Fonte: “Sole 24 Ore”
Il titolo di questa lezione è: “Le cause e gli effetti politici della prima crisi globale”.
È per me un onore leggerla in una sede politica tanto importante, quanto è la Scuola Centrale del Partito Comunista Cinese.
Ma sarà per me poi un onore ancora più grande ascoltare le vostre riflessioni e rispondere alle vostre domande. Io sono in Cina in questi giorni soprattutto per imparare.
Il titolo di questa lezione è impegnativo e per questo, nel prepararla, ho ogni giorno memorizzato il monito di Confucio: “Dobbiamo riesaminarci tre volte al giorno”.
Nella lezione parlerò di crisi:
– dal mio punto di vista, ed in specie dal punto di vista della “vecchia” Europa e della vecchissima Italia;
– cercherò di entrare nello spirito del tempo che insieme viviamo.
Crisi è una parola che deriva dal greco antico e significa rottura di continuità, discontinuità.
Questa crisi non è stata un “week-end” e non è un “garden-party”.
È stata – è – un vero cambio di paradigma. Un cambio di paradigma non solo economico, ma anche politico; non solo materiale, ma anche ideale.
Il mondo non è e non sarà più come prima. E’ nelle nostre sorti farne tutti insieme un mondo migliore.
Abbiamo infatti e tutti insieme un rendez-vous con il nostro destino.
Ho disegnato questa lezione all’interno di una figura triangolare, chiusa tra 3 punti:
– cosa ha causato, quale è l’origine della prima crisi globale?
– cosa l’ha fermata?
– cosa (che) fare?
1. Cosa ha causato, quale è l’origine della prima crisi globale?
1.1. Tutto ha inizio in Europa, con la caduta del muro di Berlino.
E tutto dura 20 anni. Quanti sono gli anni che vanno dal 1989 al 2009.
I 20 anni che hanno cambiato la struttura e la velocità del mondo.
Certo, quella che stiamo vivendo è una storia che già era “in divenire”, una storia iniziata già ai principi del ‘900, tanto in America, quanto in Africa ed in Asia.
Ma è solo a partire dal 1989 che il tempo è stato prima compresso e poi improvvisamente è esploso.
Mai nella storia dell’umanità un cambiamento così intenso è stato contenuto in un tempo così breve.
Certo, alla metà del passato millennio, la scoperta geografica dell’America ha rotto il vecchio ordine chiuso dell’Europa, ha eroso la base del sistema feudale, ha fatto nascere nuove religioni e nuove tecniche. Ma è comunque stato un fenomeno che poi ha occupato lo spazio lungo di almeno due secoli.
Diversamente, la scoperta economica dell’Asia non ha occupato il tempo lungo tipico della longue-durée, il ritmo lento del passaggio da una umana generazione all’altra. All’opposto, ha occupato un segmento minimo di tempo, un tempo compreso nella vita di ciascun uomo contemporaneo, quanti sono appunto 20 anni.
1.2. E quali anni?
9 novembre 1989: la caduta del muro di Berlino, la fine di una divisione artificiale del mondo durata mezzo secolo;
15 aprile 1994: la stipula a Marrakesh in Marocco del Trattato “World Trade Organization” (WTO). Il disegno di una nuova, piana e mercantile geopolitica mondiale;
11 dicembre 2001: la Cina diventa membro del WTO;
estate 2007: inizia la prima crisi finanziaria globale;
oggi, siamo nel novembre del 2009.
Il processo che si è sviluppato in questi 20 anni si è basato su di un mix fatto da 5 fattori fondamentali:
a) un fattore geopolitico: caduto il muro di Berlino, la rotazione, dall’Atlantico al Pacifico, dell’asse del potere politico americano;
b) un fattore tecnico: la diffusione e l’applicazione dell’informatica;
c) un fattore economico: la divisione prima del mondo, tra Asia, produttrice di merci a basso costo, ed America, compratrice a debito;
d) un fattore finanziario: la nuova tecno-finanza che, usando la magia fluida del nuovo denaro, il denaro bancario e virtuale, ha consentito il “miracolo” istantaneo della globalizzazione;
e) un fattore ideologico, sintesi di tutti gli altri: il “mercatismo”. L’ultima ideologia totalitaria del ‘900. La divinizzazione politica del mercato.
In Europa, per secoli, la politica è stata nazionalmente dominata dalla triade: “Liberté, Egalité, Fraternité”.
La globalizzazione ci ha illuso che quella vecchia triade potesse essere superata da una nuova triade: “Globalité, Marché, Monnaie”, iscritta sul frontone del nuovo tempio del dio mercato.
È in questi termini che si vede il legame causa-effetto sviluppato tra la globalizzazione (la causa) e la crisi (l’effetto).
La globalizzazione non poteva certo essere fermata ed è stata – è – oltre ogni dubbio fondamentalmente positiva.
Ma tempo e metodo della globalizzazione potevano forse essere un po’ più saggi, un po’ più lunghi.
Forse così avremmo potuto evitare la crisi.
Ma quella che abbiamo davanti, e che viviamo, è la realtà. È la struttura materiale della nostra esistenza.
E dobbiamo prenderne atto, notando filosoficamente che è comunque proprio con la globalizzazione che si è avverata la profezia di Marx: “All’antica indipendenza nazionale si sovrapporrà una interdipendenza globale”.
1.3. Credo che ci possa appunto illuminare una analisi filosofica e perciò politica.
Oggi, comprendere cosa è successo ci aiuterà ad evitare un prossima crisi.
Siamo entrati nel nuovo mondo globale, ma con le strutture politiche e giuridiche ancora proprie e tipiche del vecchio mondo.
Il mercato è diventato globale, ma il diritto è rimasto locale. E’ così che si è creata una drammatica asimmetria tra economia e politica, tra realtà e regole.
È questa l’origine della crisi.
Perché l’asimmetria tra mercato e regole è incompatibile proprio con il meccano strutturale tipico del capitalismo che, nella sua storia, non esclude, ma all’opposto presuppone le regole.
Invece, con la globalizzazione e nella globalizzazione, la parte emergente e più vitale del “nuovo” capitalismo globale si è sviluppata fuori dalle regole e perciò fuori dallo schema capitalistico classico.
Ed in particolare si è sviluppata:
a) fuori dai vecchi “sistemi” giuridici, prendendo forma e sostanza in parti del mondo dove agli operatori economici si offrivano regimi giuridici che avevano solo la forma, ma non la sostanza propria delle vere giurisdizioni; non solo
b) fuori dagli schemi giuridici che storicamente sono stati tipici e costitutivi del capitalismo. Ed in specie:
– fuori dallo schema della società per azioni;
– fuori dallo schema dei codici che, pur ammettendo certi margini di libertà contrattuale, tuttavia soprattutto prevedono e disciplinano contratti tipici.
È così che è nato il “nuovo” capitalismo. Il capitalismo atipico. Il capitalismo degli “hedge fund” e degli “equity fund”, dei contratti derivati, dello “shareholder value”e dello “short term”.
Si è dimenticato che la funzione della società per azioni non è solo quella di creare valore per gli azionisti, ma anche di creare valore per i lavoratori ed, in questo modo, per la società nel suo insieme.
Si è dimenticato che la speculazione può anche essere una parte, ma non è il tutto del capitalismo.
È così che la parte “nuova” del capitalismo è uscita dalla sua originaria e propria dimensione legale ed etica.
È così che la finanza è deviata e si è sviluppata non nel regno del diritto, ma nel regno opposto, nel regno del non diritto, nel regno dell'”anomia”.
È così che le nuove mega-banche globali sono state costruite come piramidi senza base.
È così che i contratti finanziari sono stati scritti come geroglifici illeggibili.
È così che ciò che nel mercato doveva cancellare il rischio, lo ha invece creato e su scala incontrollata ed incontrollabile.
In sintesi, è così che la sovranità monetaria, il potere di emettere la moneta, un potere sovrano e perciò storicamente proprio degli Stati, è stata invece ceduta, dalla politica al mercato.
È così che si è infine realizzata, e con la crisi ne stiamo pagando il prezzo, è così che si è infine realizzata l’antica profezia di Goethe: “I biglietti alati voleranno più in alto di quel che la fantasia umana può immaginare”.
2. Cosa ha fermato la crisi?
2.1. La crisi, nata dal mercato e nel mercato, è stata fermata dalla politica e dai Governi.
In specie, contro la crisi i Governi hanno fatto 3 tipi di politica:
a) per il solo fatto che (ri)entravano nell’economia, un campo che prima si pensava dovesse essere monopolizzato dal mercato, hanno trasmesso ai popoli un messaggio fondamentale di fiducia;
b) hanno fatto specifiche politiche di intervento nell’economia reale. In specie, hanno fatto classiche politiche keynesiane di investimento pubblico o, in alternativa e/o in combinazione, hanno fatto nuove o post-moderne politiche di “stimolo” ai consumi;
c) hanno soprattutto fatto particolari politiche di intervento nel settore bancario e finanziario.
In questo settore le politiche fatte finora in Occidente, nei due anni che vanno dall’inizio della crisi ad oggi, sono state varie e tra di loro discontinue: iniezioni di liquidità, manovre sui tassi, riduzioni fiscali, fallimenti, infine salvataggi generalizzati.
Non sarebbe – non è – generoso formulare ora una critica a queste politiche.
Ma “ex post” (e per la verità, per quanto mi riguarda, era evidente anche “ex ante”), è evidente che potevano anche essere fatte scelte diverse.
In particolare era possibile:
a) non salvare con la mano pubblica tutto il sistema bancario e finanziario, definito in sé come tutto “sistemico” e perciò per definizione tutto di interesse generale e pubblico;
b) ma salvare con la mano pubblica, nello spirito biblico della segregazione sabbatica e nella logica fallimentare tipica del c.d. “Chapter 11″, salvare con la mano pubblica solo la parte di finanza connessa all’economia reale, lasciando invece fuori dal salvataggio pubblico la finanza deviata, in modo che il relativo costo restasse a carico degli operatori economici che l’avevano generata.
In realtà vediamo che è stata fatta una politica molto diversa.
Nel vecchio”New Deal”, dopo la crisi del 1929, il denaro pubblico è stato usato nell’interesse diretto del popolo, per interventi pubblici.
Nel 2008 il denaro pubblico è stato invece usato per salvare quasi tutte le banche e quasi tutti i banchieri.
2.2. È così che nel 2007-2008:
– la mano pubblica ha immesso nel sistema bancario e finanziario una enorme massa di liquidità. Liquidità che tuttavia, proprio per come è stata data ed a chi è stata data, non è passata – se non in parte – dalle banche alle imprese. Restando prevalentemente nel possesso delle banche stesse;
– la mano pubblica ha simmetricamente trasferito sui debiti pubblici una enorme massa di debiti privati.
In realtà, così facendo, lo scenario è stato solo temporaneamente modificato. Lo spazio del mercato è stato certo corretto dal tempo della politica. E’ così che abbiamo guadagnato tempo.
Ma non dobbiamo sprecarlo, il tempo così guadagnato, non possiamo sprecarlo illudendoci che tutti i problemi siano ormai scomparsi.
Non possiamo farlo per due ragioni.
Perché la finanza deviata non è ancora stata corretta, se non a parole.
Perché il debito pubblico è certo più stabile del debito privato, dato che i Governi hanno poteri sovrani ed un orizzonte temporale medio-lungo. Ma non dobbiamo dimenticare che, privato o pubblico, il debito è sempre uguale al debito.
In sintesi, le cause e gli effetti ed i rischi della crisi sono – ripeto – sono ancora fondamentalmente in essere:
a) i corsi delle borse finanziarie sono tornati ai livelli pre-crisi, ma non l’economia reale. La velocità di crescita dei contratti derivati è tornata a salire vertiginosamente, segno che la speculazione è tornata in azione senza freni.
Si dice: “Business as usual”. Appunto. Stanno tornando la vecchia avidità e la vecchia stupidità;
b) ogni 8 secondi si emette 1 milione di euro di nuovo debito pubblico, così bruciando nel presente il futuro dei nostri figli.
2.3. Il tempo è sempre strategico ed ora lo è più che mai.
Il tempo che abbiamo guadagnato deve servire prima per pensare e poi per agire.
Nel tempo che abbiamo guadagnato l’economia e la società possono, e noi tutti lo speriamo, possono certo produrre effetti positivi.
La paura è stata scacciata dalla speranza, i popoli hanno riconquistato fiducia ed è in atto, ed è positivo, un forte cambio di paradigma.
Per troppo tempo si è pensato che gli alberi crescessero dall’alto e non dal basso. Ora è chiaro che non è così e che non può essere così.
La ricchezza non si produce a mezzo finanza, ma a mezzo lavoro. E’ positivo il ritorno all’economia reale, alla manifattura, alla fabbrica.
C’è il ritorno delle classi lavoratrici. E, con questo, c’è il ritorno della famiglia e dei valori spirituali, prima oscurati dall’ideologia totalitaria del “mercatismo”.
In questo scenario positivo la continuazione del commercio mondiale può riportare ricchezza; le nuove tecnologie, che i nostri laboratori stanno preparando, possono portare nuova ricchezza. La ripresa dell’economia può allontanare gli spettri sempre incombenti tanto del protezionismo, che annichilisce la speranza, quanto dell’inflazione, che distrugge il risparmio delle famiglie e degli Stati.
In sintesi: sono in campo due motori. Il motore della finanza. Il motore dell’economia reale. La speranza è che la velocità del secondo motore sia superiore alla velocità del primo motore. La paura deriva dall’ipotesi opposta.
In ogni caso, si può – si deve – fare di più.
Per consolidare la fiducia, perché il bene vinca sul male, serve anche e soprattutto un nuovo ordine politico.
3. Cosa (che) fare?
3.1. Nell’autunno dell’anno scorso, nel pieno della crisi, pur senza avere combattuto una guerra, abbiamo rischiato di avere tutti gli effetti distruttivi storicamente tipici di una guerra: il collasso della fiducia, il blocco dei flussi monetari, il crollo delle borse, la caduta del commercio mondiale, il rischio di reazioni protezionistiche, l’impatto negativo e distruttivo conseguente sui lavoratori e sulle famiglie.
Il miracolo ha preso il nome del G20, la forma iniziale e sperimentale della nuova necessaria “governance” mondiale.
Niente è perfetto e tutto è “in divenire”.
E, certamente, il G20 è ancora oggi, insieme, pletorico e soprattutto asimmetrico. Asimmetrico perché non contiene adeguatamente la rappresentanza dell’Africa e del mondo arabo.
Ma, tuttavia, il G20 è stato – è – fondamentale.
3.2. G7; G20.
Il rapporto tra G7 e G20 marca infatti molto più di una semplice estensione numerica del formato diplomatico, il G20 contenendo 13 Paesi in più.
Il passaggio dal G7 al G20 marca infatti soprattutto la differenza tra due mondi: il vecchio mondo; il nuovo mondo.
Appena 10 anni fa il G7 controllava circa l’80% della ricchezza del mondo ed era unificato da tre codici: un unico codice monetario, il dollaro; un unico codice linguistico, l’inglese; un unico codice politico, la democrazia occidentale.
Ora non è più così: il G7 controlla ormai solo il 50% della ricchezza del mondo; non c’è più un unico codice monetario, perché al dollaro si sono aggiunte altre monete; non c’è più un unico codice linguistico, perché altre lingue, altre culture sono apparse sulla scena; non c’è più un unico codice politico, perché altre forme politiche dialogano in pace con la democrazia occidentale.
3.3. Il colpo di gong è stato suonato, prima dalle “Torri gemelle”, e poi dalla crisi finanziaria.
La verità è che è definitivamente ed improvvisamente terminato, anche nella sua ultima forma post-moderna, il vecchio ordine coloniale.
La verità è che, dopo due secoli, è definitivamente ed improvvisamente terminato – improvvisamente perché nella storia 20 anni sono un tempo davvero minimo – è definitivamente ed improvvisamente terminato il rapporto “centro-periferia”.
È finita l’idea di onnipotenza di una parte sul tutto.
Le forze più nuove e dinamiche, tanto dell’economia (il maggiore incremento del prodotto interno lordo del mondo), quanto della demografia (la parte più giovane della popolazione mondiale), si stanno infatti formando fuori dal vecchio G7.
Forti della loro nuova vitalità, enormi parti del mondo si stanno liberando dalla forza di gravità che, direttamente od indirettamente, e per almeno due secoli, le ha attirate verso la direzione unica del centro.
Il vettore della storia non è più e non sarà più lineare, ma circolare.
Il mondo non è più e non sarà più unipolare o bipolare, ma multipolare.
Come è scritto nella Bibbia, è anche dal male che può venire il bene. La crisi ci sta in specie offrendo proprio l’opportunità di definire un nuovo ordine politico, simmetrico rispetto al mercato.
La sovrastruttura deve convergere sulla struttura.
Un nuovo ordine politico che deve essere globale, come è globale il mercato.
È questa una sfida politica nuova che dobbiamo tutti insieme saper affrontare.
3.4. Un importante uomo politico occidentale ha appena dichiarato: “Rispetto a Bretton Woods ci sono in realtà delle differenze giuridiche. Bretton Woods aveva la forma di un Trattato che andava ratificato dai Parlamenti. Non volevamo questo genere di complicazioni”.
Se vogliamo consolidare ciò che abbiamo già raggiunto con il G20, e se vogliamo evitare la prossima crisi, non possiamo permetterci questo genere di illusioni e di errori.
La crisi si è scatenata nel settore della finanza ma, come in medicina, così in politica, non possiamo e non dobbiamo scambiare i sintomi con la malattia, gli effetti con le cause.
Dobbiamo farlo, se vogliamo evitare che una nuova illusione produca una nuova crisi.
Serve una nuova atmosfera politica. E servono regole giuridiche più generali, non basta scrivere un set di regole “tecniche”.
È vero che nel mondo, nella storia, non è mai stata scritta – finora non è ancora stata scritta – una “Tabula mundi” cosmopolita del diritto globale, un catalogo di princìpi universali scritti senza nulla togliere al diritto interno dei singoli Stati sovrani, ma aggiungendo una parte comune sovraordinata.
Nella tecnica del diritto si trova uno strumento utile per fare questo tipo di esercizio. Uno strumento che prende proprio il nome di “Trattato internazionale”.
Ed appunto Bretton Woods è stato un Trattato internazionale.
È stato un Trattato unilaterale, prima scritto dalla parte più forte, e poi solo firmato per adesione dalle altre parti.
Un nuovo Trattato non può essere fatto così. Deve essere multilaterale non solo nell’adesione “ex post” ma anche nella scrittura “ex ante”.
Simbolicamente può essere preparato e scritto nella parte più debole del mondo. Per esempio, in Africa.
3.5. Il G20 è un corpus politico che ha avuto ed ha una essenziale funzione operativa empirica.
Ma ora, guardando al futuro, serve un qualcosa in più.
Qualcosa che abbia un valore simbolico e politico nuovo, che rappresenti organicamente il nuovo ordine.
Qualcosa che trasmetta ai nostri popoli un messaggio politico permanente forte e condiviso perché fatto tutti insieme di futuro e di pace. Di futuro nella pace.
3.6. Questa idea un prodotto del G7 italiano. È nata con il G7, ma non è del G7 e per il G7. Guarda lontano, ha bisogno dell’impegno di tutti. Ed in specie del contributo positivo di tutte le esperienze politiche, culturali e storiche, oltre che di tutte le sensibilità.
L’idea non è quella di un codice fatto di vecchi codici ma uno strumento per scrivere una nuova pagina della nostra storia.
Ha preso il nome ambizioso di “Global Standard”. Il nucleo base di un nuovo Trattato. Qualcosa che può anche presentarsi come una utopia.
Ho l’onore di depositarne qui una prima bozza. Una bozza di studio. E non avrei potuto immaginare una sede migliore per tentare di avviarci sopra una discussione politica.
Una discussione che sarà certamente critica e difficile. Ma – ho fiducia – il solo fatto che sia difficile, non la rende inutile!
3.7. Finisco con due considerazioni.
Prima considerazione. Il vecchio tavolo coloniale, un tavolo che è stato ormai bruciato dalla storia, aveva una gamba sola.
I tavoli a due gambe non stanno in piedi! E questo non è il frutto del pensiero occidentale od orientale, è sapienza universale.
Per tenere in piedi un tavolo servono infatti più di due gambe!
Il G20 non può essere modificato togliendo lo zero e trasformandolo in G2. Come minimo serve un G3. Ma è meglio il G20!
Questa è, per quanto mi risulta, la posizione dell’Europa. Un’Europa che la crisi sta rendendo sempre più coesa, più organica, più responsabile, anche nella costituzione di una nuova architettura politica mondiale.
Seconda considerazione. L’idea stessa di un Trattato presuppone una nuova parità delle posizioni basata sul rispetto reciproco.
Dal lato occidentale la parità presuppone essenzialmente il rispetto per le forme politiche diverse dalla nostra.
C’è una ragione per dirlo. Appena 30 anni fa, in Europa, la democrazia non era la regola, essendo fuori dalla democrazia più di un terzo della popolazione dell’attuale Europa a 27.
Ed in più, venendo ad oggi, cadute le ideologie e logorata la “forma-partito”, la forma politica democratica tipica dell’Occidente, si sta mettendo essa stessa “in experimentum”. E non è comunque merce che si esporta stile McDonald’s.
In realtà, è la geografia che fa l’economia ed è l’economia che fa la politica, adattandola alla realtà.
Lo ha scritto per primo nel 1708 l’illuminista Diderot, nel suo “Viaggio in Olanda”.
Anche politicamente i piccoli spazi sono diversi dai grandi spazi.
E non solo. La globalizzazione ci insegna che non c’è più spazio per l’autarchia, né dei piccoli né dei grandi Paesi.
Tutti, grandi e piccoli, piccoli e grandi, hanno bisogno degli altri.
E come la terra ha bisogno del mare, così il mare ha bisogno della terra.
La particolarità storica della Vostra esperienza politica non è stata e non è – mi pare – nel passaggio dal socialismo al capitalismo. Ma è stata un intenso processo di riforme interne al Vostro socialismo. Riforme ancora in corso.
Non solo. La tolleranza reciproca non deve essere solo economica, ma anche culturale e religiosa. Perché l’essenza delle nostre società non è solo commerciale, ma soprattutto morale e politica.
Tre secoli fa, in Europa, l’uomo di Kant aveva: “Il cielo stellato sopra di sé e la legge morale dentro di sé”.
L’uomo globale post-moderno si è illuso di avere il pensiero unico sopra di sé ed il mercato unico sotto di sé.
Ora è arrivato il tempo per combinare diversamente il mercato ed il pensiero. Non il mercato, senza pensiero. Non il pensiero, senza mercato.
Non c’è solo la competizione, c’è anche ed è soprattutto necessaria la comprensione.
Nessuno ha titolo per insegnare agli altri.
All’opposto, tutti hanno il dovere di imparare dagli altri. E la nostra storia, la storia della Cina e dell’Italia, lo hanno indicato per millenni.
La crisi ci ha riportato ai valori fondamentali.
Il nostro dovere è di conservarli come sacri, ma il nostro dovere è ora anche quello di combinare le nostre storie e le nostre culture, costruendo insieme qualcosa di nuovo, senza distruggere niente di quello che c’era prima, ma aggiungendo qualcosa.
Un “catalogo” di valori comuni universali.
A dover essere ed a poter essere universali non sono infatti le forme nazionali della politica, ma i valori comuni!
Come notava Tocqueville una situazione rivoluzionaria è quando il Governo dà un dito ed il popolo chiede una mano; quando il Governo dà la mano ed il popolo chiede il braccio.
Il G20 è il dito, o tutt’al più la mano. Date il braccio.
Voi che di rivoluzioni avete esperienza, iniziamo insieme una grande pacifica rivoluzione globale.
Grazie!
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