La geografia politica del Pentagono suddivide il pianeta terra in Comandi, ciascuno dei quali abbraccia una specifica area giurisdizionale di competenza.
Fino all’ottobre 2008 il corpo incaricato di occuparsi dell’Africa era l’EUCOM, ma le ribellioni delle popolazioni indigene e l’inarrestabile penetrazione cinese nel continente nero hanno spinto Washington a costituire l’apposito United States Africa Command (AFRICOM), con lo scopo ufficiale di «Sviluppare nei nostri partner africani la capacità di affrontare le sfide per la sicurezza dell’Africa».
«L’America ha la responsabilità di lavorare con voi come partner», ha dichiarato il Presidente Obama durante il discorso dell’11 luglio 2009 in Ghana, specificando che l’AFRICOM contribuirà a «Risolvere pacificamente i conflitti» e garantendo che «L’America non cercherà di imporre alcun sistema di governo a nessun’altra nazione, in quanto lo scopo essenziale della democrazia è che ogni nazione determini il proprio destino».
Fin da quando fu istituito, l’AFRICOM si è dedicato, contestualmente agli scopi ufficialmente dichiarati, all’addestramento dei militari africani anche attraverso esercitazioni congiunte con la marina statunitense, che durante i primi mesi del 2009 ha dislocato alcune navi da guerra lungo le coste dell’Africa occidentale.
Degno di nota è tuttavia il fatto che sono proprio i paesi che si affacciano sul Golfo di Guinea a rappresentare un fonte di approvvigionamento energetico primario per gli Stati Uniti, i quali importano da quell’area geografica petrolio sufficiente per coprire il 15% circa del fabbisogno totale.
Uno dei principali canali di approvvigionamento è l’oleodotto, controllato da un consorzio dominato dalla Exxon Mobil, che consente il transito del petrolio del Ciad dalla stazione di pompaggio di Doba fino ai terminali camerunensi di Kribi.
La Nigeria, d’altro canto, è uno dei principali paesi produttori di petrolio a livello continentale, che negli anni passati è stato teatro di una sollevazione popolare della popolazione di etnia Ogoni, contraria ai metodi di sfruttamento intensivo che la compagnia anglo-olandese Royal Dutch Shell – che controlla tutt’ora oltre la metà della produzione petrolifera nazionale – adottava lungo il delta del Niger, provocando la distruzione dell’ecosistema locale.
I continui danneggiamenti agli impianti di estrazione operati dagli attivisti Ogoni spinsero l’azienda a incanalare un fiume di denaro verso il governo di Abuja, che intensificò immediatamente la repressione, arrestando i leaders ribelli e giustiziandone successivamente alcuni.
Quando i vertici della Shell vennero chiamati a rispondere in sede processuale del ruolo svolto dalla compagnia nell’assassinio dell’attivista Ken Saro Wiwa, essi optarono eloquentemente per il patteggiamento, accettando di versare circa 15 milioni di dollari.
La cortina fumogena di opere di bene innalzata dalle autorità di Washington non è quindi sufficiente ad occultare le vere ragioni che stanno alla base dell’istituzione dell’AFRICOM, che mira ad instaurare stretti rapporti di interdipendenza tra i comparti militari dei vari paesi africani e il Pentagono, in modo da evitare “imprevisti” analoghi a quelli che sconvolsero la Nigeria negli anni ’90.
Ma gran parte dei paesi africani, assai restii a lasciarsi dissuadere dalla consueta retorica imbevuta di spirito umanitario, hanno opposto resistenze tali da spingere gli Stati Uniti ad installare il quartier generale di tale Comando nella città tedesca di Stoccarda.
Ciò non significa, tuttavia, che Washington abbia rinunciato ad impiantare la propria presenza permanente diretta sul terreno africano.
Nella fattispecie, le incursioni operate dai guerriglieri del movimento islamico Al Shabab hanno funto da alibi perfetto, che gli Stati Uniti hanno sfruttato per giustificare da un lato l’attivazione di un canale di finanziamenti verso i governi di Uganda, Burundi e Kenya, destinati a rendere maggiormente efficaci le operazioni di contrasto al gruppo fondamentalista in questione.
Dall’altro lato, il gruppo Al Shabab ha fornito a Washington l’opportunità irripetibile per dislocare la base militare dell’AFRICOM presso Camp Lemonnier – sede della Task force congiunta del Corno d’Africa – a Gibuti, in una posizione geostrategica di fondamentale importanza.
Da tale posizione è infatti possibile controllare lo stretto di Bab el Mandeb, un braccio di mare largo appena 30 km che separa la costa africana da quella della penisola arabica e che costituisce un passaggio obbligato sia per le imbarcazioni che transitano attraverso il Mar Rosso sia per i cargo petroliferi che salpano dalle coste del Sudan, la maggior parte dei quali è diretto verso la Cina.
La Task force di stanza a Gibuti è composta da oltre 3.000 specialisti delle forze speciali e dei servizi segreti, e può essere integrata attraverso il reclutamento di contractor membri di compagnie militari private.
Essa è chiamata ufficialmente a «Contribuire alla sicurezza e stabilità» di un’ampia «Area operativa», composta da ben dieci paesi africani – tra cui Somalia, Etiopia, Eritrea, Kenya, Tanzania, Uganda, Burundi – e di un’«Area d’interesse» di cui fanno parte sia altri paesi africani (tra cui spiccano Ciad, Egitto, Sudan, Congo) che l’asiatico Yemen.
Un altro compito di cui tale corpo militare è incaricato è quello relativo all’addestramento delle truppe africane che verranno impiegate come supporto alle operazioni dell’AFRICOM.
Gli accordi raggiunti con i funzionari locali hanno poi reso possibile l’istituzione – dietro un finanziamento pari a 7 milioni di dollari – di un corpo d’armata motorizzato gibutino composto da ben 850 soldati e la formazione – patrocinata direttamente dall’AFRICOM con l’erogazione di circa 50 milioni di dollari – di nuovi contingenti militari provenienti da Etiopia, Kenya, Uganda e Burundi.
Tutte queste operazioni strategiche mirano ufficialmente proprio a supportare il governo somalo nelle azioni di contrasto al già citato gruppo islamico Al Shabab, rispetto al quale l’intelligence statunitense afferma, peraltro, che esistano presunte affinità con l’onnipresente Al Qaeda.
Sebbene la sovranità del governo somalo sia limitata ai quartieri centrali di Mogadiscio, gli Stati Uniti continuano ad inviare fondi e agenti speciali della CIA, al fine di mantenere il controllo effettivo del paese.
Gli Interessi che Washington coltiva in Africa non quindi enormi e il ruolo dell’AFRICOM, nonostante i soliti slogan intrisi di altruismo, è facilmente desumibile dal suo stesso emblema, che raffigura il continente nero ben impresso su di uno scudo statunitense.
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