1) Cos’è il TTIP
“Transatlantic Trade and Investment Partnership”. Non una semplice aggiunta alle costellazione di sigle che riassumono i nomi di organismi e trattati internazionali ma quella dell’accordo per l’istituzione di un’area di libero scambio tra USA ed UE in discussione dal 2013 ed al centro del recente viaggio europeo di Obama. Quali potrebbero essere gli effetti politici e strategici della creazione di questa superarea economica – la cui vicenda si è intrecciata sul tema delle relazioni euro-russe alla luce degli eventi ucraini? “Il partenariato trans-atlantico per il commercio e gli investimenti (TTIP) è un accordo commerciale che è attualmente in corso di negoziato tra l’unione Europea e gli Stati Uniti. Ha l’obiettivo di rimuovere le barriere commerciali in una vasta gamma di settori economici per facilitare l’acquisto e la vendita di beni e servizi tra Europa e Stati Uniti. Oltre a ridurre le tariffe in tutti i settori, l’Unione Europea e gli Stati Uniti vogliono affrontare il problema delle barriere doganali – come le differenze nei regolamenti tecnici, le norme e le procedure di omologazione.”(1) Questa è la definizione del TTIP fornita dal sito della Commissione Europea (http://ec.europa.eu/trade/policy/in-focus/ttip/about-ttip/index_it.htm).
2) Presupposti per un’analisi economica
Gli studi sugli effetti economici del libero commercio mostrano come questo avvantaggi le imprese più internazionalizzate e competitive mentre favorisce l’espulsione dal mercato delle imprese meno efficienti. Gli effetti sull’occupazione dell’internazionalizzazione dei mercati sono noti: le imprese delocalizzano e multilocalizzano attività e sedi a seconda dei vantaggi produttivi, logistici, fiscali, di presidio del mercato e di valore aggiunto che i differenti contesti possono offrire. Sono scelte strategiche a spiegare le decisioni di investimento, superando ed integrando la teoria classica del vantaggio comparato che partiva dalla redditività relativa dei fattori della produzione. Il dibattito sul libero commercio (inteso come semplificazione, armonizzazione e tendenziale abolizione di dazi e burocrazie ostacolo al traffico di capitali e merci) viene spesso affrontato in analisi economiche che non tengono conto delle implicazioni dal lato politico. Gli accordi di libero scambio sono scelte politiche tanto quanto quelle protezionistiche: il libero mercato è una creazione della politica tramite leggi ed istituzioni come spiegava Polanyi, delle culture come sosteneva Weber, dei contesti storici come affermava Braudel e degli interessi delle classi dominati come sottolineava Marx.
3) Presupposti ad un’analisi politica
Se analizzata dal lato delle ripercussioni sull’Europa, il piano politico della questione è già a monte di quello economico ed è di metodo prima che di merito: la rappresentanza e la legittimità democratica. Uno dei punti chiave del TTIP è l’istituzione di un Arbitro tramite la “clausola ISDS” ( Investor-to-state dispute settlement mechanism ), Arbitro cui gli operatori economici privati possano rivolgersi per far valere – in potenza anche contro istituti democraticamente eletti – le proprie ragioni particolari. L’arbitro non dovrebbe poter bloccare le leggi delle singole nazioni quando sfavorevoli alle imprese ma imporrebbe in ogni caso il pagamento di indennizzi – come per esempio nel caso di nazionalizzazioni. Il trasferimento di forme di potere da istituzioni democratiche ad istituzioni tecnocratiche che non devono rispondere ai cittadini del loro operato è proprio una delle cause della crisi di un’Unione Europea percepita come sempre più distante dal corpo democratico della società. Anche da qui la frustrazione dei cittadini che si rivolgono in gran parte a movimenti populisti i quali propongono per l’appunto il ripristino di una diretta “sovranità popolare”. E’ il rischio che si corre con questa clausola del trattato?(2)
4) Geopolitica: semplice ricaduta?
La politica economica viene condivisa dagli Stati con la cogenza di accordi multilaterali come quelli per l’ingresso nel WTO o nelle istituzioni europee. Laddove gli Stati – e le loro imprese – membri di tali accordi godano di sufficiente forza rispetto alle altre parti contraenti possono far valere la propria strategia politica tramite la forza delle dimensioni in una sorta di strano liberismo che conduce in realtà al mercantilismo: meno regola significa più regola del più forte. E’ l’uso che la Russia vorrebbe fare dell’erigenda Unione Eurasiatica? E’ il rischio che corre l’Europa con l’istituzione di questa – pur meno assertiva – “NATO Commerciale”? Non si tratta di un accordo bilaterale tra Stati, ma di un accordo negoziato tra uno stato forte – gli USA – e le istituzioni europee, deboli perché debole è la loro legittimazione democratica ed il consenso di cui godono e forti solo della debolezza politico-economica dei membri UE – esclusa la Germania.
5) Una “NATO economica”: sicurezza dell’egemonia sull’Atlantico per volgersi al Pacifico
Alla geopolitica americana del XXI secolo serve un’Europa abbastanza forte da poter contribuire alla NATO in modo sostanziale e non totalmente dipendente da un costoso ombrello USA – da volgere piuttosto agli alleati dell’area pacifica – ma abbastanza debole da non operare una politica autonoma. E’ in tale chiave che vanno letti i recenti sviluppi della crisi Ucraina. Gli USA hanno investito sulla frattura UE – Russia intervenendo a livello di intelligence e appoggio politico in quella che la Russia considera la propria area di sicurezza strategica – cosa che l’UE non era determinata a fare, almeno non in chiave ostilmente antirussa – proponendosi poi come fornitori di supporto diplomatico all’Ucraina e come sostituti fornitori di gas all’Europa proprio nel contesto dell’accordo TTIP. Ad un’UE autonoma servirebbe una Russia fornitrice di investimenti e materie prime così come alla Russia servirebbe un’Europa come mercato di sbocco energetico e fornitrice di tecnologia: un’UE che sceglie di dialogare solo con gli USA può rimanerne l’eterno fratello minore. Molte conseguenze economiche dirette del TTIP – negative e positive – appartengono dunque al campo delle pur fondatissime ipotesi. Alla certezza appartiene il fatto che le implicazioni di un accordo economico sono anche di tipo politico e strategico. La strategia geopolitica degli USA mira da un lato a saldarsi definitivamente all’Europa – approfittando di un momento di oggettiva debolezza del Vecchio Continente, ad alleggerire l’impegno strategico nel Medio Oriente e a concentrarsi sul Pacifico, nel quale è in cantiere un’altra area di libero scambio con le principali potenze economiche filo-americane ( o se non proprio anti-cinesi per lo meno “sino-scettiche” ) dell’area, dall’Australia al Messico passando per Vietnam, Canada ed ovviamente Giappone. A tale articolata strategia non mancano gli ostacoli: in Europa, una Germania interessata a collaborare con la Russia – e che non manca di porsi in aperto contrasto con gli USA come ai tempi dello scandalo NSA. A causa della rigida assertività tedesca verso gli altri paesi dell’UE non si capisce come questi possano non vedere – a torto o a ragione – nel gioco di sponda con gli USA una valvola di sfogo dallo strapotere di Angela Merkel. In Medio Oriente l’ostacolo sono Arabia Saudita e Israele che vedono come il fumo negli occhi le aperture all’Iran di cui gli USA hanno bisogno per stabilizzare l’area – qui il gioco tra l’altro si complica: la stessa Russia non vuole il gas iraniano in Europa ma sostiene il governo siriano unitamente all’Iran. Eppure l’edificanda indipendenza energetica americana potrebbe permettere un seppur contenuto ridimensionamento strategico USA nell’area. E’ di questi giorni la conferma che la Turchia avrebbe voluto provocare l’intervento Americano in Siria attribuendo ad Assad l’uso di armi chimiche compiuto dai ribelli qaedisti – cui le avrebbe fornite lei stessa! – alcuni mesi fa: segno che le potenze sunnite spingono per un maggior coinvolgimento USA e non per un loro allontanamento. La Russia è e resta un ostacolo da chiudere oltre una nuova Cortina di Ferro. L’appoggio alla ribellione siriana e a quella Ucraina – fenomeni emersi nella loro chiarezza come strategie occidentali che si sono nutriti dell’ingenuità degli idealisti e di molti giovani locali presto sostituiti da fantocci, estremisti nazionalisti sui generis e jihadisti – confermano questa analisi.
6) Conclusioni: a chi giova?
Senza la presunzione di dare risposte definitive e certe in uno scenario così drammaticamente dinamico vale appunto la pena di porre degli interrogativi. Giova agli USA continuare a provocare la Russia, cercare di aggredirne lo spazio geopolitico? Relegarla in Asia riducendola a dialogare solo con Cina, India – Iran e Corea del Nord? Per la Russia l’Asia Centrale, il Caucaso e l’Ucraina sono fascia di sicurezza. Avere la forza militare NATO ad una distanza relativamente contenuta dal Caucaso e da altri centri nevralgici come le due capitali storiche contraddice l’idea russa di difesa in profondità che si fonda sui vasti spazi. Avere il Jihad nel Caucaso, in Kazakistan e geograficamente presente tra i propri cittadini musulmani per la Russia, Nazione-Eurasia per eccellenza, risulterebbe esiziale. Giova alla Russia ed al progetto di Unione Eurasiatica questa massiccia assertività? Giova all’Occidente lo “schema afghano”, cioè l’uso dei jihadisti come grimaldello militare? Molti – urge dirlo: non tutti – vecchi regimi arabi erano orami privi di credibilità verso le proprie stesse popolazioni: il processo di regime change è stato guidato con saggezza? Giova all’Europa un futuro atlantista senza se e senza ma, senza autonomia diplomatica – anzi, con una diplomazia europea caratterizzata da un’imbarazzante debolezza – senza una politica comune ed efficiente di difesa?
Note:
(1) Questa è la definizione del TTIP fornita dal sito della Commissione Europea (http://ec.europa.eu/trade/policy/in-focus/ttip/about-ttip/index_it.htm).
(2) Le informazioni relative al TTIP – incluso un questionario in cui i cittadini possono esprimere un loro parere – sono disponibili al link http://europa.eu/rapid/press-release_MEMO-14-206_it.htm.
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