Uno scandalo che, semplicemente, non esiste dà il destro al consueto attacco alla Turchia da parte occidentale: consueto nell’ambito di una martellante propaganda pregiudizialmente antiturca (ma in sostanza in buona misura anche antislamica, perché concernente spesso questioni attinenti il costume e i comportamenti religiosamente orientati) ma anche inconsueto, data la particolare virulenza delle accuse, che riescono a saldare ideologia del politicamente corretto e avversione per un Paese e un regime sentiti come fastidiosamente estranei.
La vicenda che coinvolge Charles Michel (Consiglio Europeo) e Ursula von der Leyen (Commissione Europea) ha tratti piuttosto umoristici nella rappresentazione fattane dai media italiani, che hanno tentato di popolarizzare – riuscendoci, in buona parte – una sorta di farsa degna dei pettegolezzi delle riviste da parrucchiere: la sedia, il divanetto, il Turco cattivo e il maltrattamento (?) subito dai “nostri”, anzi dalla “nostra” von der Leyen, che naturalmente in quanto donna è disprezzata dal Turco cattivo. Non manca nemmeno il malumore fra i due Europei, protagonisti dell’incontro, che per tre giorni – ci assicurano – non si parlano.
Il tutto, è bene ribadirlo, a fronte dello svolgersi di un normale protocollo, concordato fra diplomatici turchi e dell’Unione Europea, in particolare del Consiglio Europeo, un protocollo che obiettivamente non dovrebbe aver offeso proprio nessuno; ma è quanto basta per mandare all’aria il vertice turco-europeo e per confermare una volta di più la chiusura della UE nei confronti di Ankara – una chiusura che accontenta tutti, progressisti preoccupati dall’inguaribile misoginia di Erdogan e reazionari convinti della necessità di rinverdire le glorie di Lepanto.
L’Italia si è distinta nella crociata contro i barbari: il Presidente del Consiglio – dopo aver manifestato solidarietà all’amica Ursula – ha qualificato il Capo di Stato turco come “dittatore” (evidentemente il responso elettorale non conta più, quando non piace agli occidentali); con cui, afferma Draghi, si può però, per tornaconto, collaborare – anzi no, “cooperare”, si è corretto.
Fra gli altri commenti si distinguono quello del Segretario del PD, Letta (“La sedia della von der Leyen diventa la bandiera dei valori europei e la vergogna di Erdogan”) e quello della ex soubrette e neoministro Mara Carfagna (“Un’offesa all’Unione, alle sue istituzioni e ai suoi valori. Inammissibile il mancato riconoscimento della Presidente della Commissione Europea solo perché donna”).
Il Segretario della Lega ha dal canto suo manifestato solidarietà e stima al Presidente Draghi per le sue esternazioni, mentre il Ministro degli Esteri Di Maio, preso un po’ in contropiede, ha preannunciato non meglio precisate “iniziative concordate con il Presidente del Consiglio”. Ne sapremo certamente di più dopo il viaggio imminente del Ministro negli Stati Uniti.
In realtà l’allineamento atlantista dell’Italia – esplicitamente rivendicato da Draghi nel corso del suo discorso di insediamento a Presidente del Consiglio – è perfetto: qualche settimana fa il neopresidente Biden (che già in precedenza aveva qualificato Erdogan come “autocrate”) ha duramente attaccato la Turchia proprio prendendo a motivo i “diritti delle donne”, secondo lui conculcati in quel Paese.
La politica atlantista prevede non solo la massima pressione, condita da insulti e minacce, sugli Stati nemici e sovrani – Russia, Cina, Iran su tutti – ma anche le pressanti e minacciose richieste rivolte a Stati formalmente alleati e però non pienamente subordinati al Washington Consensus.
Fra questi vi è la Turchia: diciamo minacciata a ragion veduta, perché due bombardieri decollati dal Sud Dakota hanno sorvolato le acque del Mediterraneo rivendicate da Ankara (mar Egeo); due caccia F-16 partiti da Aviano li hanno accompagnati e scortati.
Una “missione ad alta visibilità”, l’ha definita il Comando delle Forze Statunitensi in Europa, e destinata a impressionare Ankara, mentre alcuni Stati affacciati sul Mediterraneo (Francia e Israele su tutti) hanno mostrato di gradire. Insomma, l’avversione ideologica dell’Unione Europea nei confronti della Turchia si sposa e si rafforza con l’obiettivo geopolitico strategico degli Stati Uniti di una Turchia ridimensionata e messa in riga.
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