L’Oceania è l’ultimo continente in fase di decolonizzazione. Soprattutto per quanto riguarda i simboli nazionali. In particolare nelle ultime quattro settimane, a partire dal 2 gennaio, ovverosia quando il primo ministro delle Isole Fiji, Commodore Frank Bainimarama, ha annunciato il cambio di bandiera, la questione del cambio di bandiera con l’eliminazione del retaggio coloniale della Union Jack in favore dei simboli nazionali indigeni, ha ripreso forza in tutte le ex colonie inglesi, oggi membri del Commonwealth. Si tratta di un argomento di cui si parla da circa venti anni in questa regione oceanica, forse da quando, nel 1994, la velocista australiana di origini aborigene Cathy Freeman fece quel celebre giro di pista per festeggiare l’oro con la bandiera aborigena, che molti ritengono debba essere la bandiera australiana.
Allora molti coloni inglesi dell’Australia gridarono allo scandalo ma pochi anni dopo, alle Olimpiadi di Sydney del 2000, loro stessi sollevarono la questione quando alcuni atleti australiani vennero scambiati per inglesi a causa della bandiera, tanto che nacque anche un comitato (Ausflag) che tuttora supporta il cambio di bandiera almeno negli eventi sportivi per rendere riconoscibili gli sportivi australiani.
Nell’ultimo decennio la questione relativa alle bandiere ha assunto sempre maggiore importanza nei Paesi membri del Commonwealth, soprattutto a causa di un serio e sentito dibattito politico in Nuova Zelanda, dove i nativi Maori (circa un terzo della popolazione) affiancati da buona parte della popolazione coloniale (in particolare i coloni non-anglofoni) stanno portando avanti per via istituzionale la questione del cambio di bandiera.
Ma è dal discorso del Nuovo Anno del 2 gennaio 2013 del primo ministro figiano Commodore Frank Bainimarama – salito al potere nel 2006 con un golpe militare con l’obiettivo di stabilire nelle Fiji una democrazia non razziale, basata sul principio “una persona, un voto”, secolare e supervisionata dall’esercito – che la questione bandiere ha subito una forte impennata nelle ex colonie inglesi. La Repubblica delle Isole Fiji ha rimosso qualche settimana fa l’effige della regina Elisabetta II dalle proprie monete, e nel corso del 2013 approverà una nuova Costituzione che prevedrà una nuova bandiera nazionale, priva del simbolo della Union Jack, una bandiera che «rifletterà un senso di rinnovamento nazionale, per rinforzare una nuova identità figiana e una nuova immagine nell’essere figiano sullo scenario mondiale». Mentre c’è da scommettere che la nuova bandiera figiana darà nuovo impulso al dibattito parlamentare in corso nella vicina Nuova Zelanda, l’annuncio di Bainimarama ha già fatto riesplodere la questione in Australia. La questione si era già posta in passato, quando un primo ministro federale, Paul Keating, aveva detto che «l’espressione della sovranità australiana non si potrà mai dire completa finché nella bandiera nazionale sarà presente la bandiera di un altro Paese». In base a sondaggi recenti, è oggi maggioritaria la posizione che vorrebbe la cancellazione della Union Jack dal vessillo nazionale. L’argomento era già esploso molto violentemente negli anni Novanta in un altro arcipelago ex inglese, Tuvalu, quando tra il 1995 e il 1997 fu abbandonata la bandiera coloniale in favore di una nazionale.
È singolare notare che questi Stati sovrani hanno ancora bandiere coloniali mentre le due collectivité d’outre-mer francesi (Polinesia Francese e Nuova Caledonia) hanno ormai adottato bandiere nazionali. La questione si sta allargando a macchia d’olio e coinvolge ora anche le colonie statunitensi del Pacifico. In primo piano c’è il caso delle Isole Hawaii, dove riscuote sempre maggiori consensi come bandiera ufficiale dell’arcipelago la bandiera “Kanaka Maoli” (il vero popolo), che nel 2008 si era scoperto essere già bandiera del Regno delle Hawaii fino all’occupazione inglese (1843) e statunitense (dal 1893). Stessa questione per le Isole Samoa americane: l’aquila delle Montagne Rocciose, impressa sull’emblema nazionale, i samoani di certo non l’hanno mai vista volare sui propri atolli.
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