Domenica 11 dicembre il popolo della Repubblica di Transnistria ha eletto al primo turno il terzo presidente della sua storia, il filorusso Vadim Krasnoselskij.
I cinque avversari del neopresidente erano l’uscente Shevchuk, che ha ottenuto il 27,38% dei voti (69.179), Oleg Khorjan, leader dei comunisti locali, con il 3,17% (8.012 voti) e altri tre candidati che hanno totalizzato percentuali da prefisso, non arrivando a mettere insieme 5.000 preferenze[1]. A questi vanno sommati gli 8.593 voti protiv vsekh, “contro tutti”, di fatto le schede annullate. Ma soprattutto vanno contrapposti i 157.410 suffragi (sui 252.659 totali) raggiunti dal vincitore assoluto di queste elezioni. La percentuale del 62,3% con cui ha ottenuto il posto di Presidente è alta, ma non la si definisca “bulgara”. Le votazioni, alle quali ha partecipato il 60,1% degli aventi diritto, sono apparentemente del tutto regolari. Sono stati interpellati oltre 100 osservatori internazionali (una dozzina dei quali, come riporta dal suo profilo Facebook ufficiale Giulietto Chiesa, sono stati fermati all’aeroporto di Chișinău e rimandati indietro) a garantire il corretto svolgimento della tornata. Per dare un senso a tali numeri, ricavati da Novosti PMR, tra i principali organi dell’area, è necessario chiarire il contesto al quale si riferiscono, tramite un breve excursus storico.
La Transnistria si sviluppa in lunghezza per circa 200 km, incuneata negli appena 20 km di latitudine che separano la sponda est del fiume Dnestr[2], termine naturale delle terre romene, dall’attuale confine della Repubblica Moldava, nazione di cui fa parte de iure, e del cui territorio occupa poco più del 12%. Lo status di zona di “conflitto congelato” che detiene tutt’oggi e che le vale in più occasioni la qualifica di “terra di nessuno”, affonda le sue radici in complesse dinamiche risalenti a diversi decenni or sono.
Suo riferimento statuale, seppur non del tutto corrispondente agli attuali confini, è la Repubblica Socialista Sovietica Autonoma di Moldavia, creata nel 1924 per volere delle autorità bolsceviche all’interno della Repubblica Socialista Sovietica Ucraina, con capitale Balta, poi Tiraspol.
In seguito allo smembramento della Grande Romania[3] ed alla restituzione della Bessarabia all’URSS, fu creata, il 2 agosto 1940, la Repubblica Socialista Sovietica di Moldavia. In questa occasione il territorio bessarabeno, occupato dai sovietici dopo l’arbitrato di Vienna del 28 giugno 1940, venne modificato per ridurre e sfaldare la componente etnica romena al suo interno, separando e assegnando all’Ucraina la parte settentrionale e alcuni distretti del Sud, e incorporando alla nuova entità una parte della Repubblica Socialista Sovietica Autonoma di Moldavia, corrispondente press’a poco all’attuale Transnistria.
Questa ridotta area oltre il fiume (diffusamente colonizzata da popolazioni di etnia romena nei secoli XIV-XVI), già “russa” dal Trattato di Pace di Iași del 1792 con il quale l’Impero Ottomano accettò di cedere alla Russia l’area tra il Bug e il Dnestr[4], subì a partire dal secondo dopoguerra la stessa violenta sovietizzazione della Moldavia, recependola però in maniera del tutto dissimile, data la ormai secolare vicinanza alla Russia e al mondo slavo. Le popolazioni di origine russa dell’area accettavano di buon grado la vicinanza all’Unione Sovietica. Questo sentimento era d’altronde ricambiato, dato che la Transnistria, oltre ad essere un bacino industriale importantissimo che trainava l’intera Repubblica Moldava e riforniva in maniera soddisfacente l’URSS, specie in rapporto alla sua misura, era considerata anche dal punto di vista politico la regione della Repubblica più vicina al Cremlino, tanto che nessun Segretario Generale del Partito Comunista Moldavo fino al 1989 proveniva dalla parte ad ovest del Dnestr. Invece, le popolazioni di etnia romena furono dapprima spinte a lasciare la regione, in periodo interbellico; poi, dopo il 1945, fatte oggetto di deportazioni di massa, a seguito dello sviluppo dell’industria pesante durante il quale venne incentivato l’arrivo di migliaia di immigrati russi e ucraini, al fine di operare una vera e propria sostituzione etnica. In Transnistria nel 1994 la popolazione era così suddivisa: 32% romeni, 30% russi, 29% ucraini.
Il difficile rapporto tra le diverse etnie dell’area fu grosso modo tenuto sotto controllo nei decenni postbellici grazie anche alla presenza della 14ª Armata russa, incaricata di gestire uno stato di latente e persistente conflittualità tra le varie etnie e in sostanza di mantenere l’ordine costituito, affinché i legami con Mosca non venissero in nessuna maniera intaccati. A partire dalla fine degli anni ’80, con Gorbaciov Primo Segretario del PCUS e leader di un’Unione Sovietica mai così debole e in pieno processo di disgregazione, la situazione peggiorò. Si registrarono tensioni crescenti dovute alla svolta nazionalista e all’orientamento sempre più filoromeno della Moldavia, concretizzatosi in precise norme di carattere linguistico, nella perdita di potere del locale Partito Comunista, nell’intensificarsi dei rapporti con la Romania. Con la questione linguistica a fare da sfondo, i malumori e i disordini crebbero col passare degli anni e si acuirono alla fine del decennio.
Il 2 settembre 1990 nacque la Repubblica Moldava di Transnistria. Il 25 agosto 1991 il Soviet Supremo della neonata Repubblica, che la settimana precedente aveva appoggiato il tentato golpe di Mosca, adottò la dichiarazione di indipendenza dall’URSS. Due giorni dopo fu il parlamento di Chișinău a votare la dichiarazione di indipendenza della Repubblica di Moldavia, il cui territorio includeva la Transnistria, chiedendo altresì all’Unione Sovietica di ritirare la 14ª Armata. Fu caldeggiata dai gagauzi[5] la creazione di tre entità indipendenti, proposta però rigettata dalle autorità moldave. I leader separatisti transnistriani e gagauzi furono arrestati. Scoppiò un conflitto tra l’esercito regolare moldavo, più riservisti romeni, e le forze della Transnistria, di fatto equipaggiate, addestrate e coadiuvate dalla 14ª Armata, che, a dispetto delle richieste moldave, era rimasta a copertura della regione.
Lo scontro degenerò in poco tempo in una guerra su più ampia scala, quasi ignorata in Occidente anche a causa della contemporanea crisi jugoslava. Al contrario di altre zone calde postsovietiche, l’area della Transnistria era basilare per l’economia russa (nel 1990, il 95% delle fabbriche moldave, molte delle quali specializzate nella produzione di AK-47 e altri armamenti, concentrate quasi tutte a Est del Dnestr, erano legate a Mosca) e dal 1992 il conflitto assunse dei toni internazionalistici: furono coinvolte Romania, Ucraina, Moldavia, Russia e l’OCSE. La guerra raggiunse il suo apice nell’estate ’92, quando i moldavi riuscirono a prendere temporaneamente il controllo dell’importante città di Bender. Si giunse a una instabile pace il 21 luglio 1992. La guerra era costata la vita a oltre 1.500 persone.
La Moldavia, pur non riconoscendo il nuovo Stato[6] – come tutta la comunità internazionale, fatta eccezione per Abkhazia e Sud Ossezia, a loro volta riconosciute da pochi altri Stati – si è impegnata negli anni successivi in graduali aperture: la Transnistria ha oggi il suo rublo, il suo inno, le sue targhe automobilistiche, la sua bandiera, rossa e verde con la falce e il martello. La Repubblica è l’unica al mondo che ancora oggi si definisce, seppur non ufficialmente, sovietica. La polizia locale porta le antiche divise, il servizio segreto conserva ancora il nome di Comitato per la Sicurezza Nazionale, KGB, è frequente imbattersi in busti e statue di Lenin o di locali eroi del lavoro comunisti. Tuttavia, a dispetto della simbologia, il sistema economico si configura come ben lontano dal socialismo. Poche grandissime aziende legate alla Russia (e alla recente nomenklatura transnistriana) si spartiscono produzione e mercato. Tra queste primeggia per distacco la Sheriff, che occupa con sistemi monopolistici diversi settori chiave dell’economia, guidata da Smirnov, l’altro predecessore di Krasnoselskij, “sceriffo” di Transnistria per un ventennio. E in più c’è l’economia “sommersa”. Oggi la Repubblica sale agli onori delle cronache per la sua condizione di “buco nero” di corruzione e illegalità, all’interno del quale e tramite il quale ogni traffico illecito sarebbe possibile. Tuttavia la veridicità di tali affermazioni è difficile da comprovare.
Politicamente parlando si può affermare senza timore di smentita che queste elezioni sono state, oltre che una prova di maturità politica da parte dell’elettorato passivo quanto di quello attivo, una fedele proiezione dell’indole politica di una buona parte del popolo transnistriano, che ha rivolto i propri consensi verso il candidato più “naturale”. Vadim Krasnoselskij nasce il 14 aprile 1970 a Daurja, nell’oblast di Čita, profonda Russia, quasi ai confini con la Mongolia. Nel 1978, a causa del trasferimento del padre, ufficiale, la famiglia emigra nella città di Bender (tali trasferimenti non erano infrequenti all’epoca per i militari). Dopo aver ottenuto il diploma presso la scuola secondaria e aver frequentato per un solo anno il politecnico di Odessa, nel 1988 è ammesso all’Alta Scuola Militare di Ingegneria missilistica di Kharkhiv, da cui esce nel 1993 con una laurea a pieni voti. Dal 1993 al 2012 matura un lungo e brillante cursus honorum tra le file dei reparti ingegneristici dei dipartimenti cittadini prima (di Bender) e “nazionali” poi, arrivando a ricoprire la carica di Maggiore Generale della Polizia e soprattutto di Ministro degli Interni della Repubblica di Transnistria. Poco meno di un anno fa è stato eletto Presidente del Soviet Supremo. Da domenica scorsa ricopre l’incarico di Presidente della Repubblica. Sposato con Svetlana, insegnante di lingua e letteratura russa, ha un figlio maschio e due femmine.
L’orientamento della Transnistria e del suo popolo è dunque più che confermato anche da queste ultime elezioni. Osservando lo scacchiere internazionale, sarà interessante scoprire come si comporterà questo piccolo erede dell’URSS, stretto – non solo geograficamente – in una morsa tra l’Ucraina filoatlantica e la Repubblica di Moldavia, dove le prime elezioni presidenziali della sua storia hanno visto trionfare col 52,18% dei suffragi Igor Dodon (ex ministro dell’economia sotto il governo comunista tra il 2006 ed il 2009, anch’egli vicino alla Russia di Putin) contro il candidato filooccidentale Maia Sandu.
Infine va tenuto in considerazione un altro fattore non secondario: Krasnoselskij rientra nell’elenco, stilato all’interno della Revisione della posizione comune 2004/179/PESC del 25 febbraio 2008, che comprende i transnistriani ai quali è interdetto l’ingresso nel territorio dell’Unione Europea, in quanto accusati di ostacolare i progressi verso una soluzione politica del conflitto in Transnistria.
Sulle rive del Dnestr la situazione resta delicata.
NOTE
[1] Nello specifico: l’ex giudice Vladimir Grigoref con lo 0,67% (1.698), Irina Vasilakij, che faceva parte dell’equipe di Shevchuk, con lo 0,6% (1.526 voti) e Alexandr Delj, ex Pubblico Ministero, con lo 0,55% (1.379).
[2] Fa eccezione l’enclave della città di Bender, situata sulla riva opposta del fiume.
[3] La Transnistria non fece mai parte della Grande Romania (nemmeno durante la parentesi 1941-1945 dell’invasione dell’URSS ad opera delle truppe dell’Asse, quando la Bessarabia fu riannessa alla Romania mentre l’area a est del Dnestr fu soltanto occupata) tant’è che nemmeno i nazionalisti romeni, i quali limitano al Dnestr i confini orientali della România Mare, la considerano terra romena.
[4] Solo nel 1812 la Russia ottenne l’intera Bessarabia, fino al Prut.
[5] La Gagauzia è un’altra regione moldava (capoluogo: Comrat) la cui popolazione, di antica origine turca, ha in più occasioni espresso una forte volontà di autonomia, tramite le proprie autorità. La Gagauzia proclamò la sua indipendenza, mai riconosciuta da nessun altro stato, qualche giorno prima della Transnistria.
[6] Anche la Federazione Russa, per esigenze diplomatiche, non riconosce ufficialmente la Transnistria.
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