Le decisioni, nel loro senso più ampio, sono il risultato di processi in cui si accumulano evidenze: nella scelta fra due possibili soluzioni il cervello inizierà a confrontare le opzioni ed a vagliare i vantaggi e gli svantaggi in favore di una di esse; la scelta avviene quando l’evidenza è orientata maggiormente verso la soluzione che ha superato l’altra nella barriera decisionale. L’attenzione prestata alla risoluzione del problema è fondamentale in questo processo, in quanto dirige il confronto ed ha un rapporto biunivoco con la preferenza; ossia viene prestata più attenzione all’opzione preferita, ignorando, a volte, i dati in nostro possesso anche se contrastanti con la scelta predeterminata. Tali risultati hanno ispirato nuovi modelli teorici, tra cui la “disattenzione razionale”, teoria secondo la quale sarebbe razionale non prendere in considerazione tutte le informazioni disponibili.

La neuroeconomia è maggiormente applicata al campo della finanza. Attraverso esami diagnostici è stata rilevata nell’uomo una dissociazione temporale tra il calcolo del valore atteso e quello del rischio. Gli studi di neuroeconomia hanno evidenziato, infatti, che il cervello esamina sempre prima il valore atteso di una scelta, e successivamente i fattori di rischio. Questo implica che tutte le decisioni prese frettolosamente, come nella compravendita di strumenti finanziari tramite la rete informatica (trading online), mostrano una totale mancanza od una limitata considerazione della rischiosità nelle opzioni. Probabilmente, più importante è il contributo che le neuroscienze esercitano sul concetto di razionalità e le interazioni con le emozioni. L’economia classica è fondata sull’evidenza che nelle scelte si tende a massimizzare gli interessi per ridurre al minimo le perdite; ma la neuroeconomia ha mostrato che nel prendere decisioni il cervello tiene in considerazione, oltre alla ragione, anche le emozioni attraverso la rappresentazione visiva delle funzioni cerebrali (“brain-imaging”), la tecnica di visualizzazione delle aree cerebrali.

Di fatto le scelte non scaturiscono solo da considerazioni razionali e calcoli astratti, ma anche da affetti, paura, propensione al rischio e fiducia. Si tratta di un contesto in cui l’incertezza è predominante, cosicché la ricerca della stabilità è fondamentale per definire la soluzione corretta. A tal proposito vale l’equilibrio di John Nash: occorre comprendere quanto la strategia decisionale possa superare l’incertezza ed offrire benefici per il soggetto e per il suo gruppo. La teoria dei giochi di Nash è lo strumento matematico adatto per unire le neuroscienze e l’economia sia nella disciplina ibrida della neuroeconomia, sia nella trasposizione di quest’ultima al settore militare. Si parla di “equilibrio di Nash” quando nessun giocatore ha l’interesse a variare la propria strategia nella competizione con un altro soggetto. Il focus è basato sulla razionalità di entrambi, condizione dalla quale non è possibile prescindere. Se questo vincolo sarà soddisfatto, si produrrà una soluzione di equilibrio che scaturirà dalla mossa strategica migliore attuata da uno dei contendenti. La scelta non dovrà essere soggetta a variazioni, anche se uno degli attori avesse l’esatta percezione delle intenzioni future dell’avversario.

Un esempio potrebbe essere dato dal confronto tra la NATO e la Russia sul trattato INF (Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty): gli Stati Uniti hanno deciso di compiere la prima mossa uscendo dall’accordo unilateralmente e ridefinendo la gittata dei missili a medio raggio. Questo atteggiamento poteva essere interpretato dalla Russia come preludio ad uno scontro armato in Europa. Il Cremlino aveva due scelte: accettare il fatto senza intraprendere nessuna iniziativa, oppure tentare di contrastare l’avversario. Pertanto si è avvalso della possibilità di scegliere la strategia che riteneva più opportuna: ignorare la decisione statunitense od uscire a sua volta dal trattato.

Qualora la Russia si fosse opposta alla NATO e questa avesse innalzato il livello di scontro, i contendenti avrebbero innescato un confronto armato che non avrebbe coinvolto solo l’Europa, ma si sarebbe trasformato in una guerra atomica. In tal caso i due attori sarebbero incorsi nella “perdita associata” del MAD (Mutually Assured Destruction), infrangendo l’equilibrio che, seppur labile, traghettò i due blocchi senza incidenti alla fine della guerra fredda. Se la scelta della Russia consisteva nel non reagire, l’Alleanza Atlantica avrebbe rafforzato la sua posizione militare sconfiggendo l’avversario senza ricorrere all’uso delle armi.

Trasponendo in matematica tale condizione, alla Russia è assegnato un punteggio sempre negativo se ignora le decisioni dell’Alleanza, in quanto si piega alla deterrenza avversaria e addirittura permette alla NATO di raggiungere appieno i propri scopi, ossia di ridefinire la gittata dei missili superando quella dei loro stessi vettori. Ovviamente l’Alleanza Atlantica ottiene il punteggio massimo se la Russia continua a rispettare unilateralmente gli accordi dell’INF. I valori negativi sono assegnati ai due contendenti in caso di scontro diretto. La scelta della Russia è successiva alla mossa della NATO, dunque la prima può adottare la strategia migliore. L’equilibrio di Nash è nell’opzione dell’uscita dall’INF della Russia.

Naturalmente, la teoria dei giochi è poi completata da considerazioni strategico-politiche, le quali possono non contemplare la risoluzione dell’equilibrio; ma soprattutto vale per il giocatore che muove per secondo, cosicché, che se il concetto di Nash dovesse essere applicato al giocatore che ha agito per primo, la strategia dominante per la NATO dipenderebbe comunque dalla non opposizione della Russia. Infatti i punteggi più alti sarebbero assegnati all’Alleanza Atlantica, la quale otterrebbe soddisfazione sia se dovesse implementare i missili sia se dovesse recedere.

Per meglio comprendere il motivo per il quale l’equilibrio di Nash prevede che la NATO non schieri nuovi missili, si segua lo svolgimento del gioco. L’Alleanza muove per prima, mentre la Russia trae vantaggio dall’aver già osservato il comportamento dell’antagonista, e questo le consente di programmare la propria strategia. Pertanto deve ignorare la provocazione, oppure reagire. Il gioco è fondato sull’identificazione del comportamento più appropriato per evitare il crescendo del conflitto. L’opzione di Mosca dovrà essere quella di reagire facendo leva sulla non convenienza, per entrambi, di scatenare una guerra nucleare; quindi dovrà uscire dal trattato a sua volta, come monito all’avversario.

La Russia decide la sua strategia ipotizzando che l’avversario sia razionale e giustifichi la contromossa come logica e non come atto di guerra. Per Mosca la necessità di confrontarsi con l’avversario sarà determinante per mantenere l’equilibrio strategico, benché permanga la necessità che la NATO condivida la sua stessa razionalità. Mosca ha effettivamente deciso di uscire dal trattato e l’Alleanza Atlantica non ha innalzato il livello di scontro; pertanto l’equilibrio di John Nash è stato rispettato ed i modelli teorici della neuroeconomia hanno trovato la loro piena applicazione. Infatti le decisioni dei Russi non si sono basate solo su considerazioni razionali e sulle informazioni, ma anche sulla propensione al rischio sulla fiducia nella razionalità dei responsabili della decisione della NATO.

La neuroeconomia, con i suoi processi decisionali, è dunque applicabile all’ambito militare, soprattutto in ambienti complessi. Nuovi attori transnazionali con capacità offensive ragguardevoli hanno costretto i decisori delle nazioni tecnologicamente avanzate a modificare le metodologie per garantire la sicurezza; ciò ha cambiato lo scenario del classico teatro di battaglia. I concetti di vittoria sufficiente, guerra asimmetrica, guerra non lineare e guerra cibernetica possono essere tutti riassunti nella filosofia del “vincere in un mondo complesso”. La sfida è come impiegare le forze e le capacità militari in ambienti complessi contro avversari dotati di tecnologie ed armamenti migliorati.

Vincere in un mondo complesso vuol dire operare sulle questioni strategiche, tattiche, operative e logistiche nello spazio-tempo, questioni che riguardano il livello di scontro, lo spazio bellico, la prontezza, i rifornimenti, l’avversario.

Negli scenari contemporanei, la guerra al terrorismo è la prima causa di conflitto e le formazioni eversive per loro natura sono asimmetriche. Pertanto le strategie e le tattiche dovranno plasmarsi in uno spazio bellico che include luoghi mai prima coinvolti, come il cyberspazio. In questo contesto è fondamentale il ruolo del “Comandante”. Il decisore deve elaborare comportamenti adatti ai nuovi scenari, ma con un approccio mentale orientato all’incertezza ed alla complessità del campo di battaglia. In ambito militare l’incertezza “strutturale” del sistema è l’aspetto primario che lo stratega deve analizzare: il rendimento delle organizzazioni, la saldezza interna, la coesione e l’efficienza. In un ambiente complesso e mutevole l’azione di comando risulta più articolata, perché deve fronteggiare realtà e regole diverse dalla guerra lineare, in quanto un singolo evento può ingenerare conseguenze non prevedibili e le informazioni possono essere incomplete e, spesso, contraddittorie.

Le emozioni esaltano la parte meno razionale dell’essere umano; nella guerra queste si estrinsecano esponenzialmente a causa del livello di incertezza che è tanto maggiore quanto più alta è la probabilità che l’avversario sia in grado di modificare le condizioni dello scontro, perché il nemico farà di tutto per non confrontarsi nel campo a lui sfavorevole. Pertanto, il Comandante deve essere in grado di far evolvere la propria tattica per operare in un contesto diverso da quello pianificato, essendo consapevole che l’avversario lo costringerà a combattere in un campo in cui sarà meno efficiente ed efficace.

Disporre di una quantità di informazioni inferiore al necessario obbliga il decisore ad agire in due diversi modi avallando la teoria della “disattenzione razionale”. Il primo consiste nel migliorare la capacità di trattare i dati disponibili, non esaminandoli tutti ma vagliando solo quelli certi; il secondo consiste nel doversi organizzare in modo da poter sopperire alle carenze informative. Per ottenere risultati significativi dai dati in suo possesso, la prima opzione obbliga il Comandante a potenziare i canali di comunicazione interni e ad aumentare numericamente gli organi direttivi del suo “Stato Maggiore”.

La seconda possibilità a sua disposizione prevede la necessità di assegnare azioni elementari alle gerarchie di livello più basso, le quali però devono avere la capacità di concretizzarle in modo indipendente. Uno Stato Maggiore più ampio e meglio organizzato sarà idoneo a gestire la complessità sistemica; la suddivisione del comando è invece maggiormente adatta a gestire l’incertezza ed il cambiamento. Il decentramento decisionale non garantisce un regolare flusso di informazioni, ma lo rende più immediato ed il meno strutturato possibile, fino ad agevolare le soluzioni “a rete” proprie del concetto di “guerra digitale” (Network Centric Warfare), eliminando le soluzioni di tipo “gerarchico”.

Tutto questo costituisce l’essenza di un tipo di Comando “orientato alla missione”, dove, identificati gli obiettivi e valutata la situazione sui dati raccolti direttamente sul terreno, i comandanti di quel livello sono liberi di scegliere la soluzione idonea per raggiungere gli obiettivi. Tale processo riduce sia la necessità di trattare l’informazione ai livelli superiori, sia il numero e la saturazione dei canali di comunicazione, migliorando la rapidità di reazione ed il mantenimento del valore dell’incertezza al livello più basso possibile. Una tattica che è propria del ciclo OODA (Osservare, Orientare, Decidere e Agire), un processo che appartiene al cosiddetto “approccio indiretto”, una condotta delle operazioni mirata ad acquisire l’iniziativa ed a mantenerla, per togliere spazio di manovra al nemico e per precludergli qualsiasi opzione utile. È un approccio mentale che tende ad anticipare le mosse delle forze avversarie ed a batterle sul tempo.

Per vincere in un mondo complesso, in cui la non linearità degli eventi può originare da ogni singola azione, il decisore è costretto ad operare nell’apparente disordine di teatro. Le rapide dinamiche dell’OODA relegano il controllo ad operazioni meno complesse. Il Capo militare, per non cedere alla stanchezza decisionale generata da una realtà mutevole, dovrà delocalizzare i nodi decisionali verso tutte le funzioni gerarchiche ad iniziare dalle più basse. E ciò avrà come effetto positivo anche una visione condivisa della situazione di teatro e la condivisione dell’obiettivo. In definitiva, il Capo militare deve saper gestire la successione degli accadimenti nell’azione, obliando l’apparente ordine e controllo di coerenza di ogni singolo evento e delegando al personale da lui dipendente.

La neuroeconomia prevede tale scenario, dove l’incertezza è un fattore di rischio determinante nella scelta e dove la stabilità che deriva dalla condivisione degli avvenimenti coi propri collaboratori è importante per prendere una decisione corretta.


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