Il 5 Febbraio il presidente russo Dmitrij Medvedev ha annunciato di aver firmato l’attesa nuova dottrina militare per la sicurezza strategica. Assieme al nuovo piano di difesa il presidente Medvedev ha poi dichiarato l’entrata in vigore anche dei nuovi “principi basilari della politica statale nel campo della deterrenza nucleare”, validi fino al 2020.
I due documenti, che insieme delineano il quadro del sistema di difesa russo, rappresentano in sostanza l’ambizione della Russia di tornare ad essere una superpotenza globale attraverso la ripresa di un deciso antagonismo verso l’occidente, la rivendicazione di una propria sfera di influenza ben definita sul piano strategico-militare, e una rinnovata enfasi sulla propria capacità di risposta nucleare, seconda solo a quella statunitense. Più che essere un documento tecnico, infatti, la nuova dottrina militare russa è un vero e proprio manifesto politico, volto a definire le future priorità geopolitiche del paese negli assetti mondiali che vanno definendosi.
Rispetto alle precedenti versioni della stessa (quelle del 1993 e del 2000), la dottrina approvata dal presidente russo ha introdotto una serie di novità estremamente significative per il cosiddetto “reset” delle relazioni con gli USA e per la definizione del ruolo che la Russia intende svolgere nell’ambito della sicurezza globale.
Delle 4 parti di cui si compone il documento pubblicato sul sito ufficiale del Cremlino, la seconda, all’interno della quale si trova il punto relativo alle “Principali minacce esterne di guerra”, è forse quella che risalta maggiormente.
Già il preambolo si presenta come una dura accusa all’intera architettura esistente della sicurezza globale, definita come incapace di garantire “un’uguale sicurezza a tutti gli stati” in un mondo sempre più contraddistinto da un approccio multi-polare con stati in competizione tra loro per il dominio e caratterizzato dal costante indebolimento dei tradizionali cardini economici, politici e militari – è chiaro il riferimento al declino della potenza e leadership americana.
In questo stato di semi-anarchia vengono quindi inquadrate 11 possibili minacce alla sicurezza e integrità della Federazione russa; di queste ben 6 riguardano esplicitamente la NATO e la sua politica di interferenza in quella che viene considerata la legittima sfera di influenza russa in Europa Orientale. Un ben preciso riferimento viene poi fatto a proposito del famigerato scudo missilistico che gli Usa vorrebbero installare in alcuni stati dell’ex-Unione Sovietica, definito senza mezzi termini, assieme alla militarizzazione dello spazio, come una “minaccia alla stabilità globale” e una violazione “dell’equilibrio delle forze in campo nucleare”. Al tempo stesso terrorismo internazionale e fenomeni collegati sono relegati in fondo alla lista, non lasciando alcun dubbio su quali siano le nuove priorità russe.
Questo orientamento estremamente aggressivo nei confronti della NATO e della politica statunitense nell’area ex-sovietica, pur non rappresentando un’effettiva novità rispetto alle dichiarazioni rilasciate negli ultimi anni da vari esponenti del governo russo, Vladimir Putin in testa, diventa estremamente significativo per la tempistica della sua ufficializzazione. Piuttosto singolarmente, infatti, la firma del nuovo piano strategico russo è avvenuta ad un giorno di distanza dall’annuncio statunitense del raggiunto accordo con la Romania per l’installazione nel paese ex sovietico dei missili ABM (a partire dal 2015), primo tassello del tanto decantato “scudo spaziale”.
A confondere ulteriormente le carte dei rapporti russo-americani si aggiunga che l’inserimento della NATO al primo posto tra le principali cause esterne di possibili conflitti e l’accusa agli Statunitensi di essere causa della destabilizzazione regionale e globale con la loro politica interventista, seguono di poco l’inizio delle trattative su una possibile partecipazione russa (anche se solo a livello logistico) in Afghanistan, che come è noto è una guerra dell’Alleanza Atlantica.
Tuttavia, a dispetto di queste idiosincrasie e nonostante i toni quasi da guerra fredda presenti nella dottrina, le accuse russe hanno destato poco clamore nella stampa o nella comunità internazionale, se si escludono alcune dichiarazioni di forma da parte del Segretario di Stato americano, Hillary Clinton, e del segretario della NATO Rasmussen, che hanno accusato la Russia di aver “frainteso” la politica dell’Alleanza Atlantica, assicurandole che non rappresenta alcuna minaccia per la sicurezza russa. Vale poi la pena di citare altre due particolari reazioni alla linea “aggressiva” adottata dalla Russia: le dichiarazioni di Madeleine Albright, ex segretario di stato dell’amministrazione Clinton, in cui ha affermato il “categorico rifiuto statunitense del concetto di sfere di influenza”, e l’assordante silenzio dell’Unione Europea e del suo alto rappresentante per la politica estera, la baronessa inglese lady Ashton.
Al di là dunque dei moniti, ben più interesse hanno suscitato invece le norme relative all’utilizzo dell’arsenale nucleare e, in particolare, la mancata presenza nel documento firmato da Medvedev della vociferata autorizzazione all’utilizzo di un attacco nucleare preventivo.
Considerate nell’insieme piuttosto equilibrate, le nuove disposizioni in materia di armi nucleari contengono però alcune significative novità che danno un’idea abbastanza precisa dell’intenzione russa di giocare un ruolo più attivo nelle questioni attinenti la sicurezza delle sue aree limitrofe.
Nonostante la nuova insistenza sullo sviluppo di armamenti convenzionali e di precisione per la prevenzione dei conflitti (recentemente sono stati resi noti i piani per l’incremento del 50% rispetto agli attuali 40 miliardi di dollari del bilancio per la difesa), oltre che sul ruolo delle armi nucleari come fattore di deterrenza primaria, la nuova linea del Cremlino afferma che: “Le armi nucleari rimangono un fattore importante per prevenire l’insorgere di guerre nucleari e conflitti militari con l’uso di mezzi convenzionali di distruzione” non solo nel caso di conflitti su vasta scala, ma adesso anche nel caso di guerre regionali. Più avanti poi si afferma che “La Russia si riserva il diritto di usare armi nucleari in risposta all’uso della forza contro di essa e (o) contro i suoi alleati con armi nucleari e di distruzione di massa, così come nel caso di aggressione contro la Russia con armi convenzionali, che minacciano l’esistenza stessa dello Stato”.
Queste due nuove disposizioni, l’ipotesi di un intervento nucleare anche in conflitti di scala regionale e la possibilità di una risposta nucleare ad un attacco con armi convenzionali, avvicinano la dottrina russa alle analoghe disposizioni americane (senza però l’opzione dell’attacco preventivo). Una scelta probabilmente destinata ad influenzare il dialogo aperto dal presidente americano Barack Obama e dal suo omologo russo sulla ripresa del trattato START.
* Andrea Bogi si occupa di Russia ed Estero vicino per il sito di “Eurasia”
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