consapevoli. Questo è il motivo per cui Najib Al-Mikati e Hezbollah si stanno muovendo con cautela nel tentativo di smantellare la carta confessionale. Scatenando la guerra civile libanese, si rischia di prestare il fianco ad un intervento degli Stati Uniti e della NATO in Libano.
Doppi standard in azione
Washington e l’UE hanno poco riguardo per le vere democrazia e libertà, come è evidente dalla loro reazione al risultato delle elezioni democratiche nei territori palestinesi occupati. Nel 2006, Hamas aveva vinto le elezioni palestinesi. Gli Stati Uniti, l’Unione europea e Israele immediatamente si rifiutarono di riconoscere le elezioni palestinesi.
Nonostante il fatto che Fatah avesse perso le elezioni, Washington e i suoi alleati costrinsero Hamas a consentire a Fatah di co-gestire il governo palestinese. La democrazia è accettabile solo quando opera nell’interesse degli Stati Uniti e di Bruxelles. Oggi, queste potenze hanno lasciato Mahmoud Abbas dominare nella West Bank occupata, come loro agente e come un quasi-dittatore.
In Sudan, Washington e Bruxelles hanno fatto indebite pressioni su Khartoum, pur sostenendo la balcanizzazione del paese. Eppure, non hanno detto niente circa la continua occupazione del Sahara occidentale da parte del Marocco.
Il Sahara occidentale è un caso di occupazione totale, che è stato ampiamente ignorato. I sahrawi o sahariani occidentali hanno dovuto affrontare anche gli attacchi provenienti dal Marocco per aver voluto l’indipendenza. Anche durante il referendum in Sud Sudan, i Sahrawi sono stati attaccati dalle forze marocchine nel corso delle loro proteste, ma non ci sono state grandi condanne pubbliche da parte degli USA o di Bruxelles.[3] Né grandi star di Hollywood hanno perorato la loro causa o fatto grandi campagne pubblicitarie.
In Iraq, le grandi proteste da parte degli arabi iracheni e dei curdi iracheni sono in corso, ma sono state ignorate dall’Unione europea e dal governo degli Stati Uniti. Tra le richieste dei manifestanti iracheni, la più importante è che la ricchezza petrolifera irachena sia redistribuita e sia sotto il controllo del popolo iracheno. In Bahrain, la brutalità lampante è stata usata contro i manifestanti, che non erano solo musulmani sciiti come gli esperti e i propagandisti affermano. Eppure, la reazione di Washington e Bruxelles verso la famiglia Al-Khalifa è stata diametralmente opposta rispetto alla loro reazione verso il colonnello Gheddafi in Libia.
In sintesi, gli USA e l’UE continuano ad applicare doppi standard. Le loro politiche nei confronti degli arabi sono piene di ipocrisia. Le loro azioni sono basate sui propri interessi. Anche nel bel mezzo delle proteste egiziane, il vicepresidente degli Stati Uniti Joseph Biden ha rifiutato di fare riferimento a Mohammed Hosni Mubarak come a un dittatore: ciò non può essere altro che una dimostrazione di ipocrisia assoluta.[4]
Pan-arabismo contro metodo Yinon
Tel Aviv, Washington e Bruxelles sono tutti contrari all’unità araba. Storicamente, hanno lavorato per dividere gli arabi. In passato, gli inglesi separarono Kuwait e Iraq, Palestina e Giordania, nonché Egitto e Sudan, mentre i francesi separarono Algeria e Tunisia nel Maghreb, e il Libano e la Siria nel Levante. Il metodo Yinon è una continuazione di questo progetto.
La politica degli Stati Uniti fa parte di questo continuum. La Casa Bianca ha collaborato con Israele e la Casa dei Saud per dividere e isolare i palestinesi attraverso la scissione Fatah-Hamas. In Iraq il processo di alienazione nazionale è stato un importante sforzo per Washington e i suoi alleati. Il Sudan è stato fratturato e ora una guerra civile viene alimentata in Libia. La Somalia, membro della Lega Araba, è stato suddiviso tra Puntland, Somaliland e Sud della Somalia. Il Sud della Somalia è stato diviso ulteriormente.
Gli interessi del governo degli Stati Uniti, di Bruxelles e d’Israele risiedono nel mantenere gli arabi divisi in diversi “stati deboli.” Vi è, tuttavia, una nuova dinamica che sta emergendo nel mondo arabo. Questa nuova dinamica che emerge dagli sconvolgimenti e dalle proteste, potenzialmente sfida l’approccio Yinon, che viene applicato contro la popolazione araba.
Il Panarabismo è una nuova dinamica, capace di costituire una forza potente. Il trend di decenni di divisioni può eventualmente essere invertito. Né la questione della Palestina può essere lasciata in mano a potenze straniere per molto tempo ancora.
La pluralità dell’Arabdom è stata costruita sulla base dell’inclusione e del multi-culturalismo. L’identità araba è assai aperta e inclusiva, come un largo abbraccio. Secondo la definizione o descrizione della Lega Araba del 1946 : “arabo è una persona la cui lingua è l’arabo, che vive in un paese di lingua araba [e] che è in sintonia con le aspirazioni dei popoli di lingua araba“[5]. Ciò ha riunito diverse civiltà, etnie, religioni, tradizioni e terre sotto un unico tetto, dai popoli levantini pre-arabizzati agli egiziani, nubiani e berberi pre-arabizzati.
Il Panarabismo dà una volontà politica a questa identità araba inclusiva e apre la strada ad un progetto politico fra i popoli arabi. Così, a prescindere dai successi o insuccessi iniziali di queste rivolte, la marcia verso l’unità araba come progetto politico e popolare è un evento certo. Né le sue ondate possono essere contenute a lungo, mentre una nuova realtà geo-politica e sociologica inizia a prendere forma nella nazione araba.
Mahdi Darius Nazemroaya è specializzato sul Medio Oriente e Asia Centrale. È un ricercatore associato al Centre for Research on Globalization (CRG).
NOTE
[1] Il Piano Yinon è un piano strategico israeliano proposto da Oded Yinon che sostiene che Israele agisca come una potenza imperialista e spezzi i paesi del Medio Oriente e Nord Africa in Stati piccoli e deboli.
[2] Alice Fordham, “Allawi backing away from the Iraqi government deal,” Los Angeles Times, 4 marzo 2011.
[3] “Deadly clashes as Morocco breaks up Western Sahara camp,” British Broadcasting Corporation (BBC), 8 novembre 2010.
[4] Daniel Murphy, “Joe Biden says Egypt’s Mubarak no dictator, he shouldn’t step down…,” Christian Science Monitor, 27 gennaio 2011.
[5] William D. Wunderle, Through the Lens of Cultural Awareness: A Primer for US Armed Forces Deploying to Arab and Middle Eastern Countries (Washington DC: US Government Printing Office, 2006), p.25.
Traduzione di Alessandro Lattanzio
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