I Paesi europei dovrebbero riflettere con attenzione non compromessa da pregiudizio sui tanti segnali di cambiamento in corso nella comunità internazionale.
L’accordo, ufficializzato presso l’Agenzia internazionale per l’energia atomica, in base al quale 1.200 chilogrammi di uranio a basso arricchimento verranno trasferiti dall’Iran in Turchia, in cambio di 120 chili di combustibile arricchito con cui produrre isotopi radioattivi necessari per la cura del cancro, è uno di questi segnali lasciati colpevolmente cadere.
Una reazione rancorosa, partigiana, polemica e di totale chiusura è quanto Stati Uniti e Israele hanno fatto trapelare, mentre l’Europa si è in gran parte allineata all’anatema senza discutere.
Fra i tanti aspetti sottovalutati del panorama geopolitico internazionale potremmo proprio sottolineare quello delle relazioni fra Turchia e Iran, due Paesi indubbiamente “in crescita” e che svolgono un ruolo fondamentale nello scacchiere vicinorientale. Dotati di ordinamenti statuali differenti, essi hanno nondimeno fatto del reciproco rispetto un punto di forza e di lungimiranza.
La Turchia si è liberata, o sta per liberarsi, dell’opzione laico-massonica che le è stata imposta per decenni allo scopo di tenerla legata al carro dell’”Occidente”. Ora – faticosamente ritrovata una propria autonoma dimensione politica – essa può dialogare senza remore anche con la Repubblica Islamica, in nome di una comune sensibilità rafforzata dal sentimento religioso. Il caso Ergenekon e le tensioni interne legate alla presenza virulenta di potenti lobbies islamofobe dimostrano che la partita è ancora in gioco, ma certamente passi importanti sono stati compiuti sulla strada di una piena sovranità. Anche il recupero della consapevolezza del suo grande passato, delle sue radici tradizionali, non è privo di importanza : l’Impero ottomano non è più visto come inconciliabile e contrapposto alla repubblica turca, ma se ne considera la positiva eredità storica, il suo carattere multietnico.
La solennità degli ultimi onori resi nel settembre dell’anno scorso a Ertuğrul Osman, nipote del sultano Abdullamid II, manifesta il ritorno di grazia dell’Impero ottomano. Nel 1924, ancora bambino, era stato espulso dalla Turchia con i membri della famiglia reale: con il suo esilio, sembravano liquidati definitivamente i resti dell’Impero. Per i funerali dell’erede al trono, diecimila persone e molti ministri si sono ammassati alla cerimonia organizzata alla Moschea blu.
Il fatto è che Turchia e Iran condividono oggi quello che si è in gran parte perso nell’Europa “occidentale” : il rispetto per le proprie tradizioni e per valori autentici di contenuto spirituale e comunitario.
Venuta meno la frattura e la separazione ideologica imposta dagli Stati Uniti, Turchia e Iran hanno ritrovato il gusto e la reciproca soddisfazione del dialogo, del loro essere e sentirsi vicini : gli scambi commerciali (circa 12 miliardi di dollari nel 2009, con previsioni in ulteriore forte ascesa) e gli accordi in campo energetico (l’Iran è grande produttore di petrolio, la Turchia grande distributore) rientrano nella normalità di Paesi che non accettano più di essere contrapposti per pregiudiziali imposte dall’estero.
Così come un terreno di intesa è stato trovato nella comune lotta al terrorismo separatista – un terrorismo che presenta la duplice maschera del PKK e del PJAK e che è stato considerevolmente rafforzato dalla catastrofica situazione irachena.
Neppure andrebbe trascurata la particolare posizione di Teheran e di Ankara nei confronti del grave dissesto economico/finanziario esploso a livello mondiale : se infatti le sanzioni occidentali introdotte nel 2007 contro le banche iraniane hanno avuto l’effetto paradossale e fortunato di salvaguardare l’Iran dal tracollo in corso (più in generale ciò si è verificato grazie all’estraneità del Paese al sistema oligarchico finanziario attuale e al suo rifugiarsi nel sistema finanziario islamico), anche la Turchia ha segnato ultimamente qualche passo in direzione contraria agli interessi dell’usurocrazia. Il governo infatti ha deciso di non rinnovare il prestito del Fondo Monetario Internazionale, accogliendo sostanzialmente le considerazioni del presidente dell’associazione piccole imprese, Őzgenç, secondo il quale “un nuovo prestito del FMI può soltanto affossare la situazione del debito turco”.
L’intesa tra Iran e Turchia rappresenta un esempio di collaborazione fra nazioni che vogliono gestire in proprio spazi e tempi del loro destino. Come ha recentemente sottolineato il Presidente siriano Bashar al Assad, sta delineandosi “una mappa geostrategica che allinea Siria, Turchia, Iran, Russia, accomunate da politica, interessi, infrastrutture. Prende forma un unico spazio che unisce cinque mari: Mediterraneo, Mar Caspio, Mar Nero, Golfo Arabo e Mar Rosso. E cioè, il centro del mondo”.
Il senso della strategia statunitense si può oggi forse compendiare nell’obiettivo di legare la Russia allo schieramento occidentale,recuperandola al gioco americano. In un’intervista al Corriere della Sera (26 maggio 2010) il generale James Jones – già comandante supremo della NATO dal 2003 al 2006 e attuale consigliere per la Sicurezza Nazionale USA – ha chiarito esplicitamente il punto : “La questione fondamentale, che preoccupa anche i russi, è se la Russia in fondo debba essere dentro o fuori l’arco euro-atlantico. A nostro parere la soluzione migliore è che stia dentro. Sin dai primi giorni di questa Amministrazione il Presidente ha lavorato duro per rassicurare il Presidente Medvedev che esiste un percorso sul quale possiamo camminare insieme …”.
La costituzione di uno spazio integrato fra la Russia e i suoi vicini è il bersaglio dell’”arco euro-atlantico”, che cerca di separare – con le buone o con le cattive – la Russia dagli altri Paesi dell’area. Per questo sono tanto più importanti politiche di accordo e di armonia come quella tra Iran e Turchia : per dare forza e consistenza al “centro del mondo”, incoraggiando la Russia a svolgere il suo ruolo naturale in – e non contro – tale contesto.
La scelta epocale, che riguarda anche l’Europa, è quella del passaggio da un sistema unipolare, in cui gli Stati Uniti concertano in solitario (ossimoro necessario) la politica mondiale, a un sistema multipolare equilibrato e rispettoso di diversi modelli e stili di vita. In altri termini, di immediata attualità : la fine di un mondo fondato sull’accaparramento, sulla speculazione finanziaria e sul colonialismo culturale e militare.
Aldo Braccio, esperto di Vicino e Medio Oriente, è redattore di Eurasia.
Questo articolo è coperto da ©Copyright, per cui ne è vietata la riproduzione parziale o integrale. Per maggiori informazioni sull'informativa in relazione al diritto d'autore del sito visita Questa pagina.