Lo scorso 15 ottobre i cittadini polacchi sono stati chiamati a rinnovare i 460 membri della Sejm – la Camera bassa che è il vero fulcro decisionale del Parlamento – e i 100 del Senato, riscrivendo un pezzo importante della storia politica del loro Paese. Con una partecipazione pari al 74,36% degli aventi diritto al voto, le elezioni parlamentari polacche hanno infatti già segnato un evento chiave nella storia del Paese, a prescindere dalla natura della futura formazione di governo. 

Le parlamentari in Polonia sono arrivate otto mesi prima delle elezioni europee, che in tutta l’Unione europea si terranno in una forchetta temporale compresa tra il 6 e il 9 giugno 2024, e hanno anticipato di un mesele elezioni in Olanda, inaugurando un autunno che si prospetta politicamentecaldo in tutta Europa. D’altronde, in una congiuntura globale segnata dal ripensamento degli equilibri e da un preoccupante disordine generalizzato, era assurdo pensareche irisultati delle urne polacchepotessero essere in un certo senso a ‘impatto zero’,incapaci di incidere in alcun modo sui futuri assetti di potere in Europa e, soprattutto, ai confini dell’Ucraina.

A sfidarsi, in quella che era diventata nel corso dei mesi una vera e propria faida elettorale, due volti noti della politica polacca: da un lato, il premier uscente e leader del partito conservatore Diritto e Giustizia (PiS), Mateusz Morawiecki, e dall’altro l’ex primo ministro polacco ed ex presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, che guidava la coalizione liberale di centrodestra, denominata Coalizione Civica (Ko).

In Polonia la tradizione democratica è molto meno radicata che in altri paesi d’Europa e di conseguenza lo scontro politico tra una destra conservatrice e identitaria e una più liberale ed europeista ne ha sempre risentito in modo sostanziale. Tuttavia, pur essendo entrambi uomini di destra, Morawiecki e Tusk sono politicamente agli antipodi, soprattutto per quanto riguarda il modo di concepire le relazioni tra la Polonia e l’Unione Europea. Se, infatti, ilPiS di Morawiecki è una forza politica a tendenza fortemente autoritaria che fa della conflittualità e dello scontro con gli avversari politici, dentro e fuori dai confini nazionali, il principale catalizzatore del consenso elettorale,la coalizioneguidata da Tusk è invece fortemente proiettata verso l’UE.

La destra conservatrice polacca hasempre guardato all’Unione Europeacome aduna “occasione”per migliorare la propria condizione economica all’interno del blocco occidentale,ma non ha mai pensato di cedere parte della propria sovranità in favore di un progetto europeista, a guida sostanzialmente franco-tedesca,derubricato da Varsaviaa surrogato di una certezza ideale che abita al di fuori dell’orizzonte della Storia e a cui la Polonia non intende omologarsi.

Negli anni della sua lunga presidenza, il premier Morawiecki ha sapientemente radicalizzato questo atteggiamento, inseguendo il sogno di una “Europa delle patrie” e sostenuto in questa sua operazione da Jarosław Kaczyński, il grande regista della destra polacca, colui che rese possibile il progetto di coalizione con il partito populista Autodifesa della Repubblica di Polonia (Samoobrona) e il partito di estrema destra della Lega delle famiglie polacche.

Ma dopo anni di declino graduale della partecipazione cittadina alle elezioni parlamentari e di radicamento della destra conservatrice al governo, oggi la Polonia sembrerebbe aver ritrovato uno spirito elettorale nuovo, superiore perfino a quello del 1989, quando il 62,7% dei polacchi si recò alle urne per contribuire alla svolta democratica del paese.

Le relazioni con l’UE e l’idea polacca di “Europa”

Negli ultimi anni lo scontro fra Varsavia e Bruxelles è avvenuto su direttrici piuttosto eterogenee e tuttavia la Polonia non ha mai manifestato la chiara volontà di lasciare l’UE, per ragioni legate sostanzialmente a benefici di carattere economico e commerciale. Basti pensare che il Recovery fund, approvato dalla Commissione europea nel 2020 per la ripresa dell’economia durante la pandemia del covid19, prevedeva 57 miliardi di euro da versare nelle casse dello stato polacco. Nel 2022, quando con l’inizio del conflitto tra Russia e Ucraina lo spettro della russofobia è tornato ad agitarsi con forza sul versante orientale del vecchio continente, la Polonia si è subito trasformata nel più solido alleato comunitario di Kiev, senza però mutare atteggiamento nei confronti delle istituzioni europee, da sempre guardate con sospetto e distacco. Il tema del conflitto tra Russia e Ucraina ha rappresentato infatti l’altro grande convitato di pietra di queste elezioni polacche, poiché non coinvolge soltanto l’UE ma chiama in causa direttamente la NATO e gli Stati Uniti, dal momento che sotto il profilo strategico e militare Varsavia rappresenta il principale strumento del contenimento americano della Russia sul versante orientale.

Nelle sue ultime dichiarazioni, il Premier polacco Morawiecki aveva confermato lo stop degli aiuti militari ai fratelli ucraini, accolti a frotte nel corso di questi mesi mentre fuggivano dalla guerra nel loro Paese, facendo vacillare l’unità del fronte pro-Ucraina. Ufficialmente, la decisione di Varsavia rifletteva la volontà dei leader del PiS di aumentare le spese militari per costruire uno degli eserciti più forti d’Europa, in relazione al rischio che la guerra russa in Ucraina possa estendersi pericolosamente anche al territorio polacco. Infatti, anche se la Russia non ha oggi i mezzi per poter invadere la Polonia, e molto presumibilmente nemmeno l’intenzione, era interesse degli esponenti della destra polacca, soprattutto in campagna elettorale, mantenere una postura massimalista nei riguardi di Mosca, bilanciando contestualmente la freddezza nei rapporti con l’UE per non perdere i benefici economici elargiti da Bruxelles.

La Polonia resta un paese chiave per gli equilibri economici, politici e geopolitici non solo dell’Europa orientale, ma di tutto il blocco occidentale e della tenuta delle relazioni con gli Stati Uniti. E con il 100% dei voti scrutinati, la situazione è oramai molto chiara: Diritto e giustizia del premier Mateusz Morawiecki (PiS) è il primo partito in Polonia, con il 35,40% dei voti ricevuti e 196 dei seggi parlamentari assegnati, ma non sarà in grado di formare alcuna coalizione di governo, in quanto incapace di raggiungere i 231 seggi necessari per avere la maggioranza nella Camera bassa del Parlamento polacco. Dall’altra parte, la Coalizione Cittadina guidata da Donald Tusk (Koalicja Obywatelska) con il 30,70% dei voti e dopo 8 anni di opposizione, in caso di alleanza di governo con la Terza Via, 14,40% dei voti, e la Nuova Sinistra, 8,61%, avrebbe 249 seggi e 67 senatori e quindi una maggioranza stabile che le permetterebbe di governare.

Dal 2015, il PiS ha inaugurato una lunghissima stagione di governo nel Paese, facendo scivolare il baricentro della politica nazionale polacca su posizioni sempre più illiberali e autoritarie. Nelle ultime due legislature, l’esecutivo di Morawiecki non ha perso occasione per cercare e ottenere lo scontro con Bruxelles, dimostrandosi sempre critico e riluttante nel collaborare su questioni cruciali per la politica dell’Unione come la distribuzione dei fondi europei, la gestione dei migranti, la tutela dei diritti umani e la riforma della giustizia.

Proprio quest’ultimo aspetto è diventato negli anni un punto caldissimo nell’aspro confronto tra Varsavia e Bruxelles. La dimensione politica assunta dal conflittorelativo alla riforma del sistema giudiziario polacco divenne evidente il 19 ottobre del 2021, quando nella seduta del Parlamento europeo la Presidente della Commissione Ursula von der Leyen e il premier polacco Morawieckiebbero un duro scontro verbale, innescato, tra le altre cose, dal pronunciamento della Corte costituzionale polacca del 7 ottobre che aveva giudicato alcune norme dell’UE confliggenti con la costituzione della Repubblica polacca, stabilendo una supremazia della legislazione nazionale sui trattati europei. In quell’occasione von derLeyen mise in guardia Varsaviasulla possibilità che l’UE decidesse di penalizzare la Polonia rispetto all’utilizzo dei fondi del Pnrr,mentre Morawiecki si schieròsaldamente dalla parte del suo governo,aprendo una netta spaccatura nel parlamento polacco con il gruppo dei conservatori e riformisti contrapposti ai popolari e alla sinistra.

Nel 2022, la Commissione europea approvò, dopo mesi di ritardo, le sovvenzioni per i miliardi destinati alla Polonia dal Pnrr, vincolando la disponibilità dei fondi alla riforma del sistema giudiziario da parte di Varsavia. Da Bruxelles pretendevano che il governo conservatore rettificasse la «legge museruola» vagliata frettolosamente nel dicembre del 2019 ed entrata in vigore il 14 febbraio 2020 dopo essere stata respinta dal senato polacco ma approvata dalla Sejm (la camera bassa del parlamento).

In risposta alle richieste dell’UE, il governo di Varsavia si limitò ad apportare delle modifiche non sostanziali all’impianto normativo, continuando a ignorare 20 sentenze della corte dell’UE e mantenendo all’attivo almeno 1700 giudici nominati illegalmente secondo i trattati europei. In quell’occasione, la Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, tentò di mediare con il premier Morawiecki recandosi personalmente a Varsavia per formalizzare l’approvazione del Piano dei finanziamenti del Pnrr, ottenendo dalla Polonia la disponibilità per l’accoglienza dei profughi e il sostegno politico e militare alla causa ucraina. Le decisioni della Commissione europea sui fondi del Pnrr polacco scatenarono però il risentimento della Germania, che attraverso l’eurodeputato Daniel Freund puntò il dito direttamente su von der Leyen, colpevole secondo Berlino di aver sacrificato lo stato di diritto dell’UE consegnando alla Polonia miliardi di finanziamenti senza sapere dove questi sarebbero finiti.

Pur rappresentando soltanto una delle molteplici declinazioni dello scontro tra Polonia e istituzioni comunitarie, la disputa sulla riforma della giustizia polacca consente di inquadrare nitidamente il corto circuito in atto da sempre tra Varsavia e i numerosi attori che popolano il continente europeo: lo scontro fra posizioni antieuropeiste in difesa di un massimalismo nazionalista da un lato e la necessità di collocarsi all’interno delle istituzioni europee per offrire al popolo polacco un ‘posto al sole’ nella storia occidentale dall’altro. In questi anni, i conservatori del PiS sono sempre stati fermamente convinti che un’integrazione indifferenziata di Varsavia nello schema comunitario avrebbe indebolito pericolosamente l’azione di contenimento della Polonia ai danni di Mosca, poiché il pensiero europeista proveniente direttamente da Bruxelles non è mai riuscito a comprendere fino in fondo le reali priorità del popolo polacco.

E ancora oggi, la parabola politica polacca è costruita quasi integralmente sulla concreta paura dell’invasione russa, aspetto questo che ha sempre spinto Varsavia ad avere un’altissima immagine di sé come alfiere solitario di quei valori occidentali ed europei che la vecchia Europa a trazione franco-tedesca sembrerebbe aver dimenticato. Il fatto stesso, poi, che in Polonia la faida apertasi tra i leader delle due principali coalizioni politiche si sia concentrata intorno al ‘nodo Europa’, declinato in tutte le sue molteplici sfumature, consente di comprendere una volta per tutte il modo in cui Varsavia guarda al progetto europeista: per i Polacchi l’UE rappresenta soltanto una provincia, piuttosto caotica, di un Occidente a guida statunitense, mentre l’Europa reale, ossificata nelle istituzioni comunitarie, è l’equivalente di un guscio vuoto che serve gli stati membri che la fecondano a loro volta per servirsene.

I risultati usciti dalle urne lo scorso 15 ottobre potrebbero, però, segnare una nuova svolta politica del Paese. Il nuovo esecutivo guidato da Tusk avrebbe l’occasione di ricalibrare le sfide interne ed esterne che Varsavia ha di fronte a sé. Sul piano interno, Tusk potrebbe guidare una coalizione composta da circa 6-7 partiti, perciò dovrà serrare i ranghi per mantenere alto il consenso politico fino alle elezioni europee, passando per quelle regionali, senza sprecare il capitale politico accumulato. Compito sicuramente non facile, soprattutto se si tiene conto del fatto che il PiS metterà a disposizione ogni risorsa in suo possesso per indebolire il nuovo governo. L’operato della destra di Kaczyński sarà infatti scrutinato dai 3 milioni e 700.000 elettori che hanno scelto PiS. Su quello esterno, invece, la nuova forza di governo dovrà impegnarsi a fondo per provare a disinnescare la mina vagante di Polexit e sperare che a Bruxelles chiudano tutti e due gli occhi sul passato burrascoso con Varsavia.

Il futuro delle relazioni con la Germania oltre la retorica antitedesca

Come accade per ogni campagna elettorale degna di questo nome, anche in quella polacca gli attori in campo hanno cercato di esasperare i toni, rilasciando dichiarazioni piuttosto nette e sprezzanti che hanno avuto una forte risonanza anche al di fuori dei confini nazionali. Ne sono un esempio le dichiarazioni di diversi esponenti del PiS nei confronti del potente vicino tedesco, accusato di ingerenze moleste nella politica di Varsavia, ma soprattutto di voler riportare Tusk al potere. L’obiettivo dichiarato dei conservatori era chiaramente quello di capitalizzare al meglio il sentimento di forte sfiducia nei confronti della Germania, ancora presente in una parte dell’elettorato polacco, soprattutto nei conservatori più anziani che ricordano gli eventi della Seconda guerra mondiale.

Tuttavia la Germania di oggi è un membro di peso dell’UE e non suscita più il timore delle armi come in passato. Il livore che buona parte della popolazione polacca nutre nei confronti di Berlino è legato piuttosto al paternalismo economico esercitato dai Tedeschi sul resto dell’UE. E per quanto la guerra tra Russia e Ucraina sembrasse l’occasione giusta per risolvere le controversie fra Berlino e Varsavia, in vista di un potenziale superamento delle asimmetrie che hanno segnato il loro rapporto negli anni, per volgerlo finalmente in partenariato, finora le cose non sono andate esattamente così.

Nel 2022, in occasione dell’83° anniversario dell’invasione tedesca della Polonia, il viceministro degli Esteri polacco Arkadiusz Mularczyk aveva presentato al Sejm il Rapporto sulle perdite subìte dalla Polonia a causa dell’aggressione e dell’occupazione tedesca durante la seconda guerra mondiale. Iniziato nel 2017 e curato da una commissione parlamentare guidata dallo stesso Mularczyk, il Rapporto aveva stimato una perdita equivalente a 6.220 miliardi di złoty (1.300 miliardi di euro). Il 14 settembre la Camera bassa del Parlamento polacco aveva approvato con una maggioranza schiacciante la risoluzione con cui Varsavia chiedeva formalmente a Berlino di corrispondere l’intero importo. La decisione del governo polacco non seguiva una logica di rivalsa puramente economica nei confronti dell’ex bellicoso vicino, quanto piuttosto il tentativo di arrivare a stabilire una vera e propria riconciliazione polacco-tedesca, come sottolineato anche dal leader del PiS, Kaczynski.

Dal 2015, da quando è salito al Governo, il PiS ha sempre sostenuto la questione delle indennità di guerra insistendo sul “dovere morale” della Germania di rispettare le volontà di Varsavia. Ma da Berlino hanno sempre ribadito che consideravano chiusa la faccenda e che quindi non ci sarebbe stato nessun ulteriore risarcimento. Inoltre, tra i due governi non c’è mai stata una vera trattativa sul tema e i due Paesi vantano buoni rapporti economici, essendo Berlino il primo partner commerciale di Varsavia.

Molto più concretamente, ad ostacolareuna stabilizzazione alla paridelle relazioni tra Berlino e Varsavia contribuisceil fatto cheattualmente in Germania vi sia un governodi centrosinistra, che per cultura politica è lontanissimo dalle posizioni del PiS in materia di sicurezza, sovranità e gestione dei migranti.Ciò nonostante, la Germania e la Polonia, da alleate nella stessa regione dell’Europa centrale, condividono una responsabilità nel mantenere rapporti di buon vicinato e una positiva collaborazione europea e transfrontalierache si muove da anni tra alti e bassi.

Infine, c’è da considerare la questione del sostegno militare congiunto a Kiev. Ad aprile, i ministri della difesa di Berlino e Varsavia avevano annunciato la creazione di una piattaforma comune in Polonia per riparare i carri armati Leopard di fabbricazione tedesca danneggiati in battaglia in Ucraina. Ma l’accordo era rapidamente sfumato. Ufficialmente a causa dei costi di riparazione giudicati troppo altri da Barlino. Tuttavia, una fonte vicina al governo Scholz aveva rivelato che tra i punti critici c’era la riluttanza delle aziende tedesche a condividere informazioni tecniche con la controparte polacca. Durante la campagna elettorale, le schermaglie tra i due governi erano all’ordine del giorno e il leader de facto del PiS, il vicepremier Kaczyński, aveva dichiarato in alcune uscite pubbliche che Donald Tusk aveva in progetto la svendita di aziende statali polacche a investitori tedeschi, definendolo un tirapiedi di Berlino. Con le sue invettive contro la Coalizione Civica, il vecchio architetto della destra polacca voleva chiaramente colpire l’ingombrante vicino, indaffarato a gestire il vuoto di potere creatosi al centro dell’Europa, trascinandolo direttamente nell’agone elettorale.

Ma la Polonia ha sempre rappresentato un unicum politico tra gli Stati membri dell’UE e proprio la Germania, dipinta come paese nemico durante i due mandati governativi a guida PiS, potrebbe essere il trampolino per rilanciare il ruolo della Polonia in Europa e per rivitalizzare l’ormai congelato Triangolo di Weimar tra Varsavia, Parigi e Berlino. Ora spetta al presidente della Repubblica, Adrzej Duda, nelle file del PiS e con mandato presidenziale in scadenza nel 2025, conferire il mandato per la formazione di governo, alimentando due possibili scenari politici. Conferire il mandato al PiS, in quanto primo partito, con l’obiettivo di ostacolare e rallentare la formazione del nuovo esecutivo oppure affidare il mandato direttamente al moderato Tusk, accettando implicitamente il risultato elettorale e riconoscendo pubblicamente l’impossibilità del PiS di creare alcun tipo di governo sovranista, xenofobo e conservatore.


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