Il seguente articolo è stato originariamente pubblicato nell’edizione del 17/10/2013 del quotidiano cinese in lingua inglese “Global Times”
La crisi siriana e le sue ripercussioni dimostrano che i politici e gli analisti non possono ignorare il Mediterraneo se vogliono affrontare seriamente le sfide globali. Dopo il colpo di Stato militare in Egitto contro l’ex presidente Mohammed Morsi, il parere dei media sulla Siria è cambiato e molte persone hanno cominciato ad avere più consapevolezza del pericoloso ruolo dell’estremismo islamista annidato tra gli elementi dei gruppi ribelli siriani.
Così anche l’opinione pubblica si è pronunciata fortemente contro il coinvolgimento occidentale in un’ennesima guerra. Sebbene con alcune ambiguità, i governi dell’Italia e della Germania restano contrari a qualunque intervento militare in Siria al di fuori dell’approvazione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Anche se Roma e Berlino non hanno mai messo seriamente in discussione le loro politiche atlantiste, non possono permettersi di intervenire militarmente in Siria. Dopo l’avvio delle sanzioni contro il governo siriano da parte dell’Unione Europea, la bilancia commerciale italiana ha perso circa 2 miliardi di euro. Se gli Stati Uniti e la Francia dovessero muovere guerra contro la Siria, le perdite commerciali per l’Italia aumenterebbero e la sicurezza collettiva sarebbe notevolmente compromessa. Anche la cancelliera tedesca Angela Merkel ha espresso le sue forti preoccupazioni per un’escalation militare in Medio Oriente.
Dieci anni dopo l’invasione statunitense dell’Iraq, nella regione sembra prendere piede una nuova coscienza politica secondo cui gli Stati Uniti, la Francia e la Gran Bretagna non dovrebbero decidere unilateralmente di aggredire un Paese sovrano. I Paesi dell’Europa meridionale, come l’Italia, la Spagna e la Grecia stanno vivendo una dura crisi economica e attualmente non hanno sufficienti mezzi e credibilità per proporre una politica comune mediterranea tesa alla stabilizzazione della regione.
Tuttavia Washington, Parigi e Londra non possono capire e rappresentare appieno gli interessi dei popoli mediterranei. Secondo le voci critiche dell’Europa meridionale, queste tre potenze mondiali stanno soltanto riadattando alle circostanze il vecchio schema coloniale dell’accordo Sykes-Picot e costruendo nuove sfere d’influenza, senza alcuna considerazione per le popolazioni locali, per i loro diritti e per la loro sovranità. Il territorio siriano sembra costituire il pivot di questo nuovo Grande Gioco mediorientale.
Sin dall’inizio della crisi siriana, il Mediterraneo meridionale è diventato un inferno geopolitico. Le violente rivolte hanno lasciato sul terreno migliaia di vittime. Le economie di molti Paesi mediorientali sono state sconvolte. Mentre il terrorismo islamista ha generato paura e violenza non solo nei Paesi musulmani ma anche in Europa, non solo contro i musulmani pacifici ma anche contro i cristiani.
Un anno fa, l’allora segretario di Stato americano Hillary Clinton disse che il Pacifico sarebbe stato il più importante teatro marittimo del XXI secolo. Questo è senz’altro vero, ma solo in parte perché l’ultima escalation in Siria evidenzia anche l’enorme importanza del Mediterraneo. “Cos’è il Mediterraneo?”, si chiedeva molti anni fa lo storico francese Ferdinand Braudel nella sua celebre ricostruzione storica della regione, rispondendo che “È mille cose insieme. Non soltanto un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare ma una successione di mari. Non una civiltà ma una serie di civiltà accatastate l’una sull’altra. Per migliaia di anni tutto è confluito verso questo mare, scompigliando e arricchendo la sua storia”.
Il futuro di questa regione dovrà essere costruito attraverso lo sviluppo, il dialogo interreligioso e la comprensione reciproca, non certo attraverso l’imperialismo e il fanatismo religioso.
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