A fine aprile 2021 il “Wall Street Journal” ospita un editoriale[1] a firma di Elliott Abrams dal titolo “A New Coalition to Advance U.S. Global Interests”, una nuova coalizione per sostenere gli sforzi globali degli Stati Uniti.
Elliott Abrams, ebreo di origini newyorchesi e protagonista di una lunga e influente carriera[2], è considerato un membro di spicco della corrente neocon. Già fervente sostenitore degli interventi in Iraq e Afghanistan, è famoso per essersi dichiarato colpevole di aver celato al Congresso informazioni relative al ruolo dell’amministrazione Reagan nello scandalo Iran-contra. Ammissione di colpa che non comportò particolari conseguenze, se non la grazia concessagli da George H.W. Bush, il cui figlio, Bush Jr., anni dopo lo volle consigliere sulla politica mediorientale presso il National Security Council (NSC) Erano anni in cui Abrams spiccava per le sue posizioni di falco nei confronti della cosiddetta “guerra al terrorismo”, anni in cui contribuì al celeberrimo documento-manifesto neocon (PNAC). Gli anticipatori più celebri ne erano stati Bill Kristol e Robert Kagan, che nel 1997 avevano pubblicato su “Foreign Affairs” il manifesto fondativo Towards a Neo-Reaganite Foreign Policy, teso a scuotere i conservatori americani affascinati dalle tesi dell’allora candidato presidenziale Pat Buchanan e del suo “isolazionismo del cuore” e quindi a sollecitare l’impegno di Washington per una “benevole egemonia globale”.
Abrams, che aveva sfiorato l’incarico di Segretario di Stato sotto la prima amministrazione Trump, in seguito ricoprì il ruolo di inviato speciale in Venezuela. L’obiettivo della missione, in piena enfasi messianica nei confronti dell’Asse del male di turno, consisteva nello scalzare Nicolas Maduro e “ripristinare pienamente la democrazia e la prosperità del paese”. Abrams è stato anche senior member per gli studi sul Medio Oriente di uno dei think tank più influenti del panorama statunitense: il Council on Foreign Relations (CFR). Infine, Abrams è stato membro americano dello U.S. Holocaust Memorial Council e del National Endowment for Democracy (NED) dal 2012 al 2023. Oggi è componente attivo dell’Advisory Board (comitato consultivo) istituito dal Middle East Partnership for Peace Act (MEPPA).
Coalizione Vandenberg: le ceneri neocon continuano ad ardere
Chiamata col nome di Arthur Vandenberg[3], già presidente della Commissione per le relazioni estere del Senato sotto la presidenza Truman, questa organizzazione politico-strategica può essere considerata come la reincarnazione del già menzionato Project for the New American Century, che ufficialmente terminò il suo lavoro nel 2006 e fu sostituito dal Foreign Policy Initiative (FPI), a sua volta operativo dal 2009 al 2017. La Vandeberg Coalition, fondata da Elliot Abrams poco dopo l’insediamento della presidenza Biden, ha raccolto l’eredità del PNAC, fungendo da piattaforma d’eccezione per le istanze neocon e pro-Likud, senza escludere gli interessi del sionismo cristiano.
A differenza del PNAC e dell’FPI, che vantavano importanti affiliazioni tra le file dei democratici, la Vandenberg Coalition inizialmente si è contraddistinta per un afflusso di repubblicani, soprattutto quelli che ai tempi della prima presidenza Trump erano definiti come “Never Trumper”, ma che, a differenza dei cosiddetti “isolazionisti”, malvisti dai neocon, hanno sempre avuto come obiettivo il mantenimento della leadership globale a stelle e strisce.
Sommariamente, i punti principali del PNAC tendono a ristabilire quelli che dovrebbero essere i principi guida per la politica estera americana: “L’America ha un ruolo vitale nel mantenimento della pace e della sicurezza in Europa, Asia e Medio Oriente. Se ci sottraiamo alle nostre responsabilità, invitiamo a mettere in discussione i nostri interessi fondamentali. La storia del XX secolo dovrebbe averci insegnato che è importante modellare le circostanze prima che emergano le crisi e affrontare le minacce prima che diventino terribili. La storia di questo secolo avrebbe dovuto insegnarci ad abbracciare la causa dell’egemonia americana.” Per il PNAC risultava essenziale aumentare significativamente la spesa per la difesa, “rafforzare i legami con gli alleati democratici e sfidare i regimi ostili ai nostri interessi e valori”, “promuovere la causa della libertà politica ed economica all’estero” e “accettare la responsabilità del ruolo unico dell’America nel preservare ed estendere un ordine internazionale favorevole alla nostra sicurezza, alla nostra prosperità e ai nostri principi”.
A sottoscrivere questa dichiarazione alcune figure influenti, alcune delle quali si rivelarono poi di estrema influenza nella politica estera di Bush Jr; solo per menzionarne alcuni: Donald Kagan, Donald Rumsfeld, Paul Wolfowitz, Jeb Bush, Dick Cheney, Francis Fukuyama, Frank Gaffney Jr. ed Elliot Abrams.
Da un recente comunicato stampa della Vandenberg Coalition si evincono immediatamente importanti somiglianze col PNAC: “Tutti i soggetti coinvolti condividono l’impegno nei confronti della leadership americana e il desiderio che i conservatori adottino una politica estera lungimirante attrezzata per le attuali minacce alla sicurezza. Queste sfide includono quelle derivanti dalla crescente competizione tra grandi potenze con la Cina, le potenze revisioniste, la diffusione delle armi nucleari, chimiche e biologiche e il terrorismo e la criminalità transnazionali. Nessuna di queste sfide scomparirà se gli Stati Uniti abbandoneranno il ruolo internazionale che hanno mantenuto dalla Seconda Guerra Mondiale. […] Ci sono state divisioni nel gruppo durante gli anni di Trump, con alcuni che hanno prestato servizio ai più alti livelli dell’amministrazione, e altri che sono stati Never Trump. Eppure, il gruppo non è mai stato diviso sul sostegno alla leadership americana, e oggi la Coalizione Vandenberg riafferma quell’unità nella difesa degli interessi nazionali americani. […] La creazione della Vandenberg Coalition – che prende il nome dal defunto senatore Vandenberg che sosteneva un vigoroso internazionalismo statunitense – arriva in un momento cruciale nella politica americana e promuoverà una politica estera americana forte e orgogliosa, fondata su sei principi fondamentali[4].”
I sei principi non si distaccano dalle principali dottrine internazionaliste interventiste, in cui il concetto di sicurezza nazionale deve coincidere con il mantenimento dell’egemonia a stelle e strisce, da esercitare eventualmente, sebbene non necessariamente, in collaborazione coi partner occasionali, tramite la deterrenza e tramite l’eventuale ricorso ai mezzi militari; ciò l fine dia tutelare gli interessi americani, anche economici, ovunque questi si trovino.
Oltre alle evidenti analogie strategico-programmatiche, osservando il board advisor si notano immediatamente alcune figure già presenti nel PNAC e nell’FPI: oltre ad Abrams, attualmente presidente della Vandenberg, Randy Scheunemann[5], Paula Dobriansky[6] e il professore di Princeton Aaron Friedberg erano già membri di spicco del PNAC; Eric Eldman, già consigliere di Dick Cheney, è stato membro fondatore dell’FPI.
In ossequio al fenomeno delle “porte girevoli”, al tesoro della Vandenberg troviamo Tim Morrison, già componente (senior fellow) dell’Hudson Institute, il quale ha lavorato in passato come vice assistente per la sicurezza nazionale durante la prima amministrazione Trump e come direttore senior per gli affari europei del National Security Council (NSC). Degne di menzione sono anche le figure di John Hillen e Kristen Silverberg, il primo già assistente della Segreteria di Stato dell’amministrazione Bush Jr. e attualmente amministratore delegato della EverWatch Corporation, una società di sicurezza nazionale che “fornisce soluzioni tecniche avanzate alle agenzie di difesa e di intelligence del governo degli Stati Uniti”; il secondo ha ricoperto, sempre durante l’amministrazione Bush Jr., il ruolo di ambasciatore americano presso l’Unione Europea. Legato, come consulenza, a Bush Jr. è anche un altro esponente della Vandenberg, Mark Dubowitz, amministratore delegato della Foundation for Defense of Democracies, esperto del programma nucleare iraniano, già consulente delle amministrazioni Obama, Trump I e Biden.
Un’altra figura che verrà ancora menzionata è quella di Gabe Scheinmann, direttore esecutivo della Alexander Hamilton Society, costui ha lavorato come analista presso il Center for Strategic and International Studies e soprattutto è stato direttore del Jewish Policy Center.
A chiudere il cerchio troviamo Amanda Rothschild: senior policy director della Vandenberg Coalition, oltre a prestigiosi incarichi e collaborazioni con importanti enti come l’Atlantic Council, Amanda Rothschild, ha ricoperto incarichi presso la Casa Bianca, il National Security Council (NSC) e il Dipartimento di Stato durante la prima amministrazione Trump.
A collaborare con la Vandenberg Coalition troviamo, tra gli altri[7], la Foundation for Defense of Democracies (FDD), organizzazione neocon fondata subito dopo l’11 settembre con l’obiettivo di intensificare la famigerata “guerra al terrorismo” in Medio Oriente e sostenere il più possibile le politiche filoisraeliane degli USA. Troviamo anche i filoisraeliani Hudson Institute e Heritage Foundation, potente organizzazione conservatrice, quest’ultima, assurta all’attenzione delle cronache per il noto Project 2025, vero e proprio instrumentum regni dello spoils system attualmente in corso negli Stati Uniti.
Questa evidente continuità neocon, mantenendo l’attenzione agli interessi di Israele e al suo nemico numero uno, ossia l’Iran, concentra l’attenzione anche sullo sfidante strategico degli Stati Uniti: la Cina, come riportato da Responsible Statecraft: “Nel suo editoriale, Abrams ha affermato che le principali tra le [significative minacce alla sicurezza nazionale affrontate da Washington] sono le potenze revisioniste, la diffusione di armi nucleari, chimiche e biologiche, e il terrorismo e la criminalità transnazionale – tutti resi più pericolosi dalla rinnovata competizione tra grandi potenze e dalla miriade di minacce poste dal Partito Comunista Cinese. Ciononostante, in linea con la forte visione neoconservatrice del mondo del suo presidente, gli articoli attualmente presenti nella sezione ‘analisi’ del sito web di Vandenberg, denominata Honest Candor, prestano un’attenzione sproporzionata all’Iran e a Israele[8]”.
Sviluppi e raccomandazioni per America First
A metà febbraio 2022 la Vandenberg pubblica una lettera aperta, a firma di decine di ex collaboratori neocon dell’amministrazione Bush Jr., per redarguire pubblicamente Amnesty International a causa del rapporto – definito “falso, ingannevole e antisemita” – pubblicato dall’organizzazione non governativa poche settimane prima, nel quale si denunciavano le pratiche di apartheid ai danni dei Palestinesi da parte di Israele: “In breve, il rapporto di Amnesty è un documento antisemita scritto da attivisti anti-israeliani. Chiediamo al consiglio di amministrazione di Amnesty International di denunciare questo rapporto e di aprire un’indagine su come è stata approvata la sua pubblicazione[9]”.
A inizio ottobre 2023 la Vandenberg pubblica un’altra lettera aperta[10], diffusa dalla “National Review” e firmata da più di cento figure di spicco dell’amministrazione Bush Jr. e Trump con l’intento di sollecitare il supporto militare all’Ucraina: “Come ha affermato il direttore esecutivo Carrie Filipetti, ex vice segretario di Stato aggiunto dell’amministrazione Trump, la lettera era necessaria perché la falsa narrativa secondo cui i conservatori non vogliono fornire aiuti all’Ucraina è una pericolosa falsa dichiarazione che potrebbe portare Putin a credere che, in caso di vittoria dei conservatori nel 2024, riceverà il via libera per continuare l’assalto” e ancora “Abbandonare gli amici dell’America mentre sono vittime di aggressioni è un modello associato alla sinistra americana, dal Vietnam all’Afghanistan […] “I conservatori non dovrebbero affrettarsi a stringere intese con gli isolazionisti progressisti. La sicurezza dell’Asia e dell’Europa sono legate, motivo per cui i leader di Giappone, Corea del Sud, Taiwan e Australia hanno tutti inviato aiuti all’Ucraina. Sosteniamo gli aiuti americani aggiuntivi urgenti e consistenti all’Ucraina”.
Un mese fa la Vandenberg Coalition ha pubblicato un rapporto[11] di sedici pagine dal titolo Deals of the Century: Solving the Middle East. Ad aver elaborato il documento, secondo la ricostruzione di Jim Lobe[12], sono Elliott Abrams e due neocon di spicco della Alexander Hamilton Society: Gabriel Scheinemann e Daniel Samet.
Il titolo del rapporto suona quasi come un monito al lettore e all’attuale presidenza americana, richiamando quanto lo stesso Trump ha dichiarato solo un mese fa, ossia che “[la situazione in] il Medio Oriente verrà risolta”.
Le raccomandazioni[13], come sostenuto, rientrano nel programma che la dottrina America First trumpiana dovrebbe perseguire in Medio Oriente: “Creato da una squadra di professionisti e di centri studi dell’ex governo degli Stati Uniti, il rapporto presenta raccomandazioni politiche volte a frenare l’influenza degli avversari dell’America in Medioriente, garantire a Israele il sostegno necessario per difendersi, garantire la non proliferazione nucleare iraniana e gestire alleanze e partenariati a favore dell’America”. E ancora: “Un Medio Oriente dominato dai nostri avversari crea gravi minacce alla sicurezza per i principali alleati, così come per gli interessi degli Stati Uniti. Può anche minare gli sforzi dell’America contro il suo principale avversario globale, il Partito Comunista Cinese (PCC). Accanto ad alleati e partner, l’amministrazione dovrebbe incentivare gli sforzi volti a impedire che Iran, Russia e Cina approfondiscano la loro influenza nella regione”.
Leggendo tra le righe del documento, si evincono due direttrici su cui gli Stati Uniti hanno concentrato gli sforzi nell’area: l’incrollabile sostegno a Israele e la radicale avversione nei confronti dell’Iran, considerato come la più grande minaccia agli interessi americani nell’area, al quale l’amministrazione Biden avrebbe riservato una politica di appeasement colpevole di agevolare il supporto iraniano a Hamas, Hezbollah e agli Houthi. Deals of the Century: Solving the Middle East ribadisce l’imprescindibile necessità dell’imprescindibile sostegno ad Israele e l’esigenza di “usare tutti gli elementi di potere nazionale per impedire all’Iran di acquisire la bomba nucleare”. Il messaggio è chiaro: gli Stati Uniti devono passare dal supposto appeasement a una campagna di “massima pressione” che, secondo il report, avrebbe già dato i suoi frutti nel 1981 e nel 1988. Inoltre, le raccomandazioni riportano a Washington la necessità di mantenere la presenza militare in Iraq e in Siria, aumentando la cooperazione con l’Arabia Saudita in pieno ossequio, prosecuzione e attuazione rispetto agli Accordi di Abramo. A Riyad viene chiesto di far sì che gli Stati Uniti investano in Arabia, onde velocizzare la transizione da un’economia prettamente dipendente dalla vendita di petrolio; al contempo si richiede che il fondo sovrano saudita torni ad investire nell’economia americana (con un occhio di riguardo alla sofferente manifattura)[14]. Infine, si chiede di ridimensionare le critiche saudite ad Israele e alle relative politiche.
Riguardo al versante libanese, invece, sarebbe opportuno considerare il “Libano come uno Stato catturato dall’Iran fino a quando Hezbollah non allenterà la presa.”
In merito alla Terrasanta e alla questione dei Palestinesi la ricetta della Vandenberg, inquadrandosi nell’ottica del completamento della pulizia etnica in corso e del conseguente spostamento dei superstiti, corrisponde alle recenti dichiarazioni di Donald Trump dopo l’incontro con Benjamin Netanyahu: “La politica americana nei confronti dei Palestinesi deve dare priorità alla sicurezza di Israele e dei nostri partner arabi”. E ancora: “Israele dovrà mantenere il controllo della sicurezza per prevenire Hamas dalla ricostruzione, ma non dovrebbe e non vuole governare Gaza stessa. L’unica alternativa è una forma di supervisione internazionale attraverso una coalizione di stati arabi disponibili e donatori internazionali, dovrebbe essere vietata la partecipazione di qualsiasi entità che sostenga o abbia sostenuto Hamas”.
Il nuovo manifesto neocon ambisce a mantenere sine die la presenza militare, finanziaria e politica degli Stati Uniti d’America in Medio Oriente e a perseguire gli Accordi di Abramo, aspettative che, al di là della notoria influenza di think tank di questo genere, possono essere realizzate dall’amministrazione MIGA: Make Israel Great Again.
NOTE
[1] https://www.wsj.com/articles/a-new-coalition-to-advance-u-s-global-interests-11619649120?mod=opinion_major_pos4
[2] Oltre agli incarichi a cui abbiamo già fatto riferimento, vogliamo citare solamente alcune, importanti affiliazioni, tra cui possiamo menzionare, senza citarne per ognuno l’incarico specifico, l’American Committee for Peace in Chechnya, Ethics and Public Policy Center, American Jewish Committee, Hudson Institute, Committee for U.S. Interests in the Middle East, Nicaraguan Resistance Foundation, Committee for Peace and Security in the Gulf, Heritage Foundation, National Review. A livello governativo ha ricoperto importanti incarichi sia per il Senato che per il National Security Council, lo U.S. Commission on International Religious Freedom, il Dipartimento di Stato come inviato speciale per il Venezuela dal 2019, Sottosegretario di Stato per gli affari interamericani dal 1985 al 1989; Sottosegretario di Stato aggiunto per i diritti umani e gli affari umanitari dal 1981 al 1985 e Sottosegretario di Stato aggiunto per gli affari dell’organizzazione internazionale nel 1981.
[3] Arthur Hendrick Vandenberg Sr. (1884-1951): figura di spicco della politica estera americana: ha partecipato alla creazione delle Nazioni Unite, principale referente, a seguito dell’attacco di Pearl Harbour, della transizione repubblicana verso l’internazionalismo in politica estera, deciso sostenitore della “Dottrina Truman”, del “Piano Marshall” e della NATO. Nel 1947 diventa presidente del United States Senate Committee on Foreign Relations sostenendo Harry Truman nel contesto della Guerra Fredda.
[4] vandenbergcoalition.org
[5] Fondatore e presidente di Orion Strategies, lobbista e consulente di numerose figure politiche (tra cui Sarah Palin e John McCain) conservatrici e neocon. In compagnia di Robert Kagan e William Kristol è stato una figura di riferimento del PNAC, ricoprendo il ruolo di direttore, sostenitore dell’intervento in Iraq e della “guerra al terrorismo”, è stato capo del Committee for the Liberation of Iraq (CLI), ente decisivo per il regime change ai danni di Saddam Hussein. Scheunemann è stato anche consulente della sorosiana Open Society Institute da cui, secondo The Salon, ha potuto spingere per legislazioni a favore del ripristino “democratico” in Birmania.
[6] Già sottosegretario di Stato per la democrazia e gli affari globali durante l’amministrazione di George W. Bush. Membro del neocon Hudson Institute e sostenitrice del PNAC; ha inoltre fatto parte, tra gli altri, del consiglio direttivo del Foundation for Defense of Democracies, vicepresidente sia del National Endowment for Democracy (NED) che del Council on Foreign Relations (CFR) e membro del consiglio dell’Atlantic Council.
[7] Washington Institute for Near East Policy, Atlantic Council, Center for Strategic and International Studies e Center for a New American Security.
[8] responsiblestatecraft.org
[9] vandenbergcoalition.org/vandenberg-open-letter-to-amnesty-international
[10] vandenbergcoalition.org/ukraine-letter
[11] vandenbergcoalition.org
[12] responsiblestatecraft.org/elliott-abrams
[13] I capitoli e le relative raccomandazioni sono suddivisi tra Iran, Iraq, Siria, Libano e Hezbollah, Israele, Palestina, Arabia Saudita, Emirati Arabi, Qatar, Yemen e Houthi e ONU.
[14] Il fondo sovrano saudita, secondo il Wall Street Journal, avrebbe infatti ridotto le partecipazioni azionarie statunitensi di circa quindici miliardi di dollari negli ultimi anni. L’Arabia Saudita avrebbe scaricato parte del debito americano detenuto, a favore di investimenti in Africa e America Latina.
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