L’albero della degradazione finanziaria della Grecia era bastato a dissimulare la foresta dei deficit statunitensi. Allo stesso modo, il debito irlandese viene ad oscurare l’annuncio del nuovo programma di riscatto massivo di buoni del tesoro da parte della FED. Questa operazione di «quantitative easing» consiste nell’immettere liquidità ed innestare un abbassamento dei tassi d’interesse sulle obbligazioni di Stato. Ciò dovrebbe permettere un’iniezione di 600 miliardi di dollari nell’economia d’Oltreatlantico.

La FED aveva già introdotto una somma di 1700 miliardi di dollari nel circuito economico statunitense. Questo nuovo programma d’iniezione di liquidità ci mostra che questa politica monetaria ha largamente fallito, poiché si dimostra necessaria una nuova fase di riscatto. Soprattutto, ci indica che il «quantitative easing» non è più una politica straordinaria. Si inserisce nel tempo diventando così una procedura normale.

Contrariamente alle dichiarazioni del Tesoro, la creazione di moneta lanciata dagli USA non ha per obiettivo di permettere alle banche di concedere dei crediti ai privati e alle imprese. Vista la congiuntura economica, questa richiesta è attualmente debole e le istituzioni finanziarie dispongono di riserve importanti.

C’è già abbondanza di liquidità. Aggiungerne non risolverà il problema attuale, che è quello della diffidenza delle banche rispetto alla solvibilità degli eventuali richiedenti prestito.

A chi può quindi servire questa iniezione permanente di liquidità all’interno di un mercato già saturo? Per rispondere a questa domanda, è sufficiente osservare gli effetti di questa politica: creazione di bolle speculative e sparizione del valore degli attivi, afflusso di capitali nei paesi in grande crescita, come la Cina o l’India e attacchi speculativi, specialmente nella zona euro.

La politica statunitense della monetizzazione del proprio debito pubblico è attualmente poco inflazionistica poiché una grande parte dei capitali lascia gli Stati Uniti al fine di piazzarsi sui mercati emergenti e non alimenta la domanda interna degli USA. Questa non provoca neanche un forte ribasso del dollaro, a causa degli acquisti addizionali di attivi: oro, materie prime e petrolio, indotti da quella politica, si effettuano nella valuta statunitense, sostenendo così il suo andamento.

Per quanto concerne l’Unione Europea, la BCE ha annunciato la prosecuzione della sua politica d’acquisizione di obbligazioni sovrane. Ha anche deciso di prolungare il suo dispositivo di rifinanziamento, illimitato e ad un tasso fisso, delle banche, per un nuovo periodo di almeno quattro mesi. Anche qui, si registra un cambio d’attitudine: questa politica non è più presentata come eccezionale, ma duratura. Abitualmente, la BCE compra dei titoli a scadenza molto breve: 3 settimane, un mese. Ma attualmente, compra dei titoli a scadenza di un anno.

Fino ad ora, la BCE ha comprato dei buoni di debito pubblico per un ammontare di 67 miliardi di euro, essenzialmente dei titoli di Stati in difficoltà, come la Grecia e l’Irlanda. Siamo quindi ben lontani dai 600 miliardi di dollari di riscatto effettuati dalla FED. La politica della Banca Centrale Europea differisce non solo quantitativamente, ma anche qualitativamente, poiché, al fine di evitare un aumento della massa monetaria, ha scelto di sterilizzare la sua iniezione, ritirando le liquidità per un ammontare equivalente.

L’obiettivo della Banca Centrale Europea è di provare a ritardare al massimo una ristrutturazione del debito greco, irlandese, portoghese… Le grandi banche europee erano fortemente impegnate nei loro finanziamenti. Si tratta prima di tutto di salvare le istituzioni finanziarie private e di tentare di fare pagare la fattura ai lavoratori e ai risparmiatori. Così, l’Unione Europea si è impegnata sulla strada della riduzione brutale dei deficit pubblici. La commissione ha lanciato delle procedure per deficit eccessivo contro gli stati membri. A metà del 2010, praticamente tutti gli stati della zona vi si erano sottomessi. Si chiede loro di impegnarsi a tornare sotto la soglia del 3% prima del 2014 e questo a prescindere da quale sia l’evoluzione della situazione economica. Le misure previste per realizzare questi obiettivi non consistono in una tassazione dei grandi redditi o delle transazioni finanziarie, bensì nella diminuzione del salario diretto e indiretto, che sappia mettere in moto delle politiche salariali restrittive e la rimessa in discussione dei sistemi pubblici, pensionistico e sanitario.

La politica monetaria fortemente espansiva degli USA, dando delle munizioni ai mercati finanziari, permette di lanciare, in modo economico, delle operazioni di speculazione contro la zona euro. Questa è tuttavia in linea con gli obiettivi dell’UE, poiché le permette di mobilitare i mercati e di fare pressione sulle popolazioni europee, al fine di far loro accettare una diminuzione drastica del loro tenore di vita. Le politiche di budget intraprese dagli stati membri avranno per effetto di impedire qualsiasi ripresa economica, indebolendo in compenso le finanze pubbliche e reclamando dei nuovi trasferimenti di reddito dai lavoratori verso le banche e le imprese. La crisi dell’euro non ha finito di balbettare.

(traduzione di Valentina Bonvini)


* Jean-Claude Paye, sociologo, contribuisce frequentemente a “Eurasia”. Sulla rivista ha pubblicato: Spazio aereo e giurisdizione statunitense (nr. 4/2007, pp. 109-113), Gli scambi finanziari sotto controllo USA (nr. 1/2009, pp. 109-120), La gerarchizzazione del sistema finanziario (nr. 1/2010, pp. 237-248).


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