di Franz Altheim*
Quale fu la causa che spinse gli Unni ad abbandonare le loro sedi nel Turkestan e a spostarsi verso occidente? Se le campagne militari degli Han e la comparsa dei Sienpi possono avere indotto le tribù occidentali ad abbandonare la Mongolia e la Zungaria ed a fondare colonie oltre l’Amu Darya e intorno al lago Balkhash, per quale motivo esse ripresero la migrazione? Altheim ipotizza che la causa sia da ricercare nelle circostanze climatiche, che provocarono la siccità, brusche alternanze tra estate ed inverno ed una riduzione dei pascoli necessari alla sussistenza del bestiame.
Il territorio d’origine degli Xiongnu era situato nell’attuale Ciakhar e nella parte occidentale del Cekhol; là si trova attestata per la prima volta, verso la fine del III secolo a. C., la presenza degli Xiongnu, una tribù di scarsa importanza. Essi vivevano dunque a nord delle attuali province dello Shaanxi, dello Shanxi e del Hebei. I loro pascoli si estendevano fino alla Transbaicalia, dove è stato scoperto un campo unnico dell’epoca han. Ma già agl’inizi del secolo successivo avevano avanzato parecchio verso occidente. È quello che indicano le conquiste del personaggio al quale gli Unni dovettero la loro grandezza, che si chiamava Maodun. Apollodoro di Artemita riferisce che lo Stato greco-bactriano arrivava fino al paese dei Seri e dei Fauni. È fuor di dubbio che fu Demetrio I, il conquistatore dell’India, a stabilire un contatto, sia pure non immediato, del proprio paese con la Cina fiorente dei primi Han. Parlando dei Seri, Apollodoro non li poteva localizzare se non nell’attuale Turkestan orientale. Quanto al nome che la tradizione conserva sotto la forma di “Fauni”, se è fondato sostituire ad esso quello dei Frini, si potrà riconoscere l’antica forma cinese del nome degli Xiongnu.
Il crollo del loro Stato spostò il centro di gravità degli Unni ancor più ad occidente. Tolomeo conosce i Grynaioi Skythai, variante più giovane dello stesso nome, che egli colloca al di là dello Iassarte, cioè nella steppa di Golodnaja e intorno al lago Balkhash. (Più a nord, nei pressi di Tobolsk, è venuto alla luce un bronzo dell’Ordos). Ma nella medesima opera di Tolomeo questo popolo è menzionato sotto un altro nome, Unni, che esso avrebbe conservato in Europa. I Chounoi di Tolomeo sono ubicati tra il Don e la Volga, dove hanno come vicini i Rossolani. Foneticamente, Chounoi corrisponde alle lettere sogdiane chwn, di cui parleremo in seguito, ed al Chunus Chuni di Sidonio Apollinare. Tolomeo mostra che almeno una parte degli Unni aveva proceduto parecchio verso occidente.
L’opera geografica di Tolomeo, composta fra il 160 e il 170 d. C., presenta l’avanguardia di questo popolo nomade ormai arrivata sul territorio europeo, mentre i ritardatari si trovano ancora in prossimità dello Iassarte. A questi dati si aggiungono alcuni reperti archeologici. La necropoli di Taštik sul medio Jenisei (dove compare il cranio di tipo mongolide e dove gli ombrelli cerimoniali sono d’origine cinese) riflette la penetrazione degli Unni in quelle regioni. Gli scavi di Alatau, in territorio chirghiso, alla confluenza del Kenkol e del Talas, consentono di collocare il loro arrivo tra la fine del I secolo e l’inizio del II. È istruttivo confrontare con questi dati le informazioni di provenienza cinese.
Il Wei-Chou, composto dopo la metà del VI secolo, racconta eventi che esso fa risalire a poco più di trecentocinquant’anni prima. Secondo questo resoconto, gli Xiongnu avevano conquistato il paese di Suktak, precedentemente chiamato Antsai, e ne avevano ucciso il re. Suktak, alias Antsai, si troverebbe sulla riva di un grande lago, a nord-nord-ovest del Kangku (Samarcanda, Taškent, Bokhara). Da tempo questo lago è stato identificato col Lago d’Aral e gli abitanti dell’Antsai con gli Alani. Si tratta dunque dell’assoggettamento di un popolo iranico, la cui area si estendeva ad ovest fino alla bassa Volga, dove esso aveva come vicini gli Ostrogoti. Lo stesso evento – ne riparleremo – è riportato da alcuni storici romani.
Sotto il profilo archeologico, ciò si riflette nel fatto che si vedono scomparire le tracce degli Alani della Volga. La loro regolare evoluzione poteva essere osservata nella tarda età ellenistica; col IV secolo, scomparsa totale; sarà in Ungheria, nel Caucaso ed in Crimea che tale evoluzione proseguirà, in forme nuove e con diversi contatti. Innanzitutto le sepolture della necropoli di Borisov, nel nord-ovest del Caucaso, attestano che gli Alani si ritirarono davanti alla penetrazione di una cultura orientale; ora, questa cultura non era se non quella degli Xiongnu. L’iscrizione sassanide di Paikuli, che è databile al 293 e dà il titolo turco di chaqan ad un principe insediatosi nella stessa regione, dimostra che gli Unni vi erano già apparsi verso la fine del III secolo.
Tuttavia i rapporti fra Alani e Xiongnu risalgono ad un periodo più antico. Verso la metà del I secolo avanti la nostra era, un capo unno accompagnato da tremila uomini della sua tribù arriva ad ovest di Kangku ed impone il pagamento di un tributo agli Antsai, ossia agli Alani. Nell’anno 34 è sconfitto da un esercito cinese. I Chounoi di Tolomeo, che si sono insediati nel territorio alano, sono identificabili con questo gruppo o invece provenivano da una seconda e più recente ondata diretta verso ovest? La questione rimane aperta, ma la prima ipotesi è la più verosimile.
I due brani di Tolomeo che abbiamo richiamati restano a lungo le sole citazioni di questo popolo che troviamo nelle fonti coeve. Tra gli anni 150-160 e la metà del IV secolo si frappone una lacuna di più di duecento anni; gli Xiongnu sembrano essere scomparsi dalla storia. La Cina, che fino ad allora era stata la sola a fornire i dati, si trovava assorbita dai suoi affari interni e stava combattendo contro i Sienpi. Essa non poteva più occuparsi di quelli che si erano lanciati verso occidente, la retroguardia dei quali toccava il nord-est del lontano Turkestan. D’altronde, a parte i suddetti Chounoi, gli Xiongnu dovevano restare ignoti al mondo romano, fuori dalla sua portata. Gli Alani e i Goti li separavano dall’Occidente. Ed anche là si doveva pensare ai propri affari, molto impegnativi; nessuno supponeva che dall’Asia centrale potesse arrivare una nube di tempesta.
Fra il 170 e il 375, un solo particolare squarcia le tenebre. Verso l’anno 290, Tigrane d’Armenia aveva assoldato dei guerrieri unni, non solo alani; è quello che ci narrano alcuni storici armeni più recenti. Si è indotti a ricollegare a questo fatto la testimonianza di Prisco, secondo cui due re unni, Basikh e Kursikh, avevano tentato senza successo un’incursione destinata a saccheggiare l’Iran e la Media. In seguito, a partire dal 375, il nome degli Unni è sulle labbra di tutti; il terrore che esso ispira durerà attraverso i secoli.
Veniamo alla questione decisiva: esiste fra Xiongnu ed Unni, storicamente parlando, un rapporto di unità? Spesso sono stati considerati equivalenti e assimilati gli uni agli altri; tuttavia l’opinione contraria non ha mai mancato di farsi valere. In primo luogo, dal punto di vista linguistico, i due nomi non sono applicabili ad un solo ed unico titolare. Nondimeno, si è autorizzati a troncare la questione in senso positivo. Da un po’ di tempo è emersa in Oriente, per designare appunto gli Xiongnu, la forma che corrisponde a Hunni, Chuni ed ai paralleli greci.
È stato accertato che solo gli Xiongnu occidentali avevano intrapreso la migrazione. Le tribù meridionali, all’inizio del IV secolo, si trovavano ferme nello Shanxi, al servizio dell’imperatore. Il loro shanyu, Liu Yuan, nel 308 si fece acclamare imperatore della Cina e suo figlio Liu Cung, che gli succedette nel 310, combatté nel 311 la battaglia decisiva. La capitale Luoyang, abbandonata dall’esercito, fu presa d’assalto dagli Xiongnu e l’imperatore legittimo venne fatto prigioniero.
Su questo evento e su quelli dei due anni successivi ci informano cinque lettere redatte in sogdiano e scoperte da Sir Aurel Stein, nonché i settecento documenti cinesi di una torre di guardia del limes, ad ovest di Dunhuang. I Sogdiani, insediati a nord dell’Osso (Amu Darya), si erano spinti lontano coi loro commerci, soprattutto verso la Cina settentrionale. Un loro agente residente a Luoyang o, come egli dice, a Sarag, nella seconda lettera parla degli Xiongnu chiamandoli chwn: dunque, degli Unni. È questa la prova dell’unità dei due popoli.
C’è un altro fatto che la conferma: gli Xiongnu, come gli Unni, parlavano turco. Per quanto concerne gli Xiongnu, le loro vestigia linguistiche lo attestano da sempre. Quanto agli Unni, la dimostrazione è stata data dalla lettura e dall’interpretazione delle iscrizioni protobulgare. Si pone così un’altra questione: quale fu la sorte degli Unni nei due secoli “oscuri” della loro storia? Risulterà che questo periodo ebbe un ruolo decisivo nella formazione del loro popolo.
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Fino ad allora, tutti i rapporti culturali degli Xiongnu erano stati condizionati dalla vicinanza della civiltà cinese. Emigrando verso occidente, questo popolo entrava nella sfera d’influenza d’un altro mondo: prendeva contatto con l’Iran partico e sassanide.
Le manifestazioni dell’irradiamento della cultura han si estendevano ampiamente ad ovest, soprattutto nel periodo in cui la potenza del Figlio del Cielo giungeva al suo apogeo. Ma gli scavi stessi che testimoniano di questa espansione lasciano riconoscere la transizione da un’area all’altra. Le sepolture di Pazyryk e di Shib nell’Altai hanno custodito sete e lacche cinesi; inoltre Pazyryk aveva dei cavalli provenienti dall’allevamento iranico. D’altra parte, nella necropoli di Oglakty, a nord di Minussinsk sullo Jenisei, gli stessi prodotti d’esportazione cinese si trovano insieme con maschere mortuarie di gesso, che non si sa bene se debbano essere paragonate a quelle cinesi o quelle partiche.
Già nelle loro tappe dell’alto Jenisei gli Unni avevano adottato l’uso di ricoprire con una foglia d’oro diversi oggetti di legno. Sono noti gli “archi dorati” delle tombe di Novogrigorevka nel distretto del Dnepr, di Jakuszowice presso Cracovia e di Pécsuszog: insegne di comando dei capi unni che si distinguono per la guarnizione a foglia d’oro. Nelle sepolture altaiche si trova la medesima tecnica, contemporanea dell’epoca di Pazyryk, dunque dell’arrivo degli Unni. Essa si limita a piccoli oggetti, bottoni e barre di legno. Ma gli Unni avevano acquisito questa specialità imparandola più ad oriente. Le tombe di Taštik nel territorio dello Jenisei presentano grande abbondanza di foglie d’oro su legno; frecce di legno rettilinee (fino ad oggi l’arco non vi è attestato) sono state fabbricate in questo modo. Vi si trovano parimenti le maschere mortuarie.
Quando gli Xiongnu occidentali – o gli Unni, come ormai sarebbero stati chiamati – si fermarono nel Turkestan settentrionale, ebbero come vicini i Sogdiani. Proseguendo nella loro migrazione verso occidente, rimasero nell’immediata vicinanza di tribù iraniche. Anche nella Russia meridionale vivevano vicino agli Alani iranici. (…)
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Sembra che gli Unni non abbiano fatto alcuna incursione nella Sogdiana. Sul corso superiore dell’Osso, nella regione di Wakhan e di Ishkoshim, è venuta alla luce tutta una serie di fortificazioni che formavano una barriera continua. Gli autori degli scavi hanno dovuto pensare alle postazioni fortificate che nella Coresmia proteggevano il territorio e le vie commerciali. Alla frontiera militare sull’Osso ne era collegata un’altra che andava dalla valle del Pyanj (Yang-chun, Ka’ana) al Tianshan occidentale (Angka-Kala, Shirdak-bak). La linea dell’Osso assicurò, anche allora, un’efficace difesa; si sa che era stata inaugurata da Ciro e che poi fu perfezionata dai Seleucidi e dai re della Bactriana greca. È possibile che nel II secolo i Kushan, la cui potenza giunse all’apice sotto Kanishka, abbiano arrestato su quella linea le invasioni nomadi. La splendida civiltà del primo periodo kushan, testimoniata dal secondo strato degli scavi di Begram, restò intatta, come quella della Coresmia contemporanea. Il regno dei Kushan decadde solo nel III secolo. Giunge al termine, nell’India nordorientale, il primo periodo dell’arte di Gandhara, fiorita proprio sotto i Kushan. Il loro impero indiano crolla con Vasudeva; poco prima, la Coresmia si era resa indipendente. Decisivo, nella fattispecie, fu il fatto che i due primi Sassanidi, i quali avevano operato per far crollare l’impero dei Kushan, riportarono a nordest la difesa frontaliera. Si impadronirono del paese originario dei Parti, di Merv, di Balkh e dei territori situati di là dall’Osso; sembra anche che per un certo periodo la Coresmia, non più vassalla dei Kushan, sia stata vassalla dell’impero sassanide.
Più tardi, gli Unni non furono in grado di intervenire contro questa potenza così saldamente insediata. Sono state trovate le tracce di colonie istituite sulla riva orientale del Lago d’Aral. Sembra che siano state abitate, verso l’inizio dell’era volgare, prima da Massageti ed Alani seminomadi, poi da Unni ed Eftaliti. Dovette essere quello il punto di partenza della migrazione unna verso occidente. Siccome tutte le altre vie erano sbarrate, essi furono costretti ad aggirare a nord il Lago d’Aral ed il Caspio, per arrivare al corso inferiore della Volga e quindi sul Don. Là comincia la serie dei ritrovamenti archeologici che scandiscono il seguito del loro tragitto.
La massa della migrazione unnica era già passata, quando verso la metà del IV secolo apparve una retroguardia. Erano gli Eftaliti, chiamati anche Unni “bianchi”. Nell’Iran orientale essi raccolsero il testimone dei precedenti signori del paese; furono in particolare i Sassanidi a ricevere da loro i colpi più rudi. Dinastia reale e nobiltà erano di stirpe turca; in questo paese iranico essi adottarono la lingua letteraria, scritta con l’alfabeto greco.
Rimane da chiarire una questione: perché gli Unni non rimasero fermi nelle loro sedi del Turkestan? Quale fu il motivo che li spinse verso occidente?
Fino ad allora, se gli Xiongnu occidentali avevano ceduto terreno, lo si poteva spiegare con la pressione politica e militare che dovettero subire. Le campagne degli Han, il crollo dell’impero unnico, l’apparizione dei Sienpi: tutto ciò salta agli occhi. Erano stati questi i fattori che avevano indotto le tribù occidentali ad abbandonare la Mongolia e la Zungaria ed a fondare colonie oltre l’Amu Darya e intorno al lago Balkhash. Ma in seguito, quale fu la causa che li spinse a riprendere la migrazione? Non si trova nessuna traccia di avversari politici o militari. Se non riuscì loro di invadere i paesi situati più a sud, la Sogdiana e la Coresmia, ciò non li obbligava ad inoltrarsi più lontano. L’economia rurale, in quanto tale, non si prestava ad acquisizioni supplementari ottenute mediante la rapina e il brigantaggio, almeno quando non se ne ha bisogno.
È stato accertato che gli Unni, ad est del Lago d’Aral, vivevano in colonie; in tal modo si conformavano alla pratica dei loro predecessori massageti ed alani. Erano dunque dei seminomadi; possedevano abitazioni invernali, praticavano un po’ di agricoltura, raccoglievano il foraggio. Seminomadi di questo tipo sono relativamente pacifici. Solo i nomadi a pieno titolo, che non hanno pascoli e non accumulano fieno, si danno coscientemente al saccheggio. Ma ciò non costituisce una risorsa economica addizionale; vi si dedicano anche quei nomadi la cui condizione economica non lascia a desiderare. Per loro è un modo di esercitarsi alla guerra: spedizioni alla ricerca di bottino e combattimenti coincidono.
In mancanza di ogni altro indizio, ci si potrebbe domandare se la migrazione unnica verso occidente non fosse dovuta a circostanze climatiche. Questa spiegazione, però, deve essere accompagnata dalle necessarie riserve, specialmente quando ci si muove su un terreno straniero. La curva delle variazioni del clima asiatico, valida per l’Eurasia all’incirca dal Mar Nero fino all’Altai, scende a partire dalla metà del I secolo a. C.; inizialmente è una discesa poco pronunciata, poi accelera e si fa sempre più rapida. La prima caduta profonda avviene intorno all’anno 300 dell’era volgare; questo fenomeno resta limitato all’Asia, perché la curva parallela della Sequoia gigantea californiana non presenta nulla di simile.
Ora, se la curva climatica cade, ciò comporta la siccità, brusche alternanze tra estate ed inverno, una riduzione del prodotto dei pascoli. Che dire, se non che, per assicurare la sussistenza di una popolazione e di un bestiame che non diminuiscono, è necessario aumentare l’estensione delle superficie utili a questo scopo? La caduta della curva climatica ha come conseguenza un’espansione. Fu intorno all’anno 300 che gli Unni si allontanarono dall’Asia interna e si diressero verso la Russia meridionale.
* Franz Altheim, Attila und die Hunnen, Baden-Baden 1951, cap. II, §§ 3, 4, 6 (trad. it. di C. M.). Di Franz Altheim (1898-1976), storico, filologo e archeologo tedesco, “Eurasia” ha pubblicato anche: La funzione eurasiatica degli Unni (nr. 1/2006, pp. 11-15) e Un greco in India (nr. 2/2006, pp. 9-12).
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