La Catalogna (Catalunya in catalano), comunità autonoma (comunidad autonòma) e regione storica della Spagna, comprende le province spagnole del nord- est: Girona, Tarragona, Lleida e Barcellona che ne è il capoluogo. La Catalogna è la più ricca ed industrializzata parte della Spagna. (1)
Riconosciuta nella Costituzione spagnola come comunità autonoma e come nazionalità dal proprio Statuto di autonomia del 18 dicembre 1979 (2), esprime rivendicazioni regionaliste, autonomiste ed indipendentiste. La forte spinta identitaria dei Catalani è ancora oggi causa di frizioni col governo centrale.
La Spagna ha conferito autonomia amministrativa alle sue aree interne che si individuano come unitarie per la loro tradizione storica, etnica e culturale (Catalogna, Andalusia, Province basche, Galizia, Asturie ecc.). Questo tentativo di aderire quanto più possibile alle differenze regionali è appunto rappresentato dal regionalismo. Il regionalismo ha portato alcuni autori, come Ambrosini (1944), a parlare di uno Stato regionale come tipo intermedio tra lo Stato unitario e quello federale. In realtà, l’analisi delle realtà statuali ci consente di osservare che in entrambi i casi (regionalismo e federalismo) il problema risiede nelle differenze e complementarità tra poteri centrali e poteri periferici: nel regionalismo è l’autorità centrale che si spoglia di alcune sue prerogative per affidarle ad organismi locali, mentre nel secondo sono le autorità locali che delegano a un organo centrale alcuni dei loro poteri. È quindi questa, per cosi dire, cronologia del potere, che consente a quasi tutte le Costituzioni federali di prevedere la secessione, mentre nessuno Stato unitario, se pure conceda ampia autonomia regionale, ammette la possibilità che le regioni si costituiscano in Stati separati. (3)
La Generalità della Catalogna (in catalano: Generalitat de Catalunya) è il nome con cui viene indicato il sistema amministrativo-istituzionale per il governo autonomo della Comunità autonoma della Catalogna. Gli organi che la compongono sono: il Parlamento, il Consiglio Esecutivo, la Presidenza della Generalitat e altri organi minori che sono contemplati dallo Statuto d’autonomia della Catalogna.
La regione è balzata all’onore della cronaca spagnola e internazionale negli ultimi mesi con frequenti manifestazioni e proteste dovute alla crisi che sta colpendo l’ economia spagnola.
In particolare la manifestazione per l’indipendenza catalana, svoltasi a Barcellona l’11 settembre 2012 (Dia Nacional de Catalunya) sotto lo slogan “Catalunya, nou estat d’ Europa” (“Catalogna, nuovo stato d ‘Europa”), è stata la più grande manifestazione nazionalista catalana dalla fine della dittatura franchista, convocata da un gruppo separatista (l’ Assemblea nazionale Catalana, ANC) per reclamare l’indipendenza della Catalogna dalla Spagna, ma sotto queste rivendicazioni riuniva molte tematiche sociali, e soprattutto la questione fiscale.
Secondo la polizia municipale (Guàrdia Urbana) i manifestanti sono stati 1.500.000 e 2.000.000 secondo gli organizzatori. Il clamore per l’indipendenza coinvolge per la prima volta il sostegno di più della metà della popolazione, tra cui figure come Jordi Pujol i Soley, presidente della Generalitat de Catalunya dal 1980 al 2003, Xavier Trias, sindaco di Barcellona, Sandro Rosell, presidente del Futball Club Barcelona. (4)
Artur Mas, presidente attuale della Generalitat ha dichiarato di non poter partecipare alla manifestazione per via della carica ricoperta dicendo di essere dalla parte dei manifestanti: “Il mio cuore è con voi perché, in fondo, che siano voci in favore del patto fiscale, per lo Stato autonomo, per il rispetto che meritiamo come Nazione pacifica e democratica, per la nostra dignità, tutte queste voci vanno nella stessa direzione: più giustizia e più libertà per la Catalogna”.
Il giorno della manifestazione ha convocato una conferenza stampa in cui ha minacciato di “ aprire il cammino della regione” verso l’ indipendenza nazionale, a partire dall’ autonomia fiscale, se non verrà raggiunto al più presto un accordo economico con il governo centrale spagnolo.
Dalla fine del regime franchista (5) la democrazia ha permesso alla Catalogna di esprimere tutta la forza del suo sistema produttivo, cosi è diventata il motore propulsivo della crescita di tutta la Spagna. La regione ha una sua storica identità, fatta di re, cultura e una lingua, il catalano, insegnata e parlata in ogni istituzione scolastica. La crisi fiscale che ha colpito la Spagna ha motivato l’attuale conflitto tra Barcellona e Madrid ,che però ha radici assai più profonde. La Catalogna gode di un ampia autonomia dal governo centrale, ma questo discorso non riguarda le imposte che confluiscono quasi interamente a Madrid. Questa regione contribuisce molto al PIL della Spagna e lo fa anche da un punto di vista fiscale, senza che ci sia una compensazione sufficiente, e ciò si avverte in un momento di crisi come quello attuale. I Catalani pagano tra 12 e 16 bilioni, in più di tasse ogni anno a Madrid di quanto ricevano indietro, con l’eccesso che va alle regioni più povere come Andalusia e Estremadura.
Barcellona non ha quello che hanno ottenuto i Baschi, ossia una propria imposizione fiscale. Per questi motivi c’è un diffuso sentimento di ingiustizia nei confronti di Madrid.
È tradizionalmente considerata una delle regioni più ricche della Spagna, ma è stata fortemente colpita dalla crisi economica (il tasso di disoccupazione è uno dei più alti in Europa , sono circa al 22%) ed è diventata anche la regione più indebitata del Paese (circa 40 miliardi di euro di debito, pari al 20 % del suo PIL).
Il Presidente della regione Mas, leader del partito autonomista Convergenza e Unione, ha dovuto chiedere all’esecutivo statale guidato da Mariano Rajoy un aiuto da 5 miliardi di euro. Il Presidente catalano ha deciso di sciogliere il Parlamento regionale e di convocare elezioni anticipate che si terranno il 25 novembre e nelle quali chiederà (e forse otterrà) un pieno mandato popolare per guidare la Catalogna all’ indipendenza. Per poter mantenere questa regione nella Spagna, Madrid dovrebbe offrire ai Catalani lo stesso trattamento che hanno offerto ai Baschi: un regime fiscale autonomo, ma questo sembra altamente improbabile.
Madrid e l’ Unione Europea non possono ignorare la questione catalana, con 1 milione e mezzo di persone che hanno partecipato alla manifestazione.
Arthur Mas ha dichiarato : “L’ Europa dovrà affrontare in un certo momento la questione. Non è possibile che, a causa di certe rigide norme, non si possa adattare a una realtà che cambia”. Non si possono e non si devono minimizzare le proteste catalane. Appare chiara la volontà della Catalogna di rimanere in Europa e di tenere l’ euro, “Non siamo diventati folli” ha commentato Mas.
Queste sue dichiarazioni arrivano, dopo che il presidente della Commissione Europea, José Manuel Barroso, ha comunicato questa settimana che ogni nuovo Stato dovrà chiedere separatamente l’adesione all’ Unione Europea . Ciò significa che una eventuale Catalogna indipendente, se vuole aderire all’ UE, deve procedere con la richiesta come ogni altro Stato non membro, ed ogni Stato di già membro dovrà dare il proprio assenso. Da Bruxelles è arrivata anche la comunicazione che una Catalogna indipendente abbandonerà automaticamente l’ Unione Europea, e dovrà abbandonare l’ euro creando una propria moneta corrente.
Tuttavia anche nell’ Unione Europea non c’è un’uniformità di pensiero, infatti Viviane Reding, vicepresidente della Commissione e commissario europeo per la giustizia, ha dichiarato che la Catalogna non avrebbe dovuto lasciare l’ UE nel caso decidesse di separarsi dalla Spagna, contraddicendo in questo modo Barroso.
Anche il ministro degli affari esteri spagnolo, José Manuel Garcia- Margallo, si è espresso a riguardo della questione catalana: “Una secessione unilaterale non è prevista nel quadro costituzionale spagnolo” e “Una dichiarazione d’ indipendenza da parte di una regione non è accettabile”.
Nei Trattati dell’ Unione Europea non è considerato il comportamento da adottare nei confronti di un nuovo Stato che nasca per separazione da uno Stato membro. Nel caso la Catalogna decidesse di separarsi ci sarebbero due possibilità: la prima è che la Spagna blocchi l’ ingresso della Catalogna nell’ UE e che quindi sia necessario studiare una soluzione alternativa, non è stata ancora studiata una possibilità del genere, potrebbe essere transitoriamente quello di uno Stato associato, ma che continuerebbe ad usare l’ euro come moneta, parteciperebbe a diversi programmi europei. Se, invece l’atteggiamento spagnolo fosse più costruttivo, la Catalogna potrebbe entrare nell’ UE a tutti gli effetti come Stato a se stante.
Ma la questione del separatismo non riguarda solo la Catalogna/ Spagna, infatti sembra che stiamo assistendo ad una “balcanizzazione” all’ interno dell’ UE. (6)
Come per ironia della sorte, appena l’ Unione Europea ha vinto il Nobel della Pace perché ha promosso l’ unità del continente anche in momento di crisi economica, sullo scenario europeo si son accesi più focolai del separatismo. L’ Europa appare più divisa che mai.
La Scozia si prepara a un referendum storico che nell’ autunno 2014 potrebbe portarla all’ indipendenza dalla Gran Bretagna. Dopo mesi di stallo nelle trattative tra Londra ed Edimburgo, il ministro britannico David Mundell ha annunciato che “Westminster darà al parlamento scozzese il potere di tenere un referendum per decidere se la Scozia rimane nel regno Unito o meno”.
Recenti sondaggi indicano che tra il 30 % e il 40 degli Scozzesi sono favorevoli all’ indipendenza. La questione politica principale in gioco non sarebbe comunque l’ indipendenza formale dal Regno Unito, ma concedere alla Scozia un miglioramento decisivo alla sua situazione economica: avendo in mano il controllo delle tasse, per esempio, la leva fiscale potrebbe essere utilizzata per aumentare competitività ed attrarre investimenti. C’è inoltre tutta la questione del petrolio dei mari del Nord: i profitti per l’estrazione del petrolio rappresentano una delle entrate principali per le casse del governo britannico.
Se al referendum vincesse il Sì, la Scozia non sarebbe più una nazione costitutiva con autogoverno limitato ma tornerebbe ad essere uno Stato indipendente dopo 300 anni di unione con l’Inghilterra.
Gli inglesi sembrano non preoccuparsi di un effetto domino, concedendo la possibilità del referendum alla Scozia, ma cosa potrebbe succedere in Irlanda del Nord, nervo scoperto del secessionismo violento che, nonostante la rinuncia alla lotta armata dell’ IRA, potrebbe riemergere dal passato?
Anche il Belgio sta lentamente e pacificamente dirigendosi verso la separazione fra fiamminghi e valloni. Ad Anversa, dopo 80 anni di gestione socialista, alle ultime amministrative ha vinto l’ indipendentista fiammingo Bart de Wever (“il Leone delle Fiandre”), leader del partito Nuova Alleanza Fiamminga (NVA).
L’ NVA critica duramente il governo centrale soprattutto sulla politica economica e l’immigrazione, in difesa della ricchezza fiamminga nei confronti della metà meno produttiva del paese, la francofona Vallonia.
In questo disarmante panorama di prolungata crescita minima, maggiore disuguaglianza e infine di crisi economica evidente, le tendenze localistiche, i separatismi e il nazionalismo acquistano un aspetto preoccupante.
Ora non ci resta aspettare e vedere cosa succederà a Barcellona il 25 Novembre, nel caso la Catalogna si separi dalla Spagna, sicuramente rappresenterà un modello da seguire per gli altri separatisti europei.
*Natalya Korlotyan è dottoressa in Scienze Internazionali e Istituzioni Europee (Università Statale di Milano)
1. Enciclopedia Orbis Latini
2. www.gencat.cat/generalitat/cas/estatut/index.htm
3.Gianfranco Lizza, Geopolitica, 2001
4.The Guardian, 13 settembre 2012, Catalunya warns EU that million-strong march cannot be ignored
5. Nel 1975 Franco morì e la democrazia venne ripristinata poco dopo. Con la nuova Costituzione, la Catalogna divenne una delle Comunità Autonome all’ interno della Spagna.
6.The Global Post, 16 ottobre 2012, The Balkanization of Europe ?
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